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dell'impero romano cap. xxxviii. | 177 |
Religione moderò la violenza della caduta di esso, ed addolcì la feroce indole de’ conquistatori.
Può applicarsi utilmente questa terribile rivoluzione all’istruzione del presente secolo. Egli è dovere d’un cittadino il preferire e promuovere l’interesse e la gloria della sua patria esclusivamente: ma si può permettere ad un Filosofo d’estendere i suoi sguardi, e di considerar l’Europa, come una grande Repubblica i varj abitanti della quale son giunti quasi all’istesso livello di gentilezza e di coltura. La bilancia del potere continuerà a variare, e la prosperità del nostro Regno o de’ vicini può alternativamente allargarsi o abbassarsi; ma questi particolari successi non possono essenzialmente ledere il nostro generale stato di felicità, il sistema delle arti, delle leggi e de’ costumi che distinguono sì vantaggiosamente gli Europei, e le loro colonie, sopra il rimanente del Genere umano. I Popoli selvaggi del globo sono i nemici comuni delle società incivilite, e possiam ricercare con ansiosa curiosità, se l’Europa è tuttavia minacciata di esser nuovamente soggetta a quelle calamità, che una volta oppressero le armi e gl’istituti di Roma. Forse le medesime riflessioni, che illustrano la caduta di quel potente Impero, serviranno a spiegar le cause probabili della nostra attual sicurezza.
I. I Romani non sapevano l’estensione del loro pericolo, il numero de’ loro nemici. Di là dal Reno e dal Danubio le regioni settentrionali dell’Europa e dell’Asia erano piene d’innumerabili tribù di cacciatori e pastori poveri, voraci e turbolenti, audaci nelle armi, ed impazienti di rapire i frutti dell’industria. Era il Mondo Barbaro agitato dal rapido impulso di