Storia della rivoluzione di Roma (vol. I)/Capitolo V

Capitolo V

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CAPITOLO V.

[Anno 1846]


Festa dell’8 settembre 1816. — Arco di trionfo sulla piazza del Popolo. — Il Ciceruacchio se non auspice esclusivo, figurò come ostensibile promotore del medesimo. — Concorso insolito in Roma. — Magnificenza della festa, e descrizione delle particolarità che l’accompagnarono. — Pubblicazioni tendenti a perpetuarne la ricordanza. — Avvenimenti occorsi nel resto di settembre, e fino alla circolare degli 8 di ottobre del cardinale Gizzi contro le dimostrazioni pacifiche.


Cessati appena i tripudi per l’amnistia in Roma e nelle Provincie, venne escogitato di celebrarne l’atto solenne con più imponente e significativa dimostrazione, erigendo un arco di trionfo sotto il quale nel recarsi il Santo Padre a santa Maria del Popolo il giorno 8 settembre avesse dovuto passare.

Chiarito una volta il principio, come facemmo nelle pagine precedenti, che colle dimostrazioni volevasi operare la rivoluzione, e che erano esse il mezzo consigliato dai capi, poco monta l’indagare se i Masi, i Canino e gli altri promotori delle romane dimostrazioni prendessero la iniziativa, ne fossero semplicemente gli esecutori per consiglio dei capi all’estero residenti. Essi fra loro s’intendevan bene. È superfluo quindi il cercarne di più.

Ma a tutte le cose volendo imprimere un carattere popolare e romano, fu messo subito in giuoco Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, ed esso della popolare dimostrazione figurò come capo.

Associò a sè artisti, architetti e lavoranti, si compilò un programma e si fecero correre fogli di soscrizione. Ciò nel mese di agosto. L’architetto designato fu il giovane Cicconetti. L’arco era una copia perfetta e di eguale [p. 93 modifica]grandezza di quel di Costantino. La materia, legno, carta, e gesso.

I preparamenti della festa, osservati da tutta Roma, lo innalzarsi e il perfezionarsi gradatamente dell’arco, gli emblemi che ne riempivano i bassirilievi, le iscrizioni e sopra tutto la statua del pontefice, furono per quasi un mese r occupazione dei Romani. L’arco era situato sulla piazza del Popolo all’ingresso del Corso, ch’è la strada più nobile e più frequentata della città. Lungo il Corso per la estensione di un miglio, collocaronsi pali sormontati da due bandierette col motto Viva Pio IX collegate fra loro con guide di mirto e corone di alloro. Sopra ognuno di essi pali doveva splendere nella sera una face accesa. Ogni balcone, ogni finestra, attraeva l’attenzione per la varietà degli emblemi, delle iscrizioni, e dei ricchi e variopinti tappeti pendenti, non che per lo sfarzo dei fiori, degli ornati, e delle decorazioni di ogni sorta, talchè il descrivere tutto occuperebbe un grosso volume. Le iscrizioni del caffè nuovo venivano lette con attenzione, e furono riportate in molte stampe. Esse furono composte da Francesco Spada, mio fratello. I preparamenti per la luminaria della sera, splendidissimi, variati, di un genere insolito a Roma.

Il concorso ad una festa sì grandiosa e che da un mese teneva occupati i Romani, non poteva non essere immenso, non solo per parte dei Romani stessi, ma sì anche degli abitanti dei vicini paesi; cosicchè può dirsi, senza tema di esagerazione, che la popolazione di Roma nel giorno 8 settembre si era quasi raddoppiata.

Sono i Romani impastati naturalmente di gusto artistico, e inspirati di poesia, e di genio felicemente immaginoso, che non possono, volendo, non fare siccome fecero una bella cosa. Aggiungi, la generosità, che non fa loro conoscere grettezza e riguardare a risparmio, e lo spirito di emulazione, che in essi, quando sia acceso, è potentissimo, e di leggieri si persuaderà ognuno che sepper fare una cosa maravigliosamente bella, e superlativamente grandiosa.

[p. 94 modifica]Esprimere poi con parole a qual punto giunse l’entusiasmo all’apparire del Santo Padre col suo pomposo corteo sul Corso, mentre percorrevalo lentamente col suo treno nobile, e benediceva, con dignitoso ad un tempo e sorride vole aspetto, al popolo entusiasmato; descrivere gli applausi, le grida, le invocate benedizioni, i fiori, e le lagrime che sgorgavan dagli occhi di molti per tenerezza, non è possibile affatto. Fu quello l’apogèo, il punto culminante, il momento superlativo del trionfo di Pio IX sui cuori romani. Fu in somma il non plus ultra della tenerezza, della gioia, della espansione, del rispetto, e della gratitudine, non che della commozione di cui è suscettibile un popolo gentile e generoso, com’è il popolo romano. Eppure, ahimè, ci si arresta la penna ...; quella gioia ineffabile, quelle grida farnetiche, e quegli osanna, convertirsi dovevano un giorno in crucifigatur, non per parte del medesimo, ma sibbene per parte di altri, che eran pure suoi figli, fuorviati da mal intese speranze! La rivoluzione poi, che tutto altera o corrompe, guastò, per chi seppe avvertirlo, la dignità e l’imponenza della festa col volere associati al cortèo papale, mentre percorreva il Corso, alcuni giovani della università, ed altri, dei quali la massima parte era sconosciuta, i quali vedevansi gire a piedi di conserva ed a lato del cocchio del pontefice con rami d’olivo in mano che andavano festosamente agitando. L’aspetto tutt’altro che dignitoso di quei giovani, e quel loro incedere fra festoso ed altiero per avere ottenuto di far parte ancor essi della pompa, davano alla solennità un non so che di dissonante, o per lo meno di non gradevole all’occhio, e facevano presentire qualche cosa di sinistro, perocchè pareva che dicessero ai riguardanti: «vedete, ci siamo ancor noi. Noi siamo gli elementi fabbricatori delle feste, Per noi e da noi si fanno. Oggi portiamo in mano il ramo d’olivo, simbolo di pace, domani porteremo la corona di quercia per gli eroi che spingeremo al combattimento, e un altro giorno portar potremmo il [p. 95 modifica]rale cipresso, simbolo della morte.» Fu questo l’unico fatto che alterò la pompa religiosa, questa la sola dissonanza ch’ebbesi a notare.

Lo intromettersi dei giovani universitari in cose sì rispettabili e dignitose non piacque agli uomini assennati, i quali, già di mal occhio vedevano che non solo nella nostra città, ma in molte altre eziandio, e in Italia e fuori, le università eransi convertite in fucine di politici rivolgimenti.1

Terminata la cerimonia religiosa nella chiesa di santa Maria del Popolo, restituissi il Santo Padre nel palazzo del Quirinale.

Non mancò la popolazione ansante e festosa di accorrere colà, e quand’anche ve l’avesse spinta la semplice curiosità di vedere se vi era dimostrazione, la cosa era già £atta, perchè il solo vedere molte migliaia di persone ivi raccolte, porgeva una grata speranza che fosse per rispondere il pontefice ai desideri comuni colla usata sua benedizione.

Piena dunque essendo la piazza del Quirinale si mostrò il pontefice e benedisse al suo popolo, che per verità, quando trattavasi di chiedere l’apostolica benedizione, era il vero popolo romano. Ed appunto per questo, e perchè la fiducia del pontefice nel buon popolo di Roma non era scemata, ritenevasi che la cosa fosse ancora si bene avviata, da poter fare assegnamento sulla benevola condiscendenza del pontefice.

La sera vi fu luminaria delle più sorprendenti che siansi mai viste. Vi era stata per verità anche la sera precedente, ma non così ridondante di lumi.

Il Corso intero presentava l’aspetto di due immensi torrenti, uno dei quali che sulla destra recavasi alla piazza, del Popolo, l’altro che a sinistra ne ritornava. Era la popolazione che senza urtarsi percorreva lietamente il Corso. [p. 96 modifica]Avresti detto essere un uomo solo, di centomila uomini per lo meno.

Spettacoli simili, sì bene ordinati, e sì ben condotti, crediamo non potersi vedere che a Roma. E possiamo ad esempio citare il carnevale, di cui parleremo a bug tempo.

Ma intanto riflettendo ponderatamente sui casi che venivano svolgendosi, ci andavam richiedendo l’un l’altro, ove questi elementi di vitalità di un popolo eccitato sarebbero andati a parare, quante volte sopratutto qualche abile direttore avesse voluto trarne partito? L’autorità stessa incominciò ad esserne gravemente impensierita, e vedremo un mese dopo emanarsi un atto, frutto di maturi consigli, per disapprovare tali pubbliche dimostrazioni.

Intanto però l’entusiasmo che accese teneva le fantasie, per le belle cose di cui Roma era il teatro, porgeva argomento agli scrittori di magnificarle, sia in verso sia in prosa. Ed ecco così che veniva protraendosi, anche dopo, l’attenzione pubblica sulle feste degli 8 settembre mediante gli scritti che in Roma, nelle provincie, e anche all’estero diffondevansi.

E a posta loro le provincie e gli esteri paesi rispondevano con altre produzioni, e tutte, vuoi con lodi, vuoi con eccitamenti, tendenti a far perseverare nel bene incominciato cammino. Insomma l’Europa trovavasi trascinata ad occuparsi con interesse delle cose della città etema.

Ma se i più le leggevano per curiosità o per simpatia, abbiam ragione di credere che i gabinetti nello svolgimento di tanta insolita vitalità, e di sì inesplicabili tripudi, vi leggesser per entro un non so che di torbido e misterioso, e che ne presagissero sinistri avvenimenti.

Difatti quel continuo parlare di Pio IX, della sua bontà, della sua clemenza, della sua fiducia nel popolo, della sua avvedutezza, de’ suoi provvedimenti, e delle sue cure paterne, eran tanti rimproveri per gli altri ed equivalevano a dire agli altri sovrani: siate così pur voi e fate [p. 97 modifica]altrettanto se volete essere amati; e così pian piano, e quasi di soppiatto, la magica parola del viva Pio IX facendo capolino, veniva insinuandosi negli esteri stati, e la rivoluzione come già un tempo l’incivilimento, da Roma per irradiazione diffondendosi, invadeva gli altri stati pur anco tanto più che in ogni luogo, per segrete intelligenze, gli affigliati alle politiche consorterie sapevan ben essi trame partito, col mantenere vivo ovunque rincominciato movimento. Fin qui era la rivoluzione del pensiero, che di poi tradursi doveva in atto.

Rimandiamo i vogliosi di conoscere la descrizione dei fatti dell’8 settembre agli scritti che verremo indicando a piè di pagina.2

Quantunque e più che noi meritasse, siasi per noi già ragionato del Ciceruacchio nel capitolo III, lo essere stato esso, e per lo meno l’aver figurato siccome promotore della festa dell’8 settembre, ci chiama a dime alcune altre parole, perchè molto si parlò di quest’uomo nella occasione anziddetta, e molti abbagli si presero sul suo conto. In allora esso passava per un eroe alla Carmagnola, e tutti ambivano di avvicinarlo, e di porgergli amichevolmente la destra. Sembrava agli uni il papalino per eccellenza. Era per gli altri, che meglio il conoscevano, il tipo redivivo del repubblicano dell’antica Roma. Poi si chiarì a poco a poco per quello ch’egli era effettivamente, cioè per un furbo, e un ingannatore; ma in allora i difetti ascondevansi, e le qualità pregevoli, che pure alcune ne possedeva, mettevansi sole in chiaro.

E fu in quei primi periodi che gli scrittorelli di piazza e i poetastri e gl’istoriografl del giorno non si ristavano dal blandirlo, e gli uomini del movimento dal vezzeggiarlo, [p. 98 modifica]siccome uno stromento utile e pieghevole nelle loro mani, non che prenderlo e ritenerlo sotto la loro tutela per dirigerne le parole e moderarne i fatti. E quindi il giovane Tommasoni ne tesseva la biografia; 3 un tale Giraldi ne pubblicava le parole; 4 il Guerrini, il D'Azeglio, e il poeta Masi lo avvicinavano non solo, ma ne facevano un loro compagno. E se più tardi lord Minto esercitò per esso la sua gelida musa, non fu a meravigliarsene, perchè effettivamente fu tanto strombazzato il nome del Ciceruacchio che gl’Inglesi, i Francesi ed i Russi, che recavansi in Roma, se amavan di vedere Pio IX e il cardinal Gizzi, volevan tutti conoscere pure il Ciceruacchio.

Del resto il Ciceruacchio era un uomo più che volgare, d’un bell’aspetto, possedeva franche e risolute maniere; e, comecchè agiato abbastanza stante i suol negoziati in foraggi e trasporti che con profitto esercitava, passava per essere soccorrevole ai miseri della sua classe, e su di essi per necessità esercitare doveva un ascendente. Ed appunto perchè dominar sapeva i popolani d’indole riottosa e manesca, sapeva assai bene recitare la sua parte nei trambusti, veri o fittizi che fossero, e quale nuovo Menenio Agrippa recavasi a calmare con grossolane parole la plebe concitata e sommossa, e agevole riuscivagli o col discorso, o coll’invito ad una svinazzata di ricomporla nella pristina calma; dopo di che compiacevasi nel ricevere le congratulazioni che a lui, come ad un pater patriæ, tributavansi, e che il fecer salire in fama di uomo abile e necessario per mantenere la quiete della città.

Dopo di ciò non avremo da registrare gravi avvenimenti nel mese che decorse fra la festa dell’8 settembre e la circolare Gizzi dell’8 di ottobre, la quale ci chiamerà a lunghi commenti nel capitolo seguente. Passiamo dunque a parlare di alcune cose che pur ci sembrano meritevoli di ricordanza.

[p. 99 modifica]Il 12 settembre l’Accademia di archeologia fece eseguire una messa di requie per l’anima di Gregorio XVI nella chiesa della romana università. Il discorso fu del commendatore P. E. Visconti. Furono sincere le lamentazioni dell’archeologo perchè di vero Gregorio amava, coltivava e proteggeva l’archeologia.

Il giorno 17 Sua Santità visitò il museo Campana sullo stradone di san Giovanni in Laterano; il 29 san Michele a Ripa; il 4 ottobre il convento de’ santi Domenico e Sisto, e il giorno 7 recossi in Albano; e, siccome il popolo lo attese al suo ritorno, ne venne benedetto al solito dalla loggia del Quirinale.5 Avea poi tenuto concistoro segreto per tre vescovati.6

Il cardinale Gizzi poi, nella sua qualifica di segretario di stato, emise una circolare per limitare ad un sesto i sequestri a carico degl’impiegati. Ciò il 17 settembre.

Nel detto giorno pubblicavasi il programma del giornale il Conemporaneo, il quale poi venne in luce il 2 gennaio 1847. Questo giornale fu quello che per il primo venne compilato per rappresentare la rivoluzione papalina, e ne fa promotore monsignore Carlo Gazòla parmigiano o piacentino, quello stesso di cui parlammo sotto la data del 16 luglio. Gli altri compromotori furono:

Torre Federigo di Benevento, che fu poi membro dell’assemblea costituente e sostituto nel 1849 al ministero delle armi.

Il marchese Potenziani Ludovico, ricco possidente di Rieti e dotto per istudl di agricoltura ed economia politica.

Il dottore Luigi Masi di Perugia, segretario del principe di Canino, poeta e letterato di vaglia, e che nel 1849, figurò alla testa di una legione e prese sempre la parte più attiva in tutta la rivoluzione romana.

Il dottore Pietro Sterbini di Vico, amnistiato politico [p. 100 modifica]pei fatti del 1831, medico e poeta di rinomanza e che poi fu ministro nel novembre del 1848 e sotto la repubblica romana del 1849.

Il marchese Luigi Dragonetti di Aquila nel regno di Napoli, ex deputato al parlamento del 1820, e implicato in primo grado nei rivolgimenti del regno.

Vi lavorarono altresì un Filippo Ugolini di Urbania, ed un Cesare Agostini di Foligno, il quale, in sugli ultimi tempi, ne divenne quasi esclusivamente il direttore e lo scrittore. Entrambi poi furono deputati all’assemblea costituente. Ciò non esclude che vi scrivessero eziandio un

Luciano Scarabelli bolognese,

Tommaso Tommasoni fanese,

Professore dottore Eusebio Reali di Assisi

Avvocato Achille Gennarelli marchegiano, non che i romani avvocato Carlo Armellini, e avvocato Reginaldo Petrocchi, come ancora parecchi altri individui.

Abbiamo creduto di estendere un poco più i nostri schiarimenti sui fondatori o promotori del detto giornale, affinchè si veda che il nome romano non vi figurò nè punto nè poco, perchè furono tutti a Roma estranei.

Nè ciò è da considerarsi siccome cosa di poca importanza, imperocchè il Contemporaneo divenne a poco a poco il giornale delle sale di ricevimento, dei circoli, e dei caffè, e tenne il primato per considerazione e per i negli anni 1847 e 1848, cosicchè può ritenersi senza gerazione che venisse formando la educazione politica della classe più colta di Roma. Ma di ciò avremo occasione di parlare lungamente in seguito, allorquando tratteremo del giornalismo.

La sola cosa che vogliamo per ora non solo dire, ma ripetere, si è che con simili maestri preposti alla educazione politica del popolo romano, maestri che, salvo il Potenziani d’idee più ragionevoli e temperate, equivalevano a vero combustibile per ardere, non è poi meraviglia 86 in seguito andò a fuoco l’edifizio.


Note

  1. Vedi la Pallade, in fog. del Gerardi, del 9 settembre 1846. pag. 95.
  2. Vedi la Pallade, n. 24 e La rivista di Antonio Tosi, n. 32. — Diario di Roma del 12 settembre. — La storia del Grandoni pag. 68. — La Storia del Ranalli, vol. I, pag. 68. — Lo stato romano del Farini vol. I, pag. 172. — Lubiensky Guerres et rèvolutions d’Italie, pag. 21. — La rivoluzione romana, al giudizio degli imparziali pag. 32 34. — Documenti dal 33 al 44 del vol. I. — Stampe e litog. n. 13 A 14, 15, 16 e 17.
  3. Vedila nel vol. VII, delle Miscellanee, n. 7.
  4. Vedile nel vol. IV, delle medesime, n. 5.
  5. Vedi il Diario di Roma, dei 19 settembre, 3, 6, e 10 ottobre, e per la descrzione delle feste in Albano il Docum. n. 51, vol. I
  6. Vedi il Diario di Roma, del 22.