Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro III/Capo II

Capo II - Letteratura de’ Cristiani de’ primi tre secoli in Italia

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Capo II - Letteratura de’ Cristiani de’ primi tre secoli in Italia
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Capo II.

Letteratura de’ Cristiani de’ primi tre secoli in Italia.

I. Gli autori dell’Enciclopedia ci han data essi i primi un’assai pregevol notizia, di cui eravamo stati finora al buio, cioè che i primi Cristiani diedero alle fiamme tutti que’ loro libri che nulla potevan giovare alla religione (Encycl. t. 2, art. Bibliothéque). Essi ne recano in pruova gli Atti degli Apostoli. Ma nel passo da loro allegato (c. 19, v. 19) altro non leggesi, se non che multi ex eis qui fuerant curiosa sectati, contulerunt libros, et combusserunt coram omnibus. Dove, come è evidente che si ragiona di quelli che avevano coltivate le superstiziose arti dell1 astrologia e della magia, così è ancora evidente che non si debbe intendere che di que’ libri che a queste medesime arti appartenevano. Oltre che, quando pur si volessero le riferite parole intendere de’ libri d’ogni maniera, ciò non raccontasi finalmente che di quelli d’Efeso; nè si può provare che fosse questo o legge, o costume generalmente ricevuto da’ Cristiani. Anzi noi veggiam che S. Paolo e nelle sue lettere e parlando cogli Ateniesi si vale più volte di qualche passo de’ greci poeti, come S. Girolamo recando i passi medesimi chiaramente dimostra (ep. 70 edit veron.). Ma più chiaramente ancora raccogliesi la falsità di questa opinione dal vedere che cristiani scrittori de’ primi secoli mostrano una perfettissima cognizione de’ sentimenti c de Tiraboschi, Voi. II. 35 [p. 546 modifica]546 LIBILO libri degli autori idolatri: e molte cose appartenenti all’antica filosofia in vano cercheremmo altrove che negli scritti di Clemente Alessandrino, di Tertulliano, di Origene, di Lattanzio , di Eusebio di Cesarea, e di altri autori cristiani che su’ libri degl’idolatri avevan fatto continuo e diligente studio per confutarli. Egli è ben vero che abbiamo un canone di un antico concilio, in cui a’ vescovi si divieta il leggere i libri degli scrittori gentili (Conc. Cartagin. 4, c. 16)5 ma questo è un divieto fatto a’ vescovi solamente, de’ quali la principale sollecitudine debb’esser rivolta a’ vantaggi del loro gregge. Così pure noi veggiam S. Girolamo lagnarsi amaramente che alcuni sacerdoti, lasciati in disparte gli Evangelj e i Profeti, leggevano commedie, cantavano egloghe amatorie e tenevano nelle mani Virgilio (ep. 21 edit. veron.). Ma egli è evidente che solo un soverchio abuso ei vuole riprendere a questo luogo; perciocchè egli stesso nomina altrove molti autori profani de’ quali solea valersi. E se talvolta, egli dice, noi siam costretti a ricordarci dei secolareschi studj che abbiamo abbandonati, non è già di nostro volere, ma direi quasi di sola necessità, affin di mostrare che le cose da’ profeti predette molti secoli addietro trovansi ancor ne’ libri de’ Greci e de’ Latini e di altre nazioni (Prol. in Daniel.). Dal qual passo e da altri somiglianti che si potrebbon recare, raccogliesi chiaramente che non vietavasi già a’ Cristiani la lettura de’ profani scrittori, ma si voleva ch’ella fosse fatta a fin di convincerne gli errori, e di stabilire e confermare la verità della [p. 547 modifica]TERZO 547 religione cristiana. Vero è nondimeno che le frequenti persecuzioni da cui travagliati furono i Cristiani, dovettero frastornarli non poco da qualunque sorta di studio. Ma noi vedremo ciò non ostante che uomini colti furono ancora tra essi e nelle scienze versati. Nel che assai più ampio argomento di ragionare ci si offrirebbe, se dovessimo abbracciare ancora la Grecia e l’Africa; ma noi non dobbiamo trattare se non di ciò che appartiene alla nostra Italia. II. Prima però di entrare a favellar di quelli tra’ Cristiani che furon celebri in Italia pel lor sapere, egli è necessario esaminare attentamente quali studj e quai letterarj esercizj in particolare leciti fossero a’ Cristiani de’ primi secoli, perchè meglio ancor si conosca ciò che sopra abbiamo accennato, che la religion cristiana non recò danno alle lettere. E in primo luogo, tanto era lungi che essa divietasse generalmente lo studio degli autori profani, che abbiamo perfin l’esempio di un Cristiano de’ primi secoli che teneva pubblica scuola a’ fanciulli. Egli è il martire S. Cassiano d’Imola, intorno a cui abbiamo un inno del poeta Prudenzio, nel quale ei narra (Peristephanon, hymn. 9) che mentre in detta città occupavasi nell’accennato esercizio, sollevatasi una persecuzione contro de’ Cristiani, ei fu come tale accusato: Praefuerat studiis puerilibus, et grege multo Septus , magister literarum sederat Ecce fidem quatiens tempestas saeva premebat Plebem dicatum christianae gloriae. Quindi siegue a descrivere come il magnanime [p. 548 modifica]5.{8 unno confessore di Cristo dannato a morte, fu abbandonato al puerile ma troppo crudele sdegno de’ suoi scolari che esser dovevano idolatri} e come questi co’ medesimi stiletti di ferro di cui solevano usare scrivendo in iscuola, contro di lui avventandosi, con lungo e stentato martirio lo straziarono sino ad ucciderlo. Io ben so ch’ella è opinione di molti che ciò accadesse solo a’ tempi di Giuliano Apostata; il che se fosse, non potremmo ritrarne argomento alcuno al nostro proposito, poichè nell’impero di Costantino e de’ suoi figli essendo la religion cristiana divenuta la dominante, non è maraviglia che allora e poscia i Cristiani tenessero scuola. Ma i continuatori del Bollando con ragioni a mio parere assai forti dimostrano (Acta SS. Aiti’ , p- ■ ri, ec.) che questo fatto non potè accadere che nell’impero di Diocleziano al più tardi. E veramente, oltrechè non sappiamo che in Italia si sollevasse persecuzione alcuna contro de’ Cristiani al tempo di Giuliano, il poeta Prudenzio parla del martirio di S. Cassiano come di cosa antica assai; perciocchè ci dice che standosi egli nella chiesa <f Imola a contemplar la pittura in cui esso era rappresentato, e non avendone contezza alcuna, ne chiese al sagrestano, il qual gli rispose che vi era dipinto un antico avvenimento eli’ era registralo ne’ libri, cioè il suddetto martirio: Hisloriam pu nirà refert, quae tradita Iibris \ crani \elusli temporis inoustral lidcui. Or se il martirio di S. Cassiano avvenuto fosse ai tempi di Giuliano, potevasi egli chiamare [p. 549 modifica]TERZO 540 antico? Prudenzio, come prova il P. Sirmondo (in not ad Ennodiiopusc. 5), nacque l1 anno 348. Giuliano salì sul trono l’anno 361. Come dunque chiamare antico un avvenimento seguito mentre egli contava almeno tredici anni di età? Egli è dunque troppo probabile, come abbiam detto, che il martirio di S. Cassiano si debba fissare al più tardi sotto l’impero di Diocleziano, e abbiamo perciò in esso l’esempio di un Cristiano che anche sotto gl’imperadori idolatri teneva pubblica scuola, nè credeva con ciò di fare cosa dalla sua religione vietata. III. Ma a parlare sinceramente, sembra che S. Cassiano altro non insegnasse a’ fanciulli fuorchè il semplice scrivere; nè in tutto l’inno di Prudenzio io non trovo espressione che.accenni scuola di gramatica o di rettorica. Potrebbe dunque poco opportuno parer questo fatto a provare che i Cristiani coltivassero ancora nei primi secoli i profani studj; ma non ce ne mancano altri più chiari esempj. Potrei qui fare menzione della filosofica scuola che tennero pubblicamente in Alessandria e Panteno e Ammonio e Clemente Alessandrino e Origene, tutti vissuti a tempo degl’imperadori idolatri; ma io non voglio far motto se non di ciò che appartiene all’Italia. Egli è vero che Panteno non solo dai Siciliani (V. Mongit. Bibl. Sic.), ma da altri ancora (V. A da SS. Jul. t. 2, p. 460) dicesi siciliano di patria; ma, s’io debbo parlare sinceramente, il testo di Clemente Alessandrino, a cui quest’opinione s’appoggia, è così intralciato, che non se ne può abbastanza accertare il senso; e oltre ciò, [p. 550 modifica]55o LIBRO ancorché di Panteno si dovessero veramente intendere quelle parole sicula apis, ciò non ostante , come sappiamo che le api siciliane erano singolarmente in pregio per la dolcezza del loro mele (Plin. Hist. l. 11, c. 13,. 14)? P°~ trebbesi dubitare che Clemente con un tal nome appellasse Panteno non a indicarne la patria , ma a spiegarne l’erudizione, nella stessa maniera che noi d’un uomo furioso e impotente diciamo che egli pare un leone africano. Io non voglio dunque nè togliere un tal onore a’ Siciliani, nè valermene come di cosa che appartenga certamente all’Italia; e molto più che non sappiamo eli’ egli in Italia ponesse il piede, vissuto prima in Alessandria, e di là passato a recare il Vangelo all’India. L’esempio sol di Lattanzio chiamato a Nicomedia per tenervi scuola di rettorica basta a mostrarci che fin da’ primi secoli non era questo esercizio creduto non proprio d’uom cristiano; e che perciò non dee credersi al Funcio (De vegeta lat. ling. senect. c. 1, § 21) e ad alcuni altri scrittori. i quali affermano che tutti quelli i quali dall’idolatria passavano al cristianesimo, abbandonavano tosto i profani studj della poesia e dell’eloquenza. Ma di Lattanzio dovrem favellare tra poco, e allora insiem mostreremo per quali ragioni crediamo di poterlo probabilmente annoverare tra’ nostri scrittori. IV. Veggiamo ancora tra’ Cristiani de’ primi secoli il celebre Minucio Felice trattar le cause nel foro romano. È incerto a qual tempo ei vivesse precisamente, perciocchè il Dodwello sostiene eli’ egli fiorisse agli ultimi anni [p. 551 modifica]TERZO 551 dell1 imperador Antonino Pio (/fa. Cyprian. iti), altri più comunemente il fan posteriore di molto; ma certamente egli è più antico di Lattanzio, il quale fa menzion di Minucio (Inst. l. 1, c. 11; l. 5, c. 1); e perciò convien dire eli’ egli vivesse al più tardi circa la metà del III secolo. Credesi da molti eli’ ei fosse africano, ne noi abbiam ragione a negarlo; ma visse lungamente in Roma, e vi si esercitò nel trattare le cause, come abbiamo da S. Girolamo: Minutius Felix Romae insigni caussidicus (De Vir. ill. c. 58). Ma vi sarà forse chi pensi, come ho dubitato io pure, ch’egli solamente, mentre era ancor gentile, in ciò si occupasse; e che abbracciata la religion cristiana abbandonasse l’antica sua professione. Egli stesso però chiaramente ci mostra eli’ egli anche cristiano proseguì a trattare le cause; perciocchè nell’esordio dei suo dialogo intitolato Ottavio egli dice che era uscito di Roma godendo l’opportuna occasion del riposo che gli davano dalle giudiciali fatiche le ferie autunnali: sane et ad v inde mi am ferine judìciariam curam relaxaverunt (c. 2). Continuò egli dunque ancor cristiano a esercitarsi nel foro, nè pensò che la religione da lui abbracciata gliel divietasse. E forse lo studio delle leggi e dell’eloquenza, a cui perciò dovette impiegar molto tempo, non gli permise di acquistare quella cognizione intera e profonda de’ nostri misterj che a trattar l’argomento del suddetto suo Dialogo sarebbe stata opportuna. Perciocchè, quanto egli è felice nel deridere i superstiziosi errori degl’Idolatri, altrettanto è superficiale e leggiero [p. 552 modifica]55a libro nel provare la verità della religion cristiana; e quindi di lui disse Lattanzio (l. 5, c. 1) che questo Dialogo mostra quanto valoroso difenditore di essa sarebbe stato Minucio , se tutto ad essa rivolto avesse il suo studio. E certo, per ciò cli’ è dello stile, esso è assai più colto di quello che comunemente soglia vedersi negli scrittori del III secolo. V. Egli è probabile che altri ancora tra’ Cristiani seguisser l’esempio di Minucio Felice, per quanto loro il permettevan le circostanze de’ tempi. Questi furon per essi talvolta così felici, che un Cristiano si vide perfino assiso tra’ senatori romani. Fu questo Apollonio, che con tal nome è onorato da S. Girolamo (De Vir. ill c. 42), il quale di lui racconta che a’ tempi di Commodo tradito da un suo servo, ed accusato qual Cristiano, ottenne di poter render ragione della sua fede; e che avendo intorno ad essa composto un insigne libro, il lesse pubblicamente nello stesso senato, e che ciò non ostante fu condennato a perder la vita sotto la scure. Lo stesso raccontasi da Eusebio (Hist. eccl. l. 5, c. 21), il-quale aggiugne che Apollonio era uomo e nelle lettere umane e nella filosofia erudito assai. Egli non gli dà veramente il titolo di senatore; ma non è a credere che S. Girolamo gli desse tal nome senza averne almeno un probabile fondamento. La medicina per ultimo fu aneli’ essa da’ Cristiani de’ primi secoli esercitata, e oltre l’esempio dell evangelista S. Luca, il dottissimo P. Mainatili dell1 Ordine de1 Predicatori reca alcune antiche lapide (Origin. et antiq. christ. t. 3, [p. 553 modifica]TERZO 553 p. iG, ee.), nelle quali alcuni medici cristiani si veggono nominati. Sul qual proposito è degnissima d’esser letta l’erudita dissertazione di questo celebre autore intorno alle arti con cui gli antichi Cristiani sostentavan la vita. Ma io non debbo parlare se non di ciò che alla letteratura appartiene, e parmi di aver già mostrato abbastanza che la religion cristiana, anche quando i seguaci ne erano più rigorosi osservatori, non fu nemica degli studj di qualunque maniera; nè vietò il coltivarli, trattine quelli che più a superstizione appartenevano che non a scienza. VI. Non è dunque a stupire che anche ne’ primi secoli vi fossero tra’ Cristiani uomini dotti non sol nelle sacre, ma ancora nelle profane scienze. Io verrò annoverando alcuni di quelli che furono di nazione italiani. Di essi però parlerò brevemente; perciocchè tutto ciò che appartiene agli scrittori ecclesiastici, è stato già rischiarato per tal maniera da molti valentuomini, e singolarmente dal Cave tra i Protestanti , e dal Ceillier tra i Cattolici, che appena rimane che aggiugnere alle erudite loro ricerche. Tra questi io non parlerò de’ romani pontefici , benchè italiani di patria, de’ quali sol qualche lettera ci sia rimasta’ , come di S. Clemente romano, di cui abbiamo una Lettera a’ Corintii, e parte ancora di una seconda lettera a’ medesimi, la qual ultima però da molti gli si crede supposta. Egli dovrebbe bensì aver luogo in quest’opera, se fosse autore de’ Canoni e delle Costituzioni Apostoliche. e delle Ricognizioni ossia degli Atti e della Storia del [p. 554 modifica]554 LIBRO principe degli Apostoli. Ma non vi ha alcun tra’ moderni che non sappia ch’esse falsamente se gli attribuiscono (V. Ceilliert. 2,p. 573-, t. 3, p. 282). Lo stesso dicasi di S. Cornelio e di S. Stefano, del primo de’ quali abbiamo ancor qualche lettera , del secondo solo qualche frammento (Ceillier t. 1 , p. 598). Cosi ancor io passerò sotto silenzio que’ molti che nati in paese straniero vennero e dimorarono per alcun tempo in Roma , come S. Policarpo, S. Giustino, S. Ippolito ed altri; ed alcuni capi delle antiche eresie, quali furono Valentino, Marcione, Taziano ed altri quasi tutti stranieri che vennero a Roma a spargervi i loro errori. Io non seguirò dunque l’esempio degli scrittori della Storia letteraria di Francia, a’ quali basta che uno vi abbia, per così dire, posto una volta il piede, perchè il contin tra’ loro; ma ristringerommi a que’ soli che furono veramente italiani, e che coToro scritti alle scienze o sacre o profane recarono ornamento. VII. Ma a dir vero, assai poco è quello che ne possiam rammentare. Il pontefice S. Sotere nativo di Fondi in Terra di Lavoro, e sollevato alla sede apostolica l’an 168, avea scritto un libro contro l’eresia de’ Catafrigi, di cui era autore Montano, come afferma l’antico autore che col nome di Predestinato è stato pubblicato dal P. Sirmondo (n. 26), al qual libro avea risposto Tertulliano lasciatosi miseramente avvolgere nell’errore di questa eresia (ib. n. 86); ma nulla ce n’è rimasto. Il P. Ceillier nondimeno fondato sulla cronologia e sul silenzio di S. Girolamo e di Eusebio, erede, e [p. 555 modifica]TERZO 555 panili a ragione, clic non delibasi in ciò dar fede a questo benchè antico scrittore (t. 2, p. 90). Un altro pontefice più antico ancor di Sotere, cioè S. Lino, dovrebbe qui aver luogo, se potessimo fidarci all1 autorità di Sigeberto autore del xii secolo, che afferma (De Script, eccles.) aver esso scritto due libri del martirio de’ SS. Apostoli Pietro e Paolo. Que’ che ora abbiamo sotto tal nome, non vi ha alcuno che non gli creda supposti. E questi sono probabilmente che han tratto Sigeberto in errore. Ma io ho voluto far menzione di questo pontefice per chiedere agli eruditi Enciclopedisti per qual ragione abbian di lui parlato con sì grande disprezzo, coni’ essi han fatto. S. Lino, dicono (art. Volt erre), che ci si dà per immediato successor di S. Pietro alla sede romana, era natio di questa città (Volterra); ma la sua vita è interamente sconosciuta, e verisimilmente ella era assai oscura, essendo egli senza autorità , senza chiesa e senza credito. Questa veris orni gli anza in che è ella fondata? Un pontefice romano era egli senza autorità e senza chiesa? E che fosse ancor senza credito, come il provano essi? Ma torniamo agli scrittori ecclesiastici italiani. VIII Caio prete della Chiesa romana, e probabilmente romano di nascita, fiorì sul principio del III secolo, e fu poscia ordinato Vescovo delle Genti, come afferma Fozio (Bibl. n. 48), ossia, come sembra doversi spiegare, mandato a predicar la fede a’ Gentili che vivevan tra i Barbari. Alcuni libri egli scrisse a confutazione singolarmente dell’eresia de1 [p. 556 modifica]556 LIBRO Montanisti. coi quali ebbe una conferenza; e qualche frammento di questo autore ci è stato conservato da Eusebio (Hist. eccl. l. 2, c. 23; l. 2, c. 28; l. 6, c. 20, ec.). I due illustratori della storia letteraria di Aquileia molisi g. F011lanini e il sig. Giangiuseppc Liruti parlano lungamente di S. Ermete che dicesi fratello del pontefice S. Pio I, e da cui si crede composto un trattato sulla celebra/,ioti della Pasqua (Fontanini Hist. litter. aquil. p. 63; Liruti Scritt.. del Friuli, t. 1, p. 15). Il P. Cillier pare che non si fidi abbastanza delle autorità che a provarlo da essi si adducono (t 1, p. 588); nè io credo di dovermi trattener nell1 esame di una questione intorno a cui nulla potrei aggiugnere a’ mentovati scrittori. Ma uomo singolarmente dotto fu Novaziano. di cui due opere ancor ci rimangono, una su’ cibi giudaici, l1 altra sulla Trinità, oltre alcune altre che son perite. Egli però fece uso troppo reo del suo stesso talento valendosene ad eccitare nella Chiesa romana uno scisma eli1 ebbe funestissime conseguenze (V. Ceillier t. 3, p. 290). Questi sono i soli scrittori sacri de’ quali possiam gloriarci, oltre Lattanzio di cui or ora ragioneremo; mentre frattanto i Greci ebbero un Clemente Alessandrino , un Origene , un Ireneo , un Dionigi Alessandrino ed altri dottissimi uomini che la Chiesa illustrarono co’ loro libri. Di questa diversità tra i Latini e tra i Greci due ragioni si possono a mio parere arrecare. In primo luogo le turbolenze di Roma e delf Italia tutta in tanti sconvolgimenti a cui l’Impero fu in questi secoli sottoposto, che, [p. 557 modifica]TERZO 557 come leccio illanguidir in Italia gli studj tutti, così ancora vietarono a’ Cristiani l’applicarsi ferventemente alle scienze lor proprie, alle quali vicende assai meno fu sottoposta la Grecia e l’Egitto. In secondo luogo le persecuzioni che in Roma e in tutta l’Italia furono più feroci e più sanguinose assai che in altre provincie, perchè i Cristiani erano comunemente sotto l’occhio de’ monarchi persecutori; e quindi essi costretti sovente o a fuggire, o nascondersi , non godevano di quell’agio e di quella tranquillità senza cui mal si possono coltivare le scienze. Non è perciò a stupire che sì pochi scrittori sacri troviamo in Italia di questi tempi. IX- I jattanzio è il solo che colle sue opere abbia in questi primi tempi acquistato gran nome, ed io lo ripongo tra gli scrittori del III secolo, perchè in esso cadde la maggior parte della sua vita. Niuno degli antichi scrittori ne accenna la patria. Tra’ moderni alcuni il fanno africano, appoggiati a ciò che nella Cronaca Eusebiana si legge ch’ei fu discepolo di Arnobio, di cui sappiamo che tenne scuola di eloquenza in Sicca città dell’Africa; altri il fanno italiano, fondati sul nome medesimo di Firmiano , come se esso volesse indicar Fermo sua patria. Fra questi più valorosamente di tutti ha sostenuta una tal opinione il P. Edoardo da S. Saverio carmelitano scalzo che su questo argomento ci ha data una lunga ed erudita dissertazione (in Lactant. Op. decas 1, diss. 1, 2). Egli afferma che in quasi tutti gli esemplari a penna da lui veduti, benchè nel frontespizio si leggano solo i nomi di Lattanzio Firmiano, IX. Di qual patria (bue Lai t ansio. [p. 558 modifica]558 LIBRO al fine però di ciascun libro vi sono quasi sempre aggiunti il prenome di Lucio e il nome di Celio. Dal che conchiude che ove in altri codici si legge Cecilio (come veramente si legge in quattro almeno (V. Cat. MSS. Bibl. reg. t. 3, cod. 1662, 1663, 1667, 2627) di que’ della regia biblioteca di Parigi) debbasi attribuire ad error de’ copisti. Egli osserva inoltre, e prova con più esempj presi dalle antiche iscrizioni, che Firmiani si dicono ancora i cittadini di Fermo; benchè, a dir vero, gli esempj ch’egli ne arreca, non mi sembrino convincenti. Da varj passi di Lattanzio a lui sembra di poter raccogliere chiaramente ch’egli stesso si faccia romano, benchè per altro non ve n’abbia a mio credere alcuno che possa far certa pruova. Da questi e da altri somiglianti argomenti che presso lui si posson vedere, egli congettura e sostiene che Lattanzio fosse della famiglia de’ Celj, che certo era romana, ma che in occasione della spedizion di qualche colonia passasse a Fermo. A me non pare che tutte le ragioni da lui addotte rendano abbastanza certa questa opinione; ma parmi ancora che la rendano abbastanza probabile. E certo s’egli ebbe tutti i nomi che in alcuni codici gli si danno, cioè di L. Celio, o Cecilio Lattanzio Firmiano, questi medesimi il mostrano almeno di origine romano. Inoltre lo stile ch’egli usa, colto assai ed elegante , non par convenirsi ad uomo nato e vissuto in Africa, i cui scrittori benchè sieno eloquenti, come Tertulliano e S. Cipriano, hanno nondimeno una cotale asprezza, per cui si distinguono agevolmente da’ nativi Latini. [p. 559 modifica]TERZO 55t) Quindi mi sembra di aver sufficiente ragione a registrarlo tra gli scrittori italiani, uguale almeno a quella che gli Africani possono avere di registrarlo tra’ loro. X. Non è parimenti ben certo s’ei nascesse di genitori cristiani, o se fosse prima per alcun tempo idolatra. Alcuni, e tra essi gli scrittori della Storia letteraria di Francia, che secondo il loro costume lo hanno annoverato tra gli scrittori francesi, perchè visse per alcuni anni e morì in Francia, dicono (t 1, part. 2, p. 66) che egli abbracciò la religione cristiana in Nicomedia, ove era stato chiamato a’ tempi di Diocleziano per tenervi scuola di eloquenza; e che dopo averla abbracciata cessò da questo esercizio. Ma il dotto P. le Nourry afferma (Appar. ad Bibl. PP. t. 2, diss. 3, c. 1) di non aver trovata in Lattanzio parola alcuna da cui si possa raccogliere che egli sia stato per alcun tempo idolatra. Lo scarso numero di scolari che in Nicomedia egli avea a cagione probabilmente della lingua latina poco curata in una greca città, il fè rivolgere a scriver libri , per cui assai più che per la sua scuola divenne celebre. Chiamato quindi nelle Gallie ad istruirvi il giovane Crispo primogenito di Costantino, vi passò il rimanente della sua vita, e vi morì in estrema vecchiezza circa l’an 325. Intorno a che e alle altre cose che a lui appartengono , sì veggano singolarmente i suddetti autori della Storia letteraria di Francia , il P. Edoardo da S. Saverio da noi inem tovato poc1auzi, e il P. Ceillier (t. 3 f p. ò8~), x. Notine della sua vita. [p. 560 modifica]XI. Sur «jnrTe r. loro faratter*. Ùtio LIBRO TERZO’ X.L Tra le opere da lui composte, celebri sono singolarmente le Divine Istituzioni, nelle quali e combatte le gentilesche superstizioni , e pruova la verità della religion cristiana. Di esse ei fece ancora un Compendio, di cui esiste il celebre codice nella regia biblioteca in Torino (V. Cat. Codd.MSS.Bibl. taur. t. 2, p. 268, cod. 840). Pregevolissimo è ancora il libro delle Morti de’ Persecutori, che per la prima-volta fu pubblicato da Stefano Baluzio. Di esso alcuni vorrebbon credere autore un cotal Lucio Cecilio, e non Lattanzio; ma le lor ragioni non sembran tali a’" più intendenti, che debbano farci dipartire dalla comune opinione (V. Ceillier l. c. p. 406). Nella Cronaca Eusebiana egli vien detto il più erudito uomo dei suoi tempi5 ma insieme si aggiugne ch’egli fu sempre povero per tal maniera, che spesse volte delle stesse cose necessarie era mancante. Di lui parla ancora con molta lode S. Girolamo (De Script, eccles. c. 80), ma insieme osserva che più felice egli fu nel combattere le gentilesche superstizioni, che nel provare la verità della religion cristiana. Lactantìus , die’ egli (rp. 49 ad Paullinum), quasi quidam fluvius eloquentiae Tullianae, utinam tam nostra affirmare potuisset, quam facile aliena destruxit. E in vero parecchi errori in ciò che al dogma appartiene, trovansi in Lattanzio (V. Ceillier l. c.)3 molti però de’ quali sono a lui comuni con altri scrittori sacri di questo tempo medesimo, in cui le cose della religione non avean ancor ricevuto quel lume che poscia da’ generali Concilj e da’ Padri greci e latini de’ susseguenti secoli è stato loro recalo.