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dezza di quel di Costantino. La materia, legno, carta, e gesso.

I preparamenti della festa, osservati da tutta Roma, lo innalzarsi e il perfezionarsi gradatamente dell’arco, gli emblemi che ne riempivano i bassirilievi, le iscrizioni e sopra tutto la statua del pontefice, furono per quasi un mese r occupazione dei Romani. L’arco era situato sulla piazza del Popolo all’ingresso del Corso, ch’è la strada più nobile e più frequentata della città. Lungo il Corso per la estensione di un miglio, collocaronsi pali sormontati da due bandierette col motto Viva Pio IX collegate fra loro con guide di mirto e corone di alloro. Sopra ognuno di essi pali doveva splendere nella sera una face accesa. Ogni balcone, ogni finestra, attraeva l’attenzione per la varietà degli emblemi, delle iscrizioni, e dei ricchi e variopinti tappeti pendenti, non che per lo sfarzo dei fiori, degli ornati, e delle decorazioni di ogni sorta, talchè il descrivere tutto occuperebbe un grosso volume. Le iscrizioni del caffè nuovo venivano lette con attenzione, e furono riportate in molte stampe. Esse furono composte da Francesco Spada, mio fratello. I preparamenti per la luminaria della sera, splendidissimi, variati, di un genere insolito a Roma.

Il concorso ad una festa sì grandiosa e che da un mese teneva occupati i Romani, non poteva non essere immenso, non solo per parte dei Romani stessi, ma sì anche degli abitanti dei vicini paesi; cosicchè può dirsi, senza tema di esagerazione, che la popolazione di Roma nel giorno 8 settembre si era quasi raddoppiata.

Sono i Romani impastati naturalmente di gusto artistico, e inspirati di poesia, e di genio felicemente immaginoso, che non possono, volendo, non fare siccome fecero una bella cosa. Aggiungi, la generosità, che non fa loro conoscere grettezza e riguardare a risparmio, e lo spirito di emulazione, che in essi, quando sia acceso, è potentissimo, e di leggieri si persuaderà ognuno che sepper fare una cosa maravigliosamente bella, e superlativamente grandiosa.