Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/Osservazioni I

Osservazioni generali sulla caduta del Romano Impero dell'Occidente

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Osservazioni generali sulla caduta del Romano Impero dell'Occidente
38 Avvertimento II

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OSSERVAZIONI GENERALI

Sulla caduta del Romano Impero
dell'Occidente.

I Greci, poscia che il loro paese fu ridotto a Provincia, attribuivano i trionfi di Roma, non al merito, ma alla Fortuna della Repubblica. Quell’incostante Dea, che distribuisce e riprende sì ciecamente i suoi favori, aveva allora acconsentito (tal era il linguaggio dell’invidiosa adulazione) di piegar le ali, di scendere dal suo globo, e di collocare il fermo ed immutabil suo trono sulle rive del Tevere1. Un Greco più saggio, che ha composto con filosofico spirito la memorabile istoria de’ suoi tempi, privò i suoi compatriotti di questo vano ed ingannevol conforto, scuoprendo a’ lor’occhi gli alti fondamenti della grandezza di Roma2. La fedeltà de’ cittadini l'uno verso del[p. 172 modifica]l’altro, e verso lo Stato, era confermata dall’abitudine dell’educazione, e da’ pregiudizi della Religione. L’onore, ugualmente che la virtù, era il principio della Repubblica: gli ambiziosi cittadini cercavano di meritare la solenne gloria d’un trionfo; e l’ardore della gioventù Romana s’accendeva ad un’attiva emulazione ogni volta che vedevano le domestiche immagini de’ loro maggiori3. Le contese temperate dei Patrizi e de’ Plebei avevan finalmente fissato la stabile, ed ugual bilancia della costituzione, che riuniva la libertà delle assemblee popolari, coll’autorità e saviezza d’un Senato, e coll’esecutiva potenza d’un Magistrato Reale. Quando il Console spiegava la bandiera della Repubblica, ogni Cittadino si legava, mediante l’obbligazione d’un giuramento, ad impiegar la sua spada nella causa della Patria, finattantochè non avesse soddisfatto a questo sacro dovere con un servizio militare di dieci anni. Questo savio istituto continuamente versava nel campo nuove generazioni di uomini liberi e di soldati: e se ne rinforzava il numero da’ guerrieri e popolati Stati d’Italia, che dopo una forte resistenza, avevan ceduto al valore, ed abbracciato l’alleanza de’ Romani. Il savio Storico, che eccitò la virtù di Scipione il giovane, e vide la rovina di Cartagine4, ha descritto accuratamente il [p. 173 modifica]lor sistema militare, le reclute, le armi, gli esercizi, la subordinazione, le marce, gli accampamenti, e l’invincibile legione loro, superiore, nell’attività della forza, alla Falange macedonica di Filippo e d’Alessandro. Da tali istituti di pace e di guerra, Polibio ha dedotto lo spirito, ed il successo d’un Popolo, incapace di timore, ed impaziente di riposo. Fu intrapreso e condotto a termine l’ambizioso disegno di conquista, che avrebbe potuto eludersi dall’opportuna cospirazione dell’uman genere; e si mantenne la perpetua violazione della giustizia con le politiche virtù della prudenza e del coraggio. Le armi della Repubblica, talvolta vinte in battaglia, ma sempre vittoriose nella guerra, si avanzarono con rapidi passi fino all’Eufrate, al Danubio, al Reno ed all’Oceano, e le immagini d’oro, d’argento o di rame, che potrebbero servire a rappresentar le nazioni ed i loro Re, furono l’una dopo l’altra spezzate dalla ferrea Monarchia di Roma5. L’innalzamento d’una città, che crebbe tanto da formare un Impero, può meritare, come un singolar [p. 174 modifica]prodigio la riflessione d’una mente filosofica. Ma la decadenza di Roma era il naturale ed inevitabil effetto della sua smoderata grandezza. La prosperità maturò il principio della caduta; si moltiplicaron le cause della distruzione coll’estensione della conquista; ed appena il tempo, o l’accidente ne rimosse gli artificiali sostegni, che quella stupenda fabbrica cedè alla compressione del suo proprio peso. La storia della sua rovina è semplice ed ovvia; ed invece di cercare perchè si distrusse il Romano Impero, dovremmo piuttosto maravigliarci, che sussistesse tanto tempo. Le vittoriose legioni, che nelle guerre distanti acquistarono i vizi degli stranieri e de’ mercenari, prima oppressero la libertà della Repubblica, e di poi violarono la maestà della porpora. Gl’Imperatori, ansiosi della lor personale salvezza e della pubblica pace, si ridussero al vil espediente di corrompere la disciplina, che le rendeva ugualmente formidabili al loro Sovrano ed al nemico; si rilassò il vigore del governo militare, e finalmente si sciolse, per le parziali istituzioni di Costantino; ed il Mondo romano fu inondato da un diluvio di Barbari.

Si è frequentemente attribuita la decadenza di Roma alla traslazione della Sede dell’Impero; ma il corso di quest’Istoria ha già dimostrato, che le forze del Governo furon divise, piuttosto che rimosse in tal occasione. Fu eretto nell’Oriente il trono di Costantinopoli, mentre l’Occidente si continuò a possedere da una serie d’Imperatori, che risedevano in Italia, ed avevano diritto alla loro ugual porzione delle Legioni e delle Province. Questa pericolosa novità diminuì la forza, e fomentò i vizi d’un doppio regno; si moltiplicarono gl’istrumenti di un oppressivo ed [p. 175 modifica]arbitrario sistema: e s’introdusse, e si sostenne una vana emulazione di lusso, non di merito, fra i degenerati successori di Teodosio. L’estrema angustia, che riunisce la virtù d’un Popolo libero, inasprisce le fazioni d’una Monarchia decadente. I contrari favoriti d’Arcadio e d’Onorio diedero la Repubblica in mano a’ comuni di lei nemici; e la Corte Bizantina mirò con indifferenza, e forse con piacere, il disonore di Roma, le disgrazie d’Italia, e la perdita dell’Occidente. Sotto i Regni seguenti, si ristabilì l’alleanza de’ due Imperi; ma l’aiuto de’ Romani Orientali era tardo, dubbioso ed inefficace; e si estese lo scisma nazionale de’ Greci e de’ Latini per causa della perpetua differenza di linguaggio, di costumi, d’interessi ed anche di religione. Pure l’evento vantaggioso approvò in qualche modo il giudizio di Costantino. In un lungo corso di decadenza l’inespugnabile sua città rispinse le armi vittoriose de’ Barbari, difese la ricchezza dell’Asia, e dominò tanto in pace che in guerra l’importante Stretto, che fa comunicare l’Eusino ed il Mediterraneo. La fondazione di Costantinopoli contribuì più essenzialmente alla conservazione dell’Oriente, che alla rovina dell’Occidente.

Siccome la felicità d’una vita futura è il grande oggetto della Religione, possiamo ascoltare senza sorpresa, o scandalo, che l’introduzione, o almeno l’abuso del Cristianesimo ebbe qualche influenza sulla decadenza e rovina del Romano Impero. I Cherici predicarono con successo le dottrine della pazienza, e della pusillanimità; le virtù attive della società si scoraggirono; e gli ultimi avanzi dello spirito militare si andarono a seppellire ne’ chiostri: una gran parte di ricchezza pubblica e privata si consacrò alle [p. 176 modifica]speciose domande di carità e di devozione, e la paga de’ soldati si dissipò nelle inutili truppe di ambedue i sessi, che non potevan vantare che i meriti dell’astinenza e della castità. La fede, lo zelo, la curiosità e le passioni più mondane della malizia e dell’ambizione accesero la fiamma della discordia teologica; la Chiesa e lo Stato furon divisi dalle religiose fazioni, i combattimenti delle quali talvolta fur sanguinosi e sempre implacabili; l’attenzione degl’Imperatori dal campo trasportavasi a’ Sinodi; il Mondo romano era oppresso da una nuova specie di tirannide; e le Sette perseguitate divennero segrete nemiche della lor patria. Pure lo spirito di partito, per quanto sia pernicioso o assurdo, è un principio d’unione, ugualmente che di dissensione. I Vescovi da milleottocento pulpiti inculcavano il dovere d’una passiva ubbidienza al legittimo ed ortodosso Sovrano; le frequenti adunanze e la continua corrispondenza loro manteneva la comunicazione delle Chiese più distanti; e l’indole benefica del Vangelo venne fortificata, benchè ristretta, dalla spiritual confederazione de’ Cattolici. Devotamente abbracciossi la sacra indolenza de’ Monaci da un secol effemminato e servile; ma se la superstizione non avesse somministrato una decente ritirata, gli stessi vizi avrebbero indotto gl’indegni Romani ad abbandonare per motivi più bassi le bandiere della Repubblica. Facilmente i devoti obbediscono a’ precetti religiosi, che secondano e santificano le naturali loro inclinazioni; ma può vedersi la pura e genuina influenza del Cristianesimo ne’ suoi benefici, quantunque incompleti, effetti su’ Barbari proseliti del Settentrione. Se la conversione di Costantino accelerò la decadenza dell’Impero Romano; la vittoriosa di lui [p. 177 modifica]Religione moderò la violenza della caduta di esso, ed addolcì la feroce indole de’ conquistatori.

Può applicarsi utilmente questa terribile rivoluzione all’istruzione del presente secolo. Egli è dovere d’un cittadino il preferire e promuovere l’interesse e la gloria della sua patria esclusivamente: ma si può permettere ad un Filosofo d’estendere i suoi sguardi, e di considerar l’Europa, come una grande Repubblica i varj abitanti della quale son giunti quasi all’istesso livello di gentilezza e di coltura. La bilancia del potere continuerà a variare, e la prosperità del nostro Regno o de’ vicini può alternativamente allargarsi o abbassarsi; ma questi particolari successi non possono essenzialmente ledere il nostro generale stato di felicità, il sistema delle arti, delle leggi e de’ costumi che distinguono sì vantaggiosamente gli Europei, e le loro colonie, sopra il rimanente del Genere umano. I Popoli selvaggi del globo sono i nemici comuni delle società incivilite, e possiam ricercare con ansiosa curiosità, se l’Europa è tuttavia minacciata di esser nuovamente soggetta a quelle calamità, che una volta oppressero le armi e gl’istituti di Roma. Forse le medesime riflessioni, che illustrano la caduta di quel potente Impero, serviranno a spiegar le cause probabili della nostra attual sicurezza.

I. I Romani non sapevano l’estensione del loro pericolo, il numero de’ loro nemici. Di là dal Reno e dal Danubio le regioni settentrionali dell’Europa e dell’Asia erano piene d’innumerabili tribù di cacciatori e pastori poveri, voraci e turbolenti, audaci nelle armi, ed impazienti di rapire i frutti dell’industria. Era il Mondo Barbaro agitato dal rapido impulso di [p. 178 modifica]guerra; e la pace della Gallia, o dell’Italia era minacciata dallo distanti rivoluzioni della China. Gli Unni, che fuggivano da un vittorioso nemico, diressero il loro corso all’Occidente; ed il torrente gonfiò sempre più per li successivi accrescimenti degli schiavi e degli alleati. Le tribù fuggitive, che cedevano agli Unni, assunsero a vicenda lo spirito di conquista; l’immensa colonna de’ Barbari comprimeva con accumulato peso l’Impero Romano; e se distruggevansi i più vicini, subito si riempiva lo spazio vacante da nuovi assalitori. Non posson più farsi dal Settentrione tali formidabili emigrazioni; ed il lungo riposo, che si è imputato alla diminuzione del Popolo, è piuttosto una felice conseguenza del progresso delle arti o dell’agricoltura. In vece di qualche rozzo villaggio raramente sparso fra boschi e le paludi, la Germania conta presentemente duemila trecento città murate: si sono successivamente stabiliti i regni Cristiani di Danimarca, di Svezia, e di Polonia; e le società di Mercanti6 co’ Cavalieri Teutonici hanno esteso le loro colonie lungo le coste del Baltico fino al golfo di Finlandia. Da questo fino all’Oceano orientale prende ora la Russia forma d’un potente ed incivilito Impero. Si sono introdotti l’aratro, il telajo e la fucina sulle rive del Volga, dell’Oby e del Lena; e le più fiere orde Tartare hanno imparato a tremare e ad ubbidire. Il regno de’ Barbari indipendenti, adesso è ristretto ad un’angusta misura; ed i residui de’ Calmucchi, o degli Usbecchi, de’ quali possono quasi numerarsi le forze, non sono più in grado di eccitar seriamente l’apprensione della gran repubblica dell’Eu[p. 179 modifica]ropa7. Contuttocciò non dovrebbe tale apparente sicurezza indurci a dimenticare, che possono da qualche oscuro Popolo, appena visibile nella carta della terra, nascere de’ nuovi nemici, e degl’ignoti pericoli. Gli Arani o i Saracini, ch’estesero le loro conquiste dall’India alla Spagna, avevan languito nella povertà e nel disprezzo, finattantochè Maometto non ispirò in que’ rozzi corpi l’anima dell’entusiasmo.

II. L’Impero di Roma era sodamente stabilito dalla singolare e perfetta unione delle sue membra. Le sottoposte Nazioni, rinunziando alla speranza, ed anche al desiderio dell’indipendenza, abbracciarono il carattere di cittadini Romani; e le Province dell’occidente con ripugnanza si videro staccate per opera de’ Barbari, dal seno della lor madre patria8. Ma si era comprata quest’unione con la perdita della libertà nazionale, e dello spirito militare; e le servili Province prive di vita, e di moto, aspettavano la lor salvezza dalle truppe mercenarie e da’ Governatori, che si re[p. 180 modifica]golavano secondo gli ordini d’una distante Corte. La felicità di cento milioni dipendeva dal merito personale d’uno, o di due uomini, forse di fanciulli, gli animi de’ quali eran corrotti dall’educazione, dal lusso e dal potere dispotico. Nel tempo delle minorità de’ figli, e de’ nipoti di Teodosio ricevè l’Impero le più profonde ferite; e quando parve, che quest’inetti Principi fossero giunti all’età virile, essi abbandonaron la Chiesa ai Vescovi, lo Stato agli Eunuchi, e le Province a’ Barbari. L’Europa ora è divisa in dodici potenti quantunque non uguali Regni, in tre rispettabili Repubbliche, ed in una quantità di Stati più piccioli sebbene indipendenti: si son moltiplicate le occasioni di esercitare i talenti Reali, e ministeriali, almeno in proporzione del numero de’ loro regolatori; e possono regnare nel Settentrione un Giuliano, o una Semiramide, nel tempo che Arcadio ed Onorio stanno di nuovo dormendo su’ troni del Mezzogiorno. Gli abusi della tirannia son frenati dalla vicendevole influenza del timore e della vergogna; le repubbliche hanno acquistato dell’ordine e della stabilità; le monarchie si sono imbevute di principj di libertà, o almeno di moderazione; e si è introdotto nelle più difettose costituzioni qualche sentimento d’onore e di giustizia da’ costumi generali de’ nostri tempi. Nella pace, viene accelerato il progresso delle cognizioni e dell’industria dall’emulazione di tanti attivi rivali; nella guerra, si esercitano le forze europee per mezzo di moderate, e non decisive battaglie. Se uscisse un selvaggio conquistatore da’ deserti della Tartaria, dovrebbe replicatamente vincere i robusti contadini della Russia, i numerosi eserciti della Germania, i valorosi nobili della Francia, gl’intrepidi uomini liberi dell’Inghilterra; i quali tutti po[p. 181 modifica]trebbero anche confederarsi fra loro per la comune salvezza. Quand’anche i vittoriosi Barbari portassero la schiavitù e la desolazione fino all’Oceano Atlantico, diecimila navi trasporterebbero gli avanzi della società civilizzata fuori del loro potere; e l’Europa risorgerebbe, e fiorirebbe nell’America, ch’è già piena delle colonie e degl’istituti di essi9.

III. Il freddo, la povertà ed una vita piena di pericoli e di fatiche invigorisce la forza ed il coraggio de’ Barbari. In ogni tempo essi hanno oppresse le culte e pacifiche nazioni della China, dell’India, e della Persia, che hanno trascurato, e tuttavia trascurano di contrabbilanciare queste loro naturali forze mediante l’arte militare. Gli Stati bellicosi dell’antichità come della Grecia, di Macedonia e di Roma, educavano una progenie di soldati: n’esercitavano i corpi, ne disciplinavano il coraggio, ne moltiplicavan le forze per mezzo di regolari evoluzioni, e convenivano il ferro, che possedevano, in forti ed utili armi. Ma questa superiorità insensibilmente decadde insieme con le leggi ed i costumi loro; e la debole politica di Costantino, e de’ suoi successori, armò ed istruì, per la rovina dell’Impero, il rozzo valore de’ Barbari mercenari. L’arte militare si è cangiata per l’invenzion della polvere che abilita l’uomo a dominare i due più forti agenti della natura, l’aria ed il fuoco. Si sono [p. 182 modifica]applicate all’uso della guerra le Matematiche, la Chimica, le Meccaniche, e l’Architettura; e le parti contrarie si oppongono vicendevolmente le più elaborate maniere d’attacco e di difesa. Possono gl’istorici osservare con sdegno, che i preparativi d’un assedio servirebbero a fondare, ed a mantenere una florida colonia10; pure non ci dee dispiacere, che la distruzione di una città sia un’opera dispendiosa e difficile; o che un industrioso Popolo sia difeso da quelle arti, che sopravvivono, e suppliscono alla decadenza del valor militare. Presentemente, il cannone e le fortificazioni formano un inespugnabil riparo contro la cavalleria Tartara; e l’Europa è sicura da ogni futura invasione di Barbari; giacchè prima di poter conquistare, bisogna che cessino d’esser Barbari. Il graduale loro avanzamento nella scienza della guerra dev’esser sempre accompagnato, come possiam vedere dall’esempio della Russia, con una proporzionata cultura nelle arti della pace, e del Governo civile; ed essi medesimi debbono meritare un posto fra le nazioni incivilite, che vogliono soggiogare. [p. 183 modifica]

Se queste speculazioni si trovassero dubbiose o fallaci, vi resta sempre una sorgente più umile di conforto e di speranza. Le scoperte de’ Navigatori antichi e moderni, la domestica istoria, o la tradizione delle più illuminate nazioni, rappresentano l’uomo selvaggio, nudo sì nella mente, che nel corpo, e privo di leggi, di arti, d’idee, o quasi di linguaggio11. Da questa abbietta situazione, ch’è forse lo stato primitivo ed universale dell’uomo, egli si è appoco appoco innalzato a comandare agli animali, a fertilizzar la terra, a traversar l’Oceano, ed a misurare il cielo. Il suo progresso nella cultura, e nell’esercizio delle sue facoltà mentali e corporee12 è stato irregolare e vario, infinitamente lento in principio, poi crescente a grado a grado con raddoppiata velocità: a’ secoli d’una laboriosa salita è succeduto un momento di rapida caduta; ed i varj climi del globo hanno sentito le vicende della luce e delle tenebre. Pure l’espe[p. 184 modifica]rienza di quattromill’anni dovrebbe estendere le nostre speranze, e diminuire i nostri timori: noi non possiamo determinare a qual grado d’altezza la specie umana possa aspirare nel suo avanzamento verso la perfezione; ma può sicuramente presumersi, che nessun Popolo, a meno che non cangi la faccia della natura, ricaderà nella sua originaria barbarie. I progressi della società si possono risguardare sotto un triplice aspetto: 1. Il Poeta, o il Filosofo illustra il suo secolo, e la sua patria con gli sforzi d’una mente singolare; ma queste superiori forze di ragione, o di fantasia sono rare e spontanee produzioni; ed il genio d’Omero, di Cicerone, o di Newton ecciterebbe minore ammirazione, se potesse crearsi dalla volontà di un Principe, o dalle lezioni d’un precettore: 2. I vantaggi della legge e della politica, del commercio e delle manifatture, delle arti e delle scienze sono più sodi e durevoli: e molti individui possono esser resi capaci, dall’educazione e dalla disciplina, a promuovere, nelle respettive lor condizioni, l’interesse della società. Ma quest’ordine generale è l’effetto della saviezza e della fatica; e tal composta macchina può logorarsi dal tempo, o esser offesa dalla violenza; 3. Fortunatamente per l’uman Genere le arti più utili, o almeno più necessarie, si posson esercitare senza talenti superiori, o nazionale subordinazione; senza le forze d’uno, o l’unione di molti. Ogni villaggio, ogni famiglia, ogni individuo dee sempre avere abilità ed inclinazione a perpetuare l’uso del fuoco13, e de’ me[p. 185 modifica]talli, la propagazione ed il servizio degli animali domestici, le maniere di cacciare e di pescare, i principj della navigazione, l’imperfetta coltivazione del grano, o d’altra materia nutritiva, e la semplice pratica del commercio meccanico. Possono estirparsi il genio privato e la pubblica industria; ma queste tenaci piante sopravvivono alla tempesta, e gettano una eterna radice nel più ingrato suolo. Gli splendidi giorni d’Augusto, e di Traiano furono ecclissati da un nuvolo d’ignoranza; ed i Barbari sovvertirono le leggi ed i palazzi di Roma. La falce però, invenzione o emblema di Saturno14 continuò a mietere annualmente le raccolte d’Italia; ed i banchetti de’ Lestrigoni che si cibavano di carne umana15, non si son mai rinnuovati sulle coste della Campania.

Dopo la prima scoperta delle arti, la guerra, il commercio e lo zelo religioso hanno sparso fra’ selvaggi del vecchio, e del nuovo Mondo questi preziosissimi doni; successivamente essi si son propagati; e non si posson più perdere. Noi dunque possiamo acquietarci in questa soddisfacente conclusione, che ogni età del Mondo ha accresciuto, e sempre accresce [p. 186 modifica]la reale ricchezza, la felicità, la cognizione, e forse la virtù della specie umana16.


Note

  1. Tali sono le figurate espressioni di Plutarco (Oper. Tom. II. p. 318 edit. Wechel) a cui, sull’autorità di Lampria suo figlio (Fabric., Biblioth Graec. Tom. III p. 341), attribuirò francamente la maliziosa declamazione περι τμς Ρωμαηον τυχης sopra la fortuna de’ Romani). Era prevalsa la medesima opinione fra’ Greci dugento cinquant’anni prima di Plutarco; e Polibio espressamente si propone di confutarla (Hist. L. I p. 90 Edit. Gronov. Amstel. 1670).
  2. Vedansi i preziosi residui del santo libro di Polibio, e molte altre parti della sua storia generale, specialmente una digressione nel libro 170, in cui paragona la falange, e la legione.
  3. Sallust., De Bell. Jugurtin. cap. 4. Tali erano le generose proteste di P. Scipione e di Q. Massimo. L’Istorico latino avea letto, e probabilissimamente trascrisse Polibio, loro contemporaneo ed amico.
  4. Mentre Cartagine si trovava in mezzo alle fiamme, Scipione ripeteva due versi dell’Iliade, ch’esprimono la distruzione di Troia, confessando a Polibio, suo amico e precettore (Polyb., in Excerpt. de virtut. et vit. T. II p. 1455, 1465), che riflettendo alle vicende delle cose umane, interamente applicavali alle future calamità di Roma (Appian., in Libycis p. 136, edit. Toll.).
  5. Vedi Daniel II 31, 40. „Ed il quarto regno sarà forte come ferro, perciocchè rompe come il ferro, e supera tutte le cose„. Il resto della profezia (cioè la mescolanza del ferro e della creta) s’avverò secondo S. Girolamo, ne’ suoi tempi: Sicut enim in principio nihil Romano Imperio fortius, et durius ita in fine rerum nihil imbecillius: quum et in bellis civilibus, et adversus diversas nationes aliarum gentium barbararum auxilio indigemus. Oper. Tom. V p. 572.
  6. La Lega Anseatica.
  7. Gli Editori Francesi ed Inglesi dell’Istoria genealogica de’ Tartari vi hanno aggiunto una curiosa, quantunque imperfetta, descrizione del loro presente stato. Si può mettere in dubbio l’indipendenza de’ Calmucchi o Eluti, poichè sono stati recentemente vinti da’ Chinesi, che nell’anno 1759 soggiogarono la Bucaria minore, e si avanzarono nel paese di Badakshan vicino alla sorgente dell’Osso (Mem. sur les Chinois Tom. I p. 325, 400). Ma tali conquiste sono precarie, nè mi arrischierò ad assicurare la salvezza dell’Impero Chinese.
  8. Il prudente lettore determinerà, quanto sia indebolita questa general proposizione dalla rivolta dagl’Isauri, dalla indipendenza della Brettagna e dell’Armorica, dalle tribù de’ Mori, o da’ Bagaudi della Gallia e della Spagna (Vol. I p. 340 Vol. III p. 273, p. 337, p. 434).
  9. L’America ora contiene circa sei milioni di persone di sangue, o d’origine Europea; ed il loro numero almeno nel settentrione continuamente cresce. Qualunque sia il cangiamento della politica loro situazione, dovranno sempre conservare i costumi d’Europa; e possiam riflettere con qualche soddisfazione, che la lingua inglese sarà probabilmente diffusa in un immenso e popolato continente.
  10. On avoit fait venir (per l’assedio di Turino) 140 pièces de canon; et il est a remarquer que chaque gros canon monté revient à environ 2,000 ècus: il y avoit 110,000 boulet; 106,000 cartouches d’une façon, et 300,000 d’une autre; 21,000 bombes; 277,000 grenades; 15,000 sacs à terre; 30,000 instrumens pour le pionnage; 1,200,000 livres de poudre. Ajoutez à ces munitions le plomb, le fer, et le fer-blanc, les cordages, tout ce qui sert aux mineurs, le souphre, le salpêtre, les outils, de toute espèce. Il est certain que les frais de tous ces préparatifs de destruction suffiroient pour fonder et pour faire fleurir la plus nombreuse colonie. Voltaire. Siecle de Louis XIV, c. 20, nelle sue Opere Tom. XI p. 391.
  11. Sarebbe facile, quantunque noiosa, impresa il produrre le autorità de’ Poeti, de’ Filosofi, e degl’Istorici. Io mi contenterò dunque di rimettermi alla decisiva ed autentica testimonianza di Diodoro Siculo (Tom. I L. I p. 11, 12 L. III p. 184. Edit. Wesseling), Gl’Ittiofagi, che al suo tempo andavan vagando lungo i lidi del Mar Rosso, possono paragonarsi a’ nativi della nuova Olanda (Dampier Viag. Vol. I p. 464, 469). La fantasia, e forse la ragione, può tuttavia supporre un estremo ed assoluto stato di natura, molto al di sotto del livello di questi selvaggi, che avevano acquistato qualche arte, e qualche istrumento.
  12. Vedasi la dotta e ragionata opera del presidente Goguet de l’Origine des Loix, des Arts, et des Sciences. Ei rintraccia, da’ fatti e dalle congetture (Tom. I p. 147, 337 edit. in 12), i primi e più difficili passi dell’invenzione umana.
  13. Egli è certo, quantunque strano, che molte nazioni hanno ignorato l’uso del fuoco. Anche gl’ingegnosi abitanti di Otabiti, che son privi di metalli, non hanno inventato alcun vaso di terra, capace di sostenere l’azione del fuoco e di comunicare il calore a’ liquidi che vi si contengono.
  14. Plutarco Quaest. Rom. in Tom. II pag. 275, Macrob. Saturnal. l. 1 c. 8 p. 152 edit. Lond. L’arrivo di Saturno (del religioso suo culto) in una nave può indicare, che la selvaggia costa del Lazio fu scoperta la prima volta, ed incivilita da’ Fenicj.
  15. Omero, nel nono e decimo libro dell’Odissea, ha abbellito le novelle de’ timidi e creduli navigatori, che trasformano i Cannibali dell’Italia e della Sicilia in mostruosi Giganti.
  16. Troppo frequentemente si è macchiato il merito delle scoperte coll’avarizia, colla crudeltà, e col fanatismo; ed il commercio delle nazioni ha prodotto la comunicazione delle malattie e de’ pregiudizi. Si dee fare però una singolare eccezione in favore della virtù de’ nostri tempi e del nostro paese. I cinque gran viaggi, l’uno dopo l’altro intrapresi per comando di sua Maestà, presentemente regnante, furono inspirati dal puro e generoso amor della scienza e del Genere umano. L’istesso Principe, adattando le sue beneficenze alle varie situazioni della società, ha fondato una scuola di Pittura nella sua capitale; ed ha introdotto nelle isole del mare del Sud i vegetabili, e gli animali più vantaggiosi alla vita umana.