Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro III/Capo I

Capo I - Letteratura delle provincie d’Italia

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Capo I - Letteratura delle provincie d’Italia
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Capo I.

Letteratura delle provincie d’Italia.

I. Aa’avere una giusta idea dello stato in cui era nei tempi della repubblica e de’ primi imperadori romani la letteratura nelle provincie italiane, ci farebbe d’uopo avere alcuni de’ loro storici antichi che qualche esatta notizia ce ne avesser lasciata. Ma o esse non ebbero storici di sorta alcuna, o se ne ebbero, niuno di essi ci è pervenuto. Altro dunque non possiam fare che andar raccogliendo laboriosamente ciò che quasi per incidenza ce ne hanno detto gli storici romani e greci, e ciò che dall’esame di alcuni antichi monumenti si può ricavare. Noi il faremo con quella maggior diligenza che sia possibile, per illustrare un argomento che non so se da alcuno finora sia stato espressamente trattato. Nè io intendo però di parlare di ciascheduna delle italiane città, e di esaminare qual fosse in esso lo stato della letteratura. Oltre che sarebbe ella cosa di troppo lunga e noiosa ricerca, converrebbe ancora che ogni città avesse avuti diligenti raccoglitori degli antichi suoi monumenti. Or benchè l’Italia sia stata in ciò più assai ch’ogni altra provincia felice pel gran numero di valentuomini che singolarmente in questi ultimi tempi si son rivolti a ricercare e ai’illustrare le antichità della lor patria, vi sono però ancora città e provincie che non hanno avuta tal sorte; e nemmeno tutti i libri, che abbiam moltissimi su questo [p. 522 modifica]n. Nella Magna Grecia , e singolarmente in Napoli si continua a coltivare gli studi. 523 LIBRO argomento, ho io potuti vedere. E qual biblioteca vi è mai che possa vantarsi d’averli tutti? Io dunque verrò sponendo ciò che di più memorabile mi è avvenuto di ritrovare in questa materia} il che ho voluto avvertire perchè non siavi per avventura chi pensi ch’io di tale o di tal altra- città non abbia parlato, perchè l’abbia in conto di trascurata e negligente nel volgersi a coltivare le scienze. II. E primieramente a tutta l’Italia rende Cicerone un’onorevole testimonianza, dicendo che negli anni suoi giovanili era essa con ardore rivolta alla greca letteratura, e nel Lazio singolarmente coltivavasi questa con grande impegno, benchè poscia il fervore si fosse rattepidito: E rat Italia tunc plena graecurum artium ac disciplinarum; studiaque haec et in Latio vehementius colebantur quant nunc iisdem in oppidis (pro Archia n. 3). Ma in particolar maniera ei loda gli abitanti di Taranto, di Reggio in Calabria e di Napoli, perchè ad Archia da essi conosciuto ed onorato come eccellente poeta aveano per ciò solo conceduta la cittadinanza ed altri privilegi (ib.). Erano questi in fatti que’ paesi medesimi anticamente compresi nella Magna Grecia, ne’ quali quanto felicemente fiorissero i serj non meno che gli ameni studj, abbiam dimostrato a suo luogo. Nè è perciò maraviglia che qualche vestigio ancora vi rimanesse dell’antico fervore nel coltivarli (10). E (a) Già abbiamo altrove avvertito che quando la Magna Grecia e la Sicilia vennero in poter de" Roin.ini, la lingua latina cominciò prima ad esservi più [p. 523 modifica]TERZO 5?.3 in ciò che appartiene a poesia singolarmente, abbiamo non pochi documenti a provare che essa era ancora in gran pregio presso quei popoli. Svetonio fa menzione di un combattimento in Napoli istituito in onor di Augusto, che ogni cinque anni doveasi rinnovare (in Aug. c. 99). Ei dice solo ch’era combattimento di ginnastica) ma da Strabone autore contemporaneo noi raccogliamo ch’era ancora di musica (Geogr. l. 5), e in conseguenza di azion teatrale. E veramente lo stesso Svetonio racconta che l’imperador Claudio rappresentar fece in Napoli una sua greca commedia che per sentenza de’ giudici destinati a decidere intorno al valore de’ gareggianti poeti fu riputata meritevole di corona (in Claud. c. 11). E questi appunto furono que’ poetici combattimenti ne’ quali abbiamo altrove veduto che il padre di Stazio e poscia il poeta Stazio medesimo furon più volte dichiarati gloriosamente vincitori (V. sup. l. 1, c. 1). E questa forse fu ancor l’occasione a cui Nerone salì in Napoli sul teatro a darvi pruove più della sua stoltezza che della sua conosciuta, poi a contrastar colla greca, e finalmente giunse quasi a vincerla e a sbandirla da quelle provincie, talché Strabone dolevasi che a’ suoi tempi Napoli, Taranto e Reggio eran le sole città che tuttor potessero dirsi greche. Gli onori che qui si accennano, renduti in quelle città ad Archia, e la commedia greca fatta rappresentar da Claudio in ¡Napoli ci mostrano che continuava ivi ad essere in fiore la greca letteratura. E più altre pruove ne arreca il sig. Don Pietro NapoliSignorelli che recentemente ha assai bene illustrato questo argomento (Vicende della Coltura nelle Due Sicilie , t. 1, p. i , ec.). [p. 524 modifica]III. Teatri in diverse altre città di quelle provincie. 5a4 LIBRO voce (Svel. in Ner. c. ao). Tali letterarie gare ci fan conoscere che uomini amanti dell’amena letteratura erano i Napoletani: il qual fervore si mantenne tra lor lungamente, perciocchè Filostrato ancora, che vivea a’ tempi (di Settimio Severo, dice (praef. ad. l. 1 Icon.) che uomini colti essi erano e nelle lettere greche assai esercitati (11). III. Nè in Napoli solamente, ma in altre città ancora che ora appartengono al regno di questo nome, noi ritroviamo non pochi indicj a provare il felice stato in che vi eran gli studj singolarmente poetici. Il teatro che nelle rovine di Ercolano si è scoperto, ci mostra che le sceniche rappresentazioni vi erano in uso; e perciò, come in Napoli ancora, esser dovevanvi probabilmente poeti che le componessero. E inoltre i bei monumenti che ne sono stati disotterrati, come ci provano l’eccellenza di quegli abitanti nelle arti liberali, così possono ancora servire di conghiettura a conoscere il loro impegno nel coltivare gli studj che sogliono aver colle arti una medesima sorte. È degna d’essere letta su questo argomento una dissertazione di Giannersto Emanuele Walchio sulle (*) A’ monumenti qui da me accennati, i quali ci mostrano che in Napoli ne’ tempi della repubblica un’ambasciata de’ primi Cesari fiorirono felicemente gli studi, se ne possono aggiugner più altri prodotti dal sig. Giangiuseppe Origlia nel primo libro della erudita sua Istoria dello studio di Napoli, stampata in questa stessa città nel 1753, in cui viene di secolo in secolo dimostrando la continuata successione che ivi fu di scuole non meno che d’uomini dotti fiuo alla fine del xii secolo. [p. 525 modifica]terzo. 5a5 letterarie antichità di Ercolano, stampata in Jena l’anno 1 ^51; nella quale però parmi che talvolta l’erudito autore più alle conghietture si appoggi che alle pruove. Teatro parimenti eravi in Pozzuoli per testimonio di Gellio, il quale racconta (l. 18, c. 5) che eravi a suo tempo un cotale che radunato il popolo sul teatro soleva ad alta voce leggere gli Annali di Ennio; il che non avrebbe egli fatto, se gli abitanti non fossero stati vaghi di erudizione e di poesia. Ed è verisimile che somiglianti teatri fosser pure in molte altre città di queste provincie medesime. In Capova eravi certamente non sol teatro (Murat. N. Thes. Inscr. t 1, p. 290), ma anfiteatro ancora, di cui ha con somma erudizione trattato il celebre canonico Mazzocchi. Ma degli anfiteatri non è mia intenzione di qui favellare; perchè non essendo essi destinati a letterarie rappresentazioni, ma solo a’ giuochi ed agli spettacoli, non ne possiam ricavare argomento alcuno a vantaggio della italiana letteratura. IV. Oltre i teatri de’ quali abbiamo parlato, altri monumenti ancora possiam recare del fiorir che facevano in queste provincie gli studi d’ogni maniera. Racconta Gellio (c. 9, l. 4) che tornando egli da Grecia in Italia, e avendo posto piede a terra in Brindisi, si vide alla vendita esposto un mucchio di libri greci ch’egli tosto comperò avidamente; i quali non si sarebbono ivi esposti, se i cittadini non fossero stati tali che si potesse sperare di farne vendita. Una biblioteca pure veggiamo in Sue ssa in una iscrizione dell’anno della nostra era 139 [p. 526 modifica]V. Nella Sicilia ani ora rotili ■ iinano a fiorire gli studi. 5aG. libro presso il Gmtero (t. 2, p. 4/5)- Veggansi ancora le Antichità di Benevento dell1 eruditissimo canonico Giovanni di Vita, in cui egli mostra (diss. 8, p. 219) esservi stati fin da’ più antichi tempi in questa città pubbliche scuole, e fervore nel coltivare gli studj. E certo non solo i frequenti viaggi, ma il villeggiare che i Romani facevano in queste provincie, molto dovea concorrere a mantenervi quell1 amor degli studj e delle bell’arti, onde fin dai tempi più antichi erano esse state famose. Fin a (quanto durasser le cose in sì lieto stato, non si può accertare; ma egli è probabile che quelle medesime turbolenze che a poco a poco estinsero in Roma l’ardore con cui si coltivavan gli studi, producesser nelle provincie ancora lo stesso funesto effetto. V. Anche la Sicilia non avea cessato di amar quegli studj che anticamente sì celebre l’avean renduta. Non vi erano più nè gli Stesicori, nè i Teocriti, nè i Moschi; ma ciò non ostante la poesia non doveva esserne stata ancora cacciata in bando, poichè sappiamo che vi erano più teatri, come in Palermo, secondo che da un’antica iscrizione raccoglie e pruova Agostino Inveges (Ann. Panormit. aera 3, § 29), in Siracusa, il cui teatro rammentasi da Cicerone colf aggiunto di Massimo (l. 4 in Vc.rr. n. 53), e in altre città di quell’isola, di che si posson vedere i recenti siciliani scrittori che le antichità della lor patria hanno in questi ultimi anni ricercate e illustrate con diligenza non meno che con erudizion singolare. Il lungo soggiorno che fece Porfirio, come abbiamo altrove [p. 527 modifica]TERZO 527 veduto, in Sicilia, ci fa congetturare che anche i filosofici studj vi fossero con ardor coltivati , perciocchè egli non avrebbe verisimilmente fissata la sua dimora tra uomini che non curassero punto i suoi studi e le sue dottrine. VI. Io non uscirei facilmente da questo argomento, se a pruova del fiorire che facevan gli studi nelle altre città d’Italia volessi rammentar tutte quelle in cui troviamo esservi stato teatro. Avea Padova il suo; e leggiamo in Tacito (Ann. l. 16, c. 21) che il celebre Trasea Peto, eh1 era natio di questa città, non isdegnò di salirvi, e di rappresentare un personaggio di tragedia. Aveva il suo ancor Pesaro, come dimostra il celebre e tanto benemerito delle antichità italiane sig. Annibale degli Abati Olivieri (Not. ad marm, pisaur. p. 13). Un teatro presso il lago di Bolsena vien rammentato in un’antica iscrizione pubblicata dal Muratori (Thc.s. Inscr. t.1, p. 274); e generalmente nella Toscana doveano i teatri essere assai frequenti sì per l’amore de’ teatrali spettacoli, che nei tempi più antichi era stato proprio degli Etruschi , sì per la vicinanza con Roma, il cui esempio avrà facilmente risvegliato nelle confinanti provincie desiderio d’imitazione. In fatti attesta il Borghini (Discorsi t 2, p. 183) che in quasi tutte le principali terre della Toscana si veggono rovinosi avanzi di antichi teatri. Lo stesso dicasi del Lazio, nelle cui città è probabile che molti fossero i teatri; perchè ivi ancora eran frequenti le villeggiature de’ cavalieri romani. Certamente eravi teatro in Anzio, [p. 528 modifica]5a8 libro coinè con molti argomenti dimostra il P. Giuseppe Rocco Volpi della Compagnia di Gesù (J:’t. Latium, t. 3, p. 143), il quale inoltre opportunamente al nostro intento riflette che la persuasione in cui erano i Romani e gli altri antichi Idolatri che i teatrali spettacoli molto contribuissero a placare lo sdegno degl’Iddii, dovette rendere assai frequenti i teatri. Io ben so che il vedere in una città il teatro non basta a conchiudere che vi sian valorosi poeti. Ciò che abbiam sotto gli occhi ne’ nostri tempi, ci può servire di norma a ragionar su gli antichi. Ma nondimeno egli è certo, e noi appunto il veggiamo colla sperienza, che in una provincia in cui siano frequenti i teatri, benchè spesso si rappresentino in essi tragedie e commedie di antichi o stranieri autori, appena però è mai che non vi siano alcuni poeti che mossi dall1 occasione e dalla speranza di farsi nome si volgono a coltivare la poesia drammatica. Quindi il veder sì frequenti i teatri in Italia a’ tempi di cui parliamo, può essere sufficiente argomento a inferirne l’amor e lo studio della teatral poesia negli abitanti. VII. Di questo argomento medesimo potrei valermi a mostrare il lieto stato della letteratura anche in quelle altre città e provincie che ora sotto il nome di Lombardia vengon comprese, perciocchè egli è verisimile che in esse ancora fosser teatri; e per riguardo ad alcune potremmo ancora asserirlo con probabile fondamento, come in Brescia, dove Ottavio Rossi afferma esisterne ancora i vestigi (Mem. Bresciane, p. 32). Ma come ne abbiam altre anche [p. 529 modifica]TERZO ¡J21J più certe pruove, di queste anzi piacemi a (questo luogo dì usare. E innanzi a tutte le altre città vuolsi qui fare menzione di Como, perciocchè un suo cittadino, cioè Plinio il Giovane ne ha renduto colla sua beneficenza celebre ed immortale il nome. Abbiamo già altrove accennato coni’ egli udì con dolore che nella sua patria non vi eran pubbliche scuole, e che i giovani eran perciò costretti ad andarsene a Milano. Ma troppo è bello tutto quel passo di Plinio, perchè non debba esser qui riferito. Essendo io stato di fresco in patria, scrive egli allo storico Tacito (l. 7, ep. 13), venne a trovarmi un giovinetto figliuolo cf un mio concittadino, a cui io , Stu dii tu, dissi? Sì certo. E dove? In Milano. Perchè non anzi qui in patria? Allora il padre eli era presente, e che avevami condotto il giovane, Perchè qui, disse, non abbiamo maestri. E perchè ciò? soggiunsi io. Voi che siete padri (e opportunamente ve ri avea molti ad udirmi) dovreste certo bramare che qui anzi che altrove studiassero i vostri figli; perciocchè dove staranno essi più volentieri che nella lor patria? dove saranno allevati più onestamente che sotto gli occhi de’ lor genitori?; dove mantenuti con minor dispendio che nella propria casa? Che gran cosa è ella dunque unire insieme il denaro, e chiamare pubblici professori? E ciò che voi ora spendete nelle abitazioni, ne’ viaggi e nelle cose che si comprano ne’ paesi stranieri (come tutte veramente si comprano), rivolgerlo a loro stipendio? Io stesso che non ho ancora figliuoli, son pronto a dare per questa nostra repubblicat Tmmuoschi, Voi IL 34 [p. 530 modifica]i>3o LIBRO cdiuc s’ella fosse mia figlia , o anzi mia madre , la terza parte di quella somma che a voi piacerà perciò di fissare. Tutta ancora io la preme LI rei, se non temessi che questo mio dono non servisse un giorno di pascolo all’altrui ambizione, come, veggo accadere in molte città, ove a spese del pubblico si fan venire i maestri. Questo danno non si può prevenire altrimenti che col lasciare ai soli genitori il diritto di scegliere i professori, e obbligandoli a contribuirvi parte delle lor proprie sostanze, determinarli a una saggia elezione. Perciocchè coloro che non sarebbon forse troppo solleciti de’ beni altrui, saranno certo solleciti de’ loro proprj; e faranno in modo che non si doni se non a chi ne sia degno il mio denaro, se il lor denaro ancora dovranno donargli. Raccoglietevi dunque e unitevi insieme in un medesimo sentimento, e prendete coraggio ed esempio da me che. bramo che sia moltissimo ciò che a tal fine dovrò impiegare. Voi non potete far cosa nè più onesta pe’ vostri figli, nè alla patria vostra, più grata. Color che qui nascono, qui ancora siano educati; e fin da fanciulli prendano ad amar la lor patria e ad abitarvi. E piaccia al cielo che sì valorosi siano i maestri da voi trascelti, che le vicine città da voi apprendan le scienze; e come ora i vostri figliuoli sen vanno tra gli stranieri, così gli stranieri vengano in avvenire tra voi. Tutto ciò ho io pensato di doverti svolgere, o Tacito, e raccontare distesamente, perchè tu intenda quanto mi sarà caro che ti adoperi in ciò ch’io ti chieggo. Or io ti chieggo, e per l’importanza [p. 531 modifica]TERZO 53I dell’affare caldamente ti prego, che tra ’1 numero degli eruditi i quali per ammirare il tuo ingegno vengono a visitarti, osservi diligentemente chi sian coloro a cui possiamo ricorrere per questo impiego; a tal patto però eh’io non dia parola ad alcuno. Tutto debb’essere in mano de’ genitori. Essi giudichino; scelgano essi; io mi riserbo soltanto il pensiero di questo affare e la spesa. Se alcun dunque si troverà che si fidi del suo sapere, ei vada a Como, a condizione però ch’ei non porti seco altra sicurezza di essere trascelto a maestro, se non la fiducia che ha nel suo proprio ingegno. Qual esito avesse questo generoso e prudente consiglio dell’ottimo Plinio, noi nol sappiamo; ma egli era troppo amante della sua patria per credere che nol conducesse ad effetto. Forse a questo fine medesimo fu indirizzata una liberal donazione che ad essa egli fece, come egli stesso racconta (l. 7, ep. 18). Avea egli promesso cinquecento mila sesterzi ossia dodici mila cinquecento scudi romani pel mantenimento di fanciulli e di fanciulle ingenue, ma ridotte a povero stato. E perchè egli temeva che se data avesse la somma intera, questa non venisse dissipata e dispersa, ei donò al pubblico un suo podere di assai maggior valore; e poscia il prese egli stesso a pigione, obbligandosi a pagare ogni anno al pubblico stesso trenta mila sesterzi ossia settecento cinquanta scudi romani. Il qual denaro, come abbiamo accennato, essendo indirizzato al mantenimento di fanciulli e di fanciulle, era forse destinato insieme allo stipendio de’ pubblici professori. [p. 532 modifica]53a libro Così questo incomparabile cittadino provvedeva a’ vantaggi della sua patria , e assicurava insieme, quanto era possibile, la durevolezza de’ suoi medesimi beneficj. VIII. Nè qui si ristette l1 amore e la beneficenza di Plinio verso la sua patria. Di una pubblica biblioteca ancora egli le fece dono; e perchè la solennità dell’aprimento di essa accendesse maggior desiderio ne’ suoi concittadini di ben usarne, nel giorno in cui egli secondo l’usato rito la dedicò, fece un1 orazione in presenza dei decurioni ossia de’ capi della repubblica, di cui egli parla due volte nelle sue Lettere (l. 1, ep. 8; l. 2, ep. 5) con quella amabile compiacenza che è propria delle anime grandi nel far beneficii. L1 esempio di Plinio fu quello probabilmente che determinò ancora altri Comaschi a usare di somigliante liberalità verso la loro patria. Egli rammenta un certo Caninio che una somma di denaro donata avea al pubblico, perchè giovasse a distribuire al popolo vittovaglie (l. 7, ep. 18). A questi tempi forse ancora appartiene un1 iscrizione pubblicata dall’Apiani (Inscr. Sacr. Vetust. p. 78) come esistente nella chiesa di S. Fedele della stessa città, e posta in onore di un certo Atilio gramatico che di tutto il suo avere avea fatto dono a quel pubblico. Ella è del seguente tenore: [p. 533 modifica]TEnZO 533 P. ATILIl P. FILII O. V. F. (leg. OVF.) SEPTICIANI GRAMATICI LATINI CVI ORDO COMENS ORNAMENTA DECVR. DECREVIT QVI VNIVERSAM SVBSTANCIAM SVAM AD REMPVBLICAM PERTINERE VOLVIT Io crederei di non andar lungi dal vero congetturando che questo Atilio fosse appunto uno de’ professori chiamati a Como secondo il consiglio di Plinio. Certo non pare che un gramatico latino potess7 essere in Como innanzi a’ tempi di Plinio, poichè abbiam veduto che non vi erano scuole; e dall7 altra parte il terso stile della iscrizione ci fa credere che essa sia di età non molto lontana da quella di cui trattiamo, e che perciò questo splendido benefattor de’ Comaschi dall7 esempio stesso di Plinio fosse eccitato a usare di una somigliante munificenza. Per tal maniera e per l7 amore e per la liberalità di un suo concittadino ebbe Como e scuole pubbliche e pubblica biblioteca, e vide tra’ suoi accesa una nobile gara nel giovare alla comune lor patria. IX. Gli scrittori milanesi ed altri stranieri ancora vogliono che una pubblica biblioteca fosse pure in Milano o aperta, o almen dotata dal medesimo Plinio. Il fondamento a cui si appoggiano, è una iscrizione che vedevasi in addietro nella basilica di S. Ambrogio scolpita in un gran sasso che copriva il sepolcro del i IX. Se un’allra ei iip aprine in Milano. [p. 534 modifica]534 LIBRO re Lottario, ma che ora più non si vede, e, come narra il diligentissimo illustratore delle antichità milanesi de’ bassi secoli conte. Giorgio Giulini (Mem, della città e camp, di Mil. t. 2, p. 233), fin dall’anno 1612 il cardinale Federigo Borromeo cercò invano di ritrovarla. L’iscrizione fu prima d’ogni altro copiata sul sasso stesso da Tristano Calchi che la inserì nella sua Storia milanese da lui composta verso il principio del xvi secolo, ma pubblicata solamente l’anno 1618; poscia il celebre Andrea Alciati la inserì egli nella breve sua Storia della sua patria scritta poco dopo quella del Calchi, ma essa pure stampata solo l’anno 1625: ma dove il Calchi aveala sinceremente copiata, qual era, guasta da’ moderni scalpelli, sicchè appena in più luoghi se ne rilevava il senso, l’Alciati, come egli stesso confessa, a forza di congetture la diede intera e finita (12). Da lui è probabile che l’avesse l’Appiani, il quale le diede luogo nella sua Raccolta d’Iscrizioni (p. 55), per tacere di altri moderni autori che similmente l’han pubblicata, tra’ quali è stato il ch. Muratori (Thes. Inscr. t. 2, p. ^3 2). In essa dopo avere esposte tutte le dignità e gl’impieghi di Plinio, e dopo annoverati i doni e i legati da lui fatti al popolo per testamento, (ì7) L’iscrizione di Plinio fu dal tempio di S. Ambrogio dopo la metà del secolo xvi trasportata entro del monastero, così divisa, com’era, ma poscia pochi anni dopo indi pure fu tolta, e tre pezzi, non si sa come , ne furori trasportali a Tradate nella diocesi di Milano, e poscia si smarrirono totalmente. (V. Cicereji Epist. t. 2, p. 1 09). [p. 535 modifica]TERZO 535 si aggiugne ancora: In tutelam Biblioth, II-S C. cioè che a mantenere ed accrescere la biblioteca egli lasciò cento mila sesterzi ossia duemila cinquecento scudi romani. Or questa biblioteca, dice fra gli altri scrittori milanesi l1 eruditissimo dottor Giuseppantonio Sassi (De studiis. mediol, c. 2), che da Plinio fu per tal modo dotata, non può credersi che fosse altrove che in Milano. Le ragioni ch’egli ne arreca, sono l’essere stato Plinio proconsole e vicario di Traiano in Milano, l’essersi in Milano trovata la lapida , su cui scolpita è l’inscrizione, che essendo di straordinaria grandezza non è probabile che sia stata trasportata d’altronde; il farsi in essa menzione ancora di terme per comando dello stesso Plinio fabbricate, delle quali non si ha documento che ve ne avesse in Como ne’ tempi antichi, ma sì in Milano, per testimonianza d’Ausonio. In difesa di questa stessa opinione parla lungamente ancora l’Alciati, le cui parole si posson vedere presso il medesimo Sassi. Io ancora in altro tempo ho pensato così (Or. de Patriae Hist. p. 17)5 ma a dir vero, quantunque io desideri sinceramente di sostenere, (quanto più possa, le glorie di una città la cui memoria, per lungo soggiorno ch’io vi ho fatto, e pel sapere e per la gentilezza de’ suoi cittadini, mi sarà sempre venerabile e cara, esaminando però attentamente ogni cosa, parmi che il sentimento di questi dotti scrittori soffra non lieve difficoltà. E in primo luogo, ciò. che il Sassi, citando ancora l’autorità del Calchi, asserisce , cioè che Plinio fu proconsole in Milano, non so [p. 536 modifica]536 LIBRO con quai monumenti possa provarsi. Nè le sue Lettere nè gli altri scrittori antichi noti ce ne danno indicio alcuno; anzi la serie della sua vii a ci mostra chiaramente il contrario, e si può provare con evidenza ch’ei non fu nella sua patria, e molto meno in Milano, se non per tempo assai breve; e nella stessa iscrizione, ove pur tutti si accennano gl’impieghi da liti sostenuti, di questo non si fa motto. Per altra parte Plinio era uomo troppo amante della sua patria, perchè si possa credere ch’egli volesse così beneficare una vicina città, della quale anzi pare che il suo spirito patriottico lo rendesse geloso; poichè abbiamo veduto che, perchè i Comaschi non fosser costretti ad andarsene alle scuole in Milano, egli fondò in gran parte col suo , denaro scuole pubbliche in Como. È egli dunque probabile che un uom tanto sollecito dell’onore della sua patria volesse a vantaggio di una straniera città usare di liberalità così grandi, quali sono le espresse nella mentovata iscrizione? E non è anzi verisimile che dopo avere aperta in Como la pubblica biblioteca, il che da niuno si nega, egli assegnasse ancora per testamento un capitale con cui mantenerla? Ma non sappiamo, dice il Sassi, che fossero terme in Como; eppure nell’iscrizione si dice che Plinio ordinò per testamento che si fabbricassero, e lasciò copiosi legati per ornarle e mantenerle. A ciò i Comaschi posson rispondere, che il non sapersi che vi fossero terme, non pruova che non vi fossero; poichè non è questa cosa di tanto pregio che il non aversene monumento [p. 537 modifica]TERZO OO7 basti a conchiudere che 11011 vi era. Inoltre Plinio comandò nel suo testamento che esse si facessero, testamento fieri jussit-, ma forse, come spesso avviene, il comando di Plinio, qualunque ragion ve ne avesse, non fu eseguito. La ragione presa dall’essersi in Milano trovata la lapida , e dal non esser probabile che vi fosse trasportata da Como, non parmi di gran peso. Quante altre lapide son passate per somigliante maniera da un luogo a un altro? Chi non sa che i celebri marmi Arondelliani dalla Grecia sono stati trasportati in Inghilterra? e tutte le antiche lapide che sono ora in Venezia, non vi son elleno venute altronde? Nell’arrabbiata guerra che al principio del xii secolo si accese tra’ Milanesi e i Comaschi, in cui i primi furono vincitori, non poteron essi insiem con altri ornamenti e con altre spoglie trasportare dalla vinta città a Milano la stessa lapida? molto più ch’ella era, come lo stesso Alciati afferma, infranta in più pezzi, effetto probabilmente del negligente trasporto da un luogo all’altro. Queste sono le ragioni che non mi permettono di seguire l’opinione de’ sopraccitati scrittori milanesi; la quale però, quando io vegga da più autorevoli pruove, che non sono le recate finora, nuovamente confermata, abbraccerò io pur di buon animo, e rallegrerommi di questo onorevole pregio accresciuto a una città che di tanti altri è già adorna e famosa (13). Così parimenti (*) Questa mia breve dissertazione, in cui ho procurato di dimostrare che la biblioteca di cui si parla [p. 538 modifica]538 LIBRO io crederò facilmente al dottissimo Sassi (let.c.) che fin dal secolo II fosse in Milano una regal copia di libri, e che una splendida biblioteca ecclesiastica fosse ivi pure fin da’ tempi antichi per opera de’ primi vescovi, quando egli « nella iscrizione pliniana era in Como , non in Milano, ha data occasione al sig. co. Ottavio Boari ferrarese, morto non ha molto in età giovanile, di pubblicarne nel 1773 una assai più diffusa, in cui con mollo ardore combatte la mia opinione. E in alcune cose egli ha rischiarato questo punto di storia più ch’io non avessi fatto. Egli ha avvertito che non fu il primo l’Apiani a pubblicare questa iscrizione, ma che prima di lui era essa stata data alla luce in un’edizione delle Note di M. Valerio Pròbo fatta in Venezia nel i5^5. Al che deesi aggiugnere che il primo a copiarla non fu Tristano Calchi, ma Ciriaco d’Ancona, come altrove ho osservalo (l. 6, par. 1). Egli ha diligentemente confrontate tra loro le diverse lezioni che trovansi di questa iscrizione in diversi codici e in più libri stampati, ne’ quali ella è stata inserita. Egli ancora ha giustamente rilevata una mia inavvertenza nel creder probabile che quel sasso fosse da Como trasportato a Milano al principio del secolo xu , perciocché esso serviva già a chiuder l’arca in cui era sepolto Lotario re d’Italia morto l’anno g5o. In questi punti io seguo di buon animo il parere del mio avversario. Ala nel punto principale della questione, cioè se nella detta iscrizione si parli di una biblioteca aperta in Como , o veramente in Milano, io sono ancora nel mio, e non parmi che siano di alcun peso le ragioni in contrario addotte dal co. Boari, e che non vaglia neppur la pena di disputarne più oltre. E quanto al trasporto del sasso da Como a Milano, se esso non seguì, come io avea congetturato , al principio del secolo xn, potè avvenire in qualche altra qual che si fosse occasione, alla stessa maniera che tante altre antiche iscrizioni sono state portate sovente o per caso, o avvertitamente da un luogo all’altro. [p. 539 modifica]TERZO 53l) mi arrechi l’autorità di qualche scrittore di que’ tempi, o non troppo da essi lontano. Ma finchè egli non produca altra prova che il detto del Ripamonti e del Galesini!, egli mi permetterà eh1 io sospenda di prestar fede alla loro asserzione. X. In niun modo poi io penso che si possa attribuire a Milano un’altra iscrizione da cui, quando ciò fosse, il lietissimo stato della letteratura in questa città sì comproverebbe ancora più chiaramente. Ella è stata pubblicata prima dall’Apiani (p. 29) e poscia dopo altri dal Muratori (Thes. Inscr. t. 2, p. 1067), ed è la seguente: I.MP. CAESAR. T. AF.LIVS HADRIANVS ANTONINVS AVG. PIVS CONS. III. TRIB. POT. II. P. P. AQVAEDVCTVM IN NOVIS ATHENIS COEPTVM A DIVO HADRIANO P.VTRE SVO CONSVMMAVIT DEDICA VITQVE La qual iscrizione dall’Apiani si riferisce come esistente in Milano nella basilica di S. Ambrogio. Ora supposto che questo acquedotto cominciato da Adriano e finito da Antonino Pio fosse in Milano, ne verrebbe per certissima conseguenza che questa città venisse soprannominata col titolo di nuova Atene, sicuro e onorevolissimo indizio del fiorir ivi degli studj d’ogni maniera, come già fiorivano nell’antica Atene. E tale è veramente l’opinione di molti e gravi scrittori, quai sono il Cellario, il Cluverio, il Martiniere ed il Salmasio, le parole de’ quali si arrecano dal soprallodato dottor [p. 540 modifica]54o LIBRO Sassi, che di tutto il suo ingegno e di tutta l’erudizion sua ha usato a difendere questo nuovo pregio della sua patria (De stud. Mediol, c. 3). E ad essi si può aggiungere ancora l’eruditiss Muratori (loc. cit.). E tale pure è stato altre volte il mio sentimento (Or. de Hist. Patr. p. 18). Ciò nonostante io son costretto a confessare al presente di avere allora errato; e credo che il confesserebbono meco tutti que’ dottissimi uomini che furono in questa opinione. Tutte le ragioni da essi addotte a provarla, cioè che questa iscrizione non può appartenere alla città di Atene, perchè non è verisimile che in una città greca si ponesse un7 iscrizione latina, e che questa poi da Atene fosse trasportata fino a Milano; e che non si sa che Adriano desse nome di nuova Atene alla città di questo nome; eh7 egli fece in più luoghi molti acquedotti, e che è probabil perciò che uno ne facesse in Milano: tutte queste, io dico, ed altre somiglianti ragioni cadono a terra, perchè son combattute e distrutte dal Fatto. La controversa iscrizione esiste ancora almeno in gran parte in Atene, o certo vi esisteva anche in questi ultimi anni. Jacopo Spon che nel 1724 ci ha data la relazione de’ suoi viaggi, parlando di Atene descrive e pone ancora sotto gli occhi la figura di un arco sostenuto da quattro colonne, di cui due sole or ne rimangono in piedi (Voyage (d’Ital, de Dalmat. ec. t. 1, p. 270). Nell’architrave di esse vedesi ancora scolpita la metà di questa iscrizione, poichè l’altra parte è caduta insieme colle colonne che la sostenevano. Le parole che si leggono, [p. 541 modifica]TERZO 54l sono le seguenti ch’io porrò in caratteri grandi, segnando in caratteri piccioli quelle che son perite. IMP. CESAR T. ÆLIVS Adrianus Antoninus AVG. PIVS. COS. III. TRIB. POT. II. ACQVÆDVCTVM IN NO VIS Aihenis roeptum a Divo Hadriano Patre suo CONSVMMAVIT Dedicavitque Può egli nascere un menomo dubbio che l’iscrizione non sia appunto quella medesima che si suppone essere in Milano? Questa medesima iscrizione è stata più recentemente veduta dall’erudito viaggiatore inglese Riccardo Pococke, e l’ha riferita nella sua Raccolta d’iscrizioni da lui pubblicata in Londra l’anno 1752 (Inscr. antiquae, ec. p. 55). Anzi lo Spon aggiugne ch’egli avea veduto in Zara un antico codice manoscritto in cui quell’iscrizione medesima riportavasi intera, e dicevasi esistente in Atene. E veramente chi mai ha veduta in Milano una tal lapida? Egli è vero che Giovanni Choler in una lettera del primo di novembre 1533, premessa alla Raccolta dell’Apiani, dice che le iscrizioni che in questa son contenute, furono fedelmente copiate dall’originale. Ma ei non dice di averle vedute egli stesso, nè nomina altri da cui siano state esaminate. E chi v’ ha che non sappia quanto facilmente si commettano degli errori e non piccioli da coloro che raccogliendo da ogni parte iscrizioni notano frettolosamente il luogo ove esse conservansi? Aggiungasi che se questa iscrizione era in Milano verso il 1533, poteva dunque vedersi ancora dallo storico Tristano Calchi e da Andrea [p. 542 modifica]XI. Prova fiore ili erano iv &C1C1IZC. 54^ LIBRO Alciali, il quale singolarmente fu diligentissimo ricercatore delle antichità della sua patria. Eppure nè l’un nè l’altro di questa lapida non fan motto; pruova evidente, a mio credere, eli1 essa non Vera. Ella è dunque cosa troppo chiara e palese che questa lapida non appartiene punto a Milano; e io son certo che i più eruditi ancora tra i Milanesi confesseranno che non possono all1 autorità di essa appoggiarsi per alcun modo. (XI. Ed essi in fatti non abbisognano nè di .«i questa iscrizione, nè dell1 altra soprammènto1 le vata di Plinio, per provare che fino dagli antichi tempi fiorivan tra essi gli studj. Già ne abbiamo accennate più pruove nel primo volume. I gramatici che da Roma si sparsero nelle altre provincie d’Italia, e singolarmente nella Gallia Cisalpina, e il soggiorno che in Milano fece per alcun tempo Virgilio, e il passo poc1 anzi riferito di Plinio, ci fanno conoscere che vi si coltivavano e vi si insegnavan le lettere, e che vi accorrevano a tal fine anche le confinanti città. Aggiungasi che in Milano si trattavan le cause non altrimenti che in Roma. Ne abbiamo una sicura pruova in ciò che Svetonio narra di Albuzio Silo retore, da noi mentovato nel precedente volume, cioè che in Milano difese con grand’ardore una causa innanzi al proconsole Pisone; e che sì frequenti erano e sì romorose le acclamazioni con cui era ascoltato , che convenne al littore far cenno al popolo perchè s1 acchetasse (De clar. rethor. c. 6). Or se vi si trattavan le cause all’usanza romana, come da questo passo è palese, eranvi [p. 543 modifica]TERZO 543 dunque e oratori e studio dell’eloquenza, e delle altre scienze che all’eloquenza son necessarie. Aveva finalmente Milano ancora il suo teatro, e ne rimane ancor la memoria nel nome di una chiesa posta, ove esso era anticamente, e detta perciò di S. Vittore al Teatro (V. Giuli ni L 3, p. 48, ec.); e quindi si può probabilmente raccogliere che i poetici studj vi fossero in fiore. E perciò a ragione Ausonio, tra le altre lodi di cui onora questa città, quella ancora accenna del valoroso ingegno de’ cittadini: Fac unda viro rum ingenia (in clar. Urbib. epigr. 5). XII. Le altre città ancora di Lombardia non eran prive, per quanto possiam raccogliere, di scuole e di studj. Il retpre Albuzio Silo quando da Novara sua patria sen venne a Roma, si diè subito a vedere uomo eloquente, come altrove abbiam detto. Avea dunque egli fatti in patria i suoi studj, e avea avuto agio di formarsi quel valoroso declamatore che da Seneca ci vien descritto. In Bergamo ancora abbiam già dimostrato che eravi probabilmente scuola, poichè ivi è una lapida in cui si fa menzione di Pudente gramatico a’ tempi d’Augusto; se pure dir non vogliamo eli’ essa vi sia stata trasportata d’altronde, di che però non vi è motivo a sospettare. Scuole parimenti esser (doveano in Cremona, poichè la Cronaca Eusebiana afferma che Virgilio vi attese agli studj, di che questa città come di suo pregio non ordinario può gloriarsi a ragione. Da una lapida torinese possiam raccogliere che ivi era in fiore lo studio della medicina, e quindi dell’altre scienze che ad essa son necessarie; [p. 544 modifica]544 LIBRO poiché un certo C. Quinzio Abascanzio assegnò un tempio innalzato in onor di Traiano a’ medici torinesi (14), acciocchè ivi si unissero insieme, probabilmente a coltivarvi la loro arte, e a disputare tra loro de’ mezzi onde promoverla (V. Marm. Taurinens. t.1,p. a 17, ec.). Ed è similmente probabile che molte delle altre città d’Italia ancora avessero le loro scuole in cui istruir nelle lettere i fanciulli: benchè poscia comunemente avvenisse che chi sperava di salir per esse a gran nome, abbandonata la patria, si recasse a Roma, dove tutto il fior dell’impero si vedeva come in ampio teatro raccolto insieme. Ma quando Roma cessò in certo modo di esser la capitale del mondo, non accorrendovi più in tanta folla i popoli d’ogni nazione, le provincie d’Italia si vider piene, per quanto la condizion de’ tempi lo permetteva, d’uomini che col loro sapere erano di ornamento e di vantaggio assai grande alle lor patrie, come nel decorso di quest’opera dovrem vedere. (a) Questa iscrizione è slata riprodotta dal sig. Vincenzo Malacarne innanzi al primo tomo delle erudite sue Memorie de’ Medici e de’ Chirurghi Piemontesi, insieme con più altre iscrizioni appartenenti o a’ medici , o a rO’ C appartenenti a medicina. Ivi però si accenna qualche dubbio mosso dal P. lettor Tommaso Verani Agostiniano da me più volte lodato, che le prime parole Divo Trajano siano stale aggiunte posteriormente , e nulla abbiati che fare colla iscrizione di Abascanzin.