Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo IX.
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Uta — Chiesa di S.ta Maria (fianco).
CAPITOLO IX.
CHIESA DI SANTA MARIA DI TRATALIAS — S. RANIERI DI VILLAMASSARGIA.
SANTA MARIA D'UTA.
Al periodo arcaico dell'architettura medioevale in Sardegna, inteso nel senso stilistico, dobbiamo includere le due chiese di S. Maria di Tratalias e di S. Maria d'Uta, benchè la loro costruzione possa assegnarsi alla seconda metà del XII secolo.
Esse, benchè distinguansi da quelle finora esaminate per forme più spigliate e per un'arte più evoluta, nell'organismo architettonico e nelle linee costruttive si accostano alle chiese del primo periodo più che a quelle degli altri due gruppi.
A Tratalias fu traslata la sede vescovile del Sulcis, quando la villa di S. Antioco, sorta sulle rovine dell'antico Solci, il prospero emporio minerario d'origine fenicia, non offrì più per le audaci gesta dei pirati saraceni la sicurezza necessaria, perchè il presule potesse sicuramente svolgere gli atti tutti del suo ministero.
Qualche irruzione barbaresca più intensa e più violenta dovette costringere il vescovo ed il capitolo a rifugiarsi a Tratalias, che nella isola madre è il paese più prossimo a S. Antioco. Quivi dovettero trasportare le insegne vescovili coll' intendimento di restituirle a S. Antioco, ma poscia, vedendo che in questo paese le condizioni di sicurezza non tendevano a migliorare, la sede provvisoria divenne definitiva.
Ora, poichè non era possibile elevare a dignità episcopale la chiesetta, costrutta unicamente per i servizi di una piccola comunità, costrussero la nuova cattedrale dalle forme nobilmente eleganti, svolte nella trachite di Paringiano, che permette le più delicate e le più fini manifestazioni dello scalpello.
Queste a mio parere le origini della Chiesa di Tratalias, la quale spicca grandiosamente fra le misere casupole del modesto paese, in cui nessun'altra costruzione richiama le fortunose vicende di un glorioso periodo.
Ai primi del XV secolo la diocesi venne trasportata ad Iglesias. l'antica Villa di Chiesa, dove erasi accentrata una popolazione industre attratta dalle vicine miniere.
In una cappella del Duomo di questa città è murata una lapide che fu in origine nella Chiesa di S. Antioco. In essa si ricordano i restauri eseguiti in questa chiesa: ✠ AVLA MICAT VEL CORPVS SanCTI ANTIOCI QVIERIT IN GLORIA | VIRTUTIS OPVS REPARANTE MINISTRO | PONTIPICIS CHRistI SIC DECET ESSE DOMVM | QUAM PETRVS ANTISTES CVLTUS SPLENDO | RE NOBABIT MARMORIBVS TITULIS | NOBILITATE FIDEI. DeDICATVM DIE XII Kallendas FEBRVarii.
Per la menzione del vescovo Pietro e per la forma delle lettere questa iscrizione deve assegnarsi ai primi del XII secolo. E poichè non è possibile concepire che questi restauri ed ampliamenti all'antica Chiesa di S. Antioco sieno stati eseguiti, quando questa non avea più dignità episcopale, anzi quando era ritenuta perduta per il vescovo e per il capitolo, dobbiamo concludere che la traslazione dovette avvenire posteriormente.
Daltra parte nella facciata della Chiesa di S. Maria di Tratalias è murata un'altra lapide colla seguente iscrizione funeraria: ✠ IC IACENT HVIVS AV | LE PRESVLES DVO BONE MEMORIE AIMVS VIDELICET | ET ALBER TVS SANCTISSIMI.
Non è datata, ma nelle serie dei vescovi di Solci l'antistite Alberto è indicato all'anno 1122 ed Aimo all'anno 1163, per cui essa si può ritener posteriore a quest'anno.
Chiesa di S.ta Maria (facciata).
All'interno della chiesa, murato nell'altare è un marmo colla seguente iscrizione: FVNdaTVM EST ANNO Doni NI | MCCXIII MENSE IVNIO SVB PRESVI | LE MARIANO SARDO HVIVS FA | BRICE COADIVTORE ATQVE CONSV | MATORE M: R: S: I: N: SSI C: B:
Infine per completare l'epigrafia di questa chiesa trascrive un altra iscrizione posta in un pilastro della navata centrale in prossimità al pulpito: ANNO DomiNI. MCCLXXXII: DomiNuS MVrDAS | cVS EPiscopuS SVLCIENSIS Da | DOMO SISMVNDORVM De | PISIS ME FECIT | FABRIC | ARI Per MAGISTRYM GVAN | TINVM CAVALLINVM De | STANPACE:
Abbiano adunque un insieme di monumenti epigrafici, che invece di schiarire le origini e le vicende dell'antica chiesa episcopale del Sulcis fu causa di confusione per parer discordanti fra loro e per non esser sussidiati da altre memorie storiche.
Esaminiamo ad ogni modo le diverse ipotesi che da queste epigrafi si possono trarre:
Anzitutto si presenta l'ipotesi che la chiesa sia stata eretta nel 1282 dal maestro Guantino Cavallino a cura ed a spese del vescovo Murdasco dei Sismondi di Pisa. Questo dovrebbe presupporre un ampliamento, un abbellimento, giacchè l'iscrizione del 1213 implica il concetto di un'altra chiesa preesistente.
Ora non abbiamo traccia alcuna di precedenti costruzioni ed è da escludersi che l'attuale chiesa abbia susseguita un'altra, che necessariamente sarebbe stata innalzata dai vescovi di Solci dopo che trasportarono a Tratalias la sede vescovile.
L'altra ipotesi, che trovò favorevole accoglienza presso gli scrittori tutti, si basa sul riferimento della iscrizione del 1213 all'erezione della chiesa.
Sembrerebbe la più semplice, se il suo accoglimento non urtasse con fatti, che non trovano attendibile spiegazione colla costruzione della cattedrale ai primi del XII secolo.
Infatti per spiegare questa data bisognerebbe ammettere, che nella chiesetta, su cui sorse la nuova e che per un certo tempo dovette funzionare da chiesa episcopale, fossero in unica tomba i resti dei due presuli Alberto e Aimo e che i costruttori della nuova chiesa li abbiano collocati nella facciata con l'antica lapide.
Ora se è concepibile, anzi frequente, che nelle mura di un nuovo edificio si collochino gli avanzi dei dignitari della diocesi, è assurdo che questo sentimento di conservazione si estenda anche alle iscrizioni mortuarie.
Inoltre se quest'iscrizione è anteriore all'edificazione della chiesa bisognerebbe ammettere che nell'antica chiesetta, un'unica tomba raccogliesse i corpi dei due presuli.
Francamente ciò non si spiega nè colle consuetudini, nè colle tradizioni religiose e neanche col buon senso.
Escluse queste due ipotesi l'altra che presuppone la chiesa coeva alla lapide ricordante i due presuli si presenta attendibile e non contrastata da alcun elemento che sia a nostra conoscenza.
Tratalias - Chiesa di S.ta Maria (facciata e fianco).
La lapide di S. Antioco ci attesta che ai primi del secolo XII la sede era tutt'ora in quella villa, giacchè è assurdo il supporre che il vescovo Pietro abbia fatto eseguire importanti lavori d'abbellimento e d'amplia mento nell'abbandonata cattedrale, che si disperava di rioccupare.
Poco dopo per le scorrerie dci saraceni la sede si trasportò a Tratalias e la modesta chiesetta di questo paese fu elevata al grado ed alla dignità episcopale.
Gli avanzi dei presuli Alberto ed Aimo in Tratalias ci attestano ch'essi esercitarono le loro funzioni nella nuova sede. I loro corpi vennero raccolti in due tombe separate nel piccolo duomo.
Poco dopo la morte di Aimo, riconosciuta l'impossibilità di trasferire di nuovo la sede vescovile all'antica città di Solei, per la sua posizione direttamente esposta alle incursioni saracene, si diè mano ad innalzare la nuova cattedrale nell'area dell'antica chiesetta.
Nel demolir questa i costruttori della nuova non vollero che gli avanzi dei due presuli andassero perduti e, seguendo una consuetudine, di cui abbiamo molte prove anche in Sardegna, raccolsero le ossa in un sarcofago che murarono nella facciata e nel quale per perenne ricordo e per omaggio ai due presuli incisero l'epigrafe che li ricorda.
L'iscrizione del 1213 riferiscesi alla costruzione ed alla consacrazione dell'altare maggiore e l'esser ancora in questo, malgrado le modifiche che potè aver subito fino ad oggi, dimostra fondato questo asserto.
Infine nel 1282 il vescovo Murdasco dei Sismondi fece costrurre dal maestro Guantino Cavallino il pulpito, che andò perduto, essendo l'attuale una rozza costruzione senza pregio. L'antico pergamo dovea esser addossato al pilastro, in cui è incassato il marmo dell'iscrizione del 1232.
Ch'esistesse un pulpito medioevale, che fosse istoriato e che presso di esso fosse l'iscrizione risulta anche da un passo dell'Aleo in cui è detto che en el pulpito de piedra muy curioso y primoroso, que permanece en la misma (iglesia de Tratalias), se lee esculpida en la piedra la inscripcion...
Infine è da escludersi che la costruzione della chiesa sia anteriore alla lapide funeraria e che gli avanzi dei due presuli siano stati collocati posteriormente, giacchè si dovrebbero ammettere gli stessi fatti improbabili già eliminati nella nostra disamina. Inoltre l'esame dell'incassatura delle lapide esclude un collocamento posteriore alla costruzione della facciata.
Così per esclusione possiamo ritenere, come congettura fino ad ora la più attendibile, che la chiesa sia stata cretta tra il 1165 ed il 1213. Anzi, tenendo conto dello stile delle lettere dell'iscrizione ricordante i due presuli, possiamo restringere maggiormente i limiti assegnandone la costruzione a pochi anni dopo la morte del vescovo Aimo.
Tutto induce a ritenere che sia stato il successore di questo vescovo a far erigere il bel tempio, giacchè se così non fosse i costruttori avrebbero raccolte con quelle di Alberto e di Aimo anche le sue spoglie.
L'esame stilistico della chiesa non contraddice ma rafforza i risultati, cui siamo pervenuti.
La chiesa richiama nel suo interno la forma delle basiliche medioevali sarde del primo periodo: tre navi allungate, di cui la centrale più ampia delle altre due, s'estendono con larghezza uniforme dalla Tratalias — Chiesa di S.ta Maria (abside).facciata fino all'apertura dell'abside, corrispondente alla navata centrale.
Queste tre navi sono separate da grossi pilastri in pietra da taglio a sezione rettangolare e sono coperte da teti aventi la grossa e la piccola travatura a vista.
Abbiamo adunque una lieve differenza dalle basiliche fino ad ora esaminate, in cui le due navate laterali erano coperte da volte a crociera.
L'interno non offre alcuna particolarità degna di menzione e non ha la grandiosità della Chiesa di S. Gavino nè il suggestivo aspetto delle altre due di S. Maria del Regno in Ardara e di S. Giusta.
La facciata ha linee nobili e severe, ora deturpate da una pesante struttura muraria, che eseguita per sostener le campane, poggia sopra la campata corrispondente alla navatella a sinistra.
La porta è inquadrata nobilmente fra due strette lesene che divide l'or dine inferiore in tre campi sopra i quali si svolge la cornice con gli archetti pensili.
I piedritti delle porte hanno basi sagomate e capitelli a fogliame e sopra questi poggia l'architrave monotico. L'arco di scarico a filo di muro col centro rialzato per guadagnar in eleganza ed in sveltezza, è contornato da una vaghissima fascia a fogliame terminante su due graziose mensoline.
La cornice ad archetti pensili sovrasta la facciata per l'intera sua estensione e si svolge poscia nei fianchi e nell'abside.
I tratti di facciata, corrispondenti alle due navate laterali non hanno aperture, nè sono animali con intarsi di marmi o di pietre dure come a S. Pietro di Sorres.
Sopra questa cornice corrispondentemente alle navate laterali abbiamo un parapetto, con copertina sagomata di altezza costante, il quale quindi non segue le inclinazioni delle falde delle coperture come in tutte le basiliche a tre navate.
Si dovrebbe metter in rilievo questa nuova forma, se elementi di fatto e di critica non inducessero a ritenerla un'alterazione abilmente compiuta ma non tanto abilmente però da ingannare chi è pratico della tecnica muraria degli artefici medioevali, poichè ad un attento esame infatti si riscontra un altro coordinamento di cantoni ed un'altra scalpellazione nelle parti aggiunte.
D'altra parte quest'innovazione non corrisponderebbe a nessun bisogno ed a nessun effetto estetico: anzi la facciata non ha la sveltezza delle chiese a tre navate in cui l'inclinazione delle falde laterali non è nascosta ma è messa in rilievo non tanto per sincerità architettonica quanto perchè in tal modo il prospetto della navata centrale si accorda con la parte inferiore della facciata aumentata dei tratti corrispondenti alle navate laterali.
E che sia così è dimostrato dal fatto che nella facciata posteriore non abbiamo il motivo orizzontale ma le copertine inclinate, secondo la pendenza delle due falde.
Non sarò lungi dal vero, ritenendo che questa modifica fu conseguenza d'altra più grave deturpazione. Non è improbabile infatti che i costruttori del pesante campanile non siansi, e giustamente, fidati di impiantare la loro rozza costruzione su una superficie inclinata e perciò abbiano sopraelevato il parapetto portandolo ad altezza costante, eseguendo poscia per ragioni d'euritmia eguale modifica all'altro lato.
Nel paramento corrispondente alla navata centrale abbiamo una forma decorativa, che non abbiamo ancora esaminato e cioè l'apertura circolare rosone.
Essa non ha l'importanza dei rosoni dell'architettura romanico-catalana, che vedremo svilupparsi dopo la caduta della dominazione pisana, ma è qualche cosa di più degli occhi di bue, che più o meno ornati rileveremo nelle facciate del secondo periodo.
Nella finestra circolare della chiesa di Tratalias mancano le colonnine che doveano formare la rota e che per esser state di marmo ed esili vennero rimosse, lasciando gli archetti che sono incardinati colla restante muratura.
Tratalias — Chiesa di S.ta Maria (porta nella facciata).La rosa è contornata da una fascia decorata di foglie, in cui si riproduce lo stesso motivo ornamentale della porta.
Superiormente al rosone si svolge la consueta serie d'archetti impostantisi tutti su mensoline.
Nel frontone abbiamo una gradinata a sbalzo sulla quale si fecero le più inverosimili e le più originali 140 congetture.
A spiegarne l'uso e l'origine si studiarono i sacri cesti, quando non si penetrò nel campo del simbolismo. Invece i fini, cui vollero soddisfare gli architetti, sono più che semplici e la gradinata non rappresentò e non rappresenta se non un mezza comodo e sicuro per accedere a tutte le parti dell'edificio, ai sottotetti, alle coperture delle navate laterali ed a quella della navata centrale.
Per spiegar quest'uso è necessario metter questa gradinata in correlazione con altre parti costruttive della chiesa. Alla parete interna del muro di facciata, ad un'altezza di circa m. 4.00 dal pavimento, incomincia un'altra scala a sbalzo la quale perviene ad una porta rettangolare aperta al livello della falda laterale nel muro a destra della navata centrale, cosichè volendo acceder alla copertura della navata laterale basta dall'interno della chiesa poggiare una scala in legno al primo gradino e salire la scala a sbalzo. Dalla soglia di questa porticina si svolge una seconda rampa ancor essa con gradini a sbalzo incastrati, non più nel muro di facciata, ma nel muro laterale in cui è aperta detta porta. Questa rampa s'innalza e coll'ultimo gradino perviene al piano delle travi delle incavallature, cosichè, collocando in modo fisso oppure in modo provvisorio delle tavole fra le catene dei cavalletti, si può ispezionare tutto quanto il sottotetto. In corrispondenza a questo nel frontone della facciata è aperta una porticina arcuata che corrisponde esattamente alla gradinata a sbalzo esterna, per cui dal sottotetto si può facilmente accedere a questa scala e salendo in questa alla copertura esterna della navata centrale.
Il costruttore davanti all'utilità derivante da un comodo accesso alle coperture, non si preoccupò dei risultati estetici e non si peritò di svolgere nella bianca facciata una gradinata a sbalzo che tanto filo diede a torcere.
Le facciate laterali sono scompartite in diversi campi da strette lesene e fra queste rincorrono tanto nei muri della navata centrale che nei muri delle navate laterali gli archetti pensili.
Questi hanno un forte aggetto e poggiano sovra mensoline, modellate tutte quante su tre o quattro tipi, il che indubbiamente produce un senso di monotonia. D'altra parte la lavorazione accurata, le proporzioni indovinate dei diversi campi in cui sono divisi i bianchi e la patina dorata, che si trasfuse nel paramento trachitico originariamente d'un tono bianco isabellino, concedono alla chiesa un aspetto grandioso ed in pari tempo elegante. In ciascun fianco è aperta una porta: in quella a de stra sono ripetute in minori dimensioni le forme costruttive e decorative del portone principale, mentre nella porta a sinistra abbiamo il tipo semplice architravato senza capitelli e senza cornici.
Le strette lesene hanno superiormente capitelli con foglie d'acqua alternate a caulicoli mentre le basi con sagomatura attica, resa però con arte medioevale, poggiano su uno smusso contornante superiormente lo zoccolo della chiesa.
La facciata posteriore, in cui si svolge l'abside, è pregevole per le belle proporzioni. Gli elementi decorativi, che contribuiscono a formarla, pur essendo gli stessi che svolgonsi nei fianchi e nella facciata, sono più armonicamente disposti ottenendosi un insieme di architettura sobria ed in pari tempo elegante.
Nel frontone abbiamo un'apertura cruciforme, che consegue il doppio scopo di rompere con una forma simbolicamente decorativa il liscio paramento e d'illuminare il sottotetto.
Nel muro terminale della navata centrale, di fronte al rosone, abbiamo una piccola bifora, in cui ora manca la colonnina.
Uta — Chiesa di S. Maria (facciata).
In corrispondenza alle navate laterali non abbiamo più le copertine orizzontali, ma esse seguono l'inclinazione delle falde. Degne di rilievo sono due colonnine poggianti colle basi sulla cornice che ricorre nell'abside e nei muri, mentre superiormente con un dado posto sopra i capitellini attaccano alle cornici inclinate.
La parete absidale è scompartita in tre parti dai pilastri terminali e da due strette lesene e sulla parte centrale è aperta una finestrina feritoia.
Nella Chiesa di S. Maria di Tratalias, più che nelle altre chiese medioevali, è degna d'attenzione e non priva d'effetto la diversità di tono e di colorazione che il paramento in pietra da taglio prese a seconda dell'esposizione. Nel fianco a destra e nella facciata, esposte rispettivamente a levante ed a ponente, abbiamo una patina dorata ed un tono caldo, mentre nel fianco a sinistra e nell'abside la colorazione è grigia ed il tono è freddo.
La Chiesa di Tratalias che devesi ritenere come il più pregevole monumento medioevale del Sulcis, dovette servire di modello agli edifici religiosi che si eressero nella diocesi sulcitana.
Una certa influenza si avverte nella Cattedrale d'Iglesias in cui l'architetto nella costruzione del rosone centrale s'inspirò a quello di Tratalias, ma l'imitazione più servile si riscontra nella Chiesa di N.a S.a del Pilar in Villamassargia.
Il nome spagnolo indicherebbe un'origine relativamente recente, se le forme architettoniche non deponessero del contrario. Infatti in origine era dedicata a S. Ranieri, il patrono di Pisa.
La facciata di ristrette dimensioni ha una semplice decorazione ad archetti circolari con rosone nel centro, che riproduce in minori dimensioni quello di S. Maria di Tratalias. La porta segue il tipo costruttivo e decorativo delle porte di questa chiesa: gli stessi fogliami ai capitelli, la stessa fascia ornata, che contorna l'arco di scarico. Mancano pur tuttavia le belle proporzioni e le squisite eleganze, che sono date da mille segreti, particolari a ciascun artista. Indubbiamente il costruttore della chiesetta di S. Ranieri volle imitare anzi copiare le porte della Cattedrale di Tratalias, ma non rilevò che in queste la fascia circolare contornante l'arco di scarico è eccentrica rispetto al contorno della lunetta, come pure non rilevò che il centro di questa è rialzato sullo spigolo superiore dell'architrave monolitico. Queste dimenticanze fecero si che le nuove forme risultassero, come sono effettivamente, tozze ed ineleganti.
Nella parte alta della facciata di S. Ranieri abbiamo incise le armi della famiglia dei conti di Donoratico, signori allora dell'Iglesiense e quindi di Villamassargia, e, lateralmente lo stemma, la croce di Pisa.
Inquadrata nel paramento della facciata abbiamo una lastra marmorea con un'iscrizione monca e resa incomprensibile per le abbreviature e per la forma delle lettere, che dovettero esser incise da operaio non ben pratico. La lezione più accurata fu data dal Casini: ✠ EXPLET | Vm EST HOC OPus | Per MAGISTRVm ARC. OCCHVm De GAR | NAS. MCCC | VII.
Non risulta quindi il nome dell'architetto plagiario ma si legge chiaramente l'anno 1307, il che dimostra quanta influenza ebbe l'architettura di Tratalias se essa, dopo un secolo e mezzo all'incirca dalla sua costruzione, servi di modello ad una chiesetta di una villa così distante dalla sede vescovile.
L'oscurità più assoluta avvolge le origini e le prime vicende della Chiesa di S. Maria d'Uta, benchè la tradizione, non suffragata però Uta — Chiesa di S.ta Maria (pianta).Uta Chiesa di S. Maria pianta. da alcuna prova storica, l'assegni ad un convento di benedettini che, secondo l'Alco, dovea esistere nell'agro di Uta.
Le prime notizie risalgono al secolo XVII, quando i minori conventuali di Cagliari, volendo fondar un ospizio nella Chiesa di S. Barbara, riuscirono ad esserne investiti, dando in permuta all'arcivescovo cagliaritano la Chiesa di Santa Maria nel villaggio d'Uta.
Certo questa chiesa di bella architettura basilicale, dovette in origine esser annessa ad un convento, poichè in vicinanza sono visibili traccie di un edificio a corte. come usavasi nei monasteri, conservando tuttora in questa un pozzo, fino a non molto ripieno di terra e di sassi, che una speculazione bottegaia, esaltando le virtù prodigiose e le cure miracolose dell'acqua, ripulì, rimettendo in pristino stato le antiche murature.
La facciata della chiesa, esposta a ponente secondo il rito dei costruttori medioevali, ha linee sobrie ed in pari tempo eleganti, raggiungendo un insieme vago e non privo di grandiosità colla massima parsimonia d'elementi decorativi. La porta d'ingresso n'è l'ornamento principale, campeggiando al primo ordine e raggiungendo coll'arco di scarico, contornato da una fascia graziosamente ornata, la prima cornice orizzontale, sotto la quale da ambi i lati si svolge la solita decorazione lombarda ad archetti circolari poggianti su mensoline dalle più strane e vaghe forme e su alte e strette lesene, decorate con capitelli a fogliami. Il frontone, ora deturpato da un immane campanile che non lascia colle informi murature convenientemente apprezzare le gentili forme architettoniche della facciata, in origine era ornato da una bifora centrale e da una decorazione ad archetti poggianti su pilastrini sporgenti dal muro.
Sulle due cornici inclinate, corrispondenti alle falde delle navate laterali, poggiano due leoni rozzamente scolpiti, i quali animali, simboli della chiesa, sono effigiati in minori dimensioni nelle due mensole sulle quali s'imposta la cornice contornante l'arco di scarico della porta d'ingresso.
Oltremodo caratteristiche sono questa cornice e la fascia superiore ornate con intrecci geometrici minutamente resi con arte tecnica che rievocano le decorazioni moresche. Nè sono meno notevoli le sculture che ornano le mensoline sulle quali s'impostano gli archetti. Sono quasi duecento ed in esse gl'ignoti scalpellini diedero adito alle più strane ieratiche concezioni: visi di mostri e di fauni s'alternano con teste di arieti, di leoni e di vitelli; bizzarri arabeschi con decorazioni inspirate alla flora ed alla fauna simbolica. Predominano in tutta la costruzione spiccate le forme ornamentali lombarde che popolavano di mostruose immagini l'organismo architettonico delle chiese dell'alta Italia e che raramente troviamo in Toscana dove la gentilezza e l'innata classicità deviarono quest'invasione di mostri. Solo in alcuni capitelli riscontriamo la flora toscana colle foglie d'acanto e colle volutine intramezzantisi.
I muri laterali sono decorati sobriamente e la continuità dell'apparecchio in pietra da taglio è rotta da lunghe e strette finestrine, che si direbbero feritoie di opere fortilizie, se in alcune di esse una vaga decorazione ad intarsio non ne rendesse gemili le linee costruttive.
L'abside è circolare e sulla sua sommità continua la caratteristica decorazione ad archetti poggianti su mensoline e su lesene, decorazione che si ripete nella parte superiore e dovea ripetersi anche nel frontone che sovrasta l'abside ed in cui era aperta una bifora — ora murata — che illuminava l'interno e dovea corrispondere all'altra della facciata principale.
La chiesa è a tre navate: le due laterali più basse e la centrale Uta — Chiesa di S.ta Maria (abside).poggiante per mezzo di arcate su colonne tolte evidentemente da avanzi d'epoca romana. La copertura non è nascosta da alcuna volta o soffitto, ma, come la maggior parte delle chiese medioevali dell'isola, ha allo scoperto i cavalletti su cui sono inchiodate le tavole sostenenti il regolato.
A qual'epoca ed a quali artefici dobbiamo attribuire l'erezione di questa pregevole chiesa d'architettura frammentaria? Mancando i documenti epigrafici ed i ricordi d'archivio, per poter dar una soddisfacente risposta dobbiamo ricorrere a confronti stilistici. La chiesa, che con questa d'Uta ha maggiori affinità di linee costruittive e decorative, è la parrocchiale di Tratalias, sede vescovile nel medio evo della diocesi sulcitana.
Nelle due facciate abbiamo lo stesso scomparto architettonico: due pilastri agli angoli e la porta di tipo toscano fra le due lesene. Le stesse cornici orizzontali con gli archetti, poggianti su mensoline e su pilastrini, ricorrono nei muri laterali e nelle absidi delle due chiese.
Le affinità stilistiche sono tali che, se non ci permettono d'assegnarne allo stesso architetto l'erezione, ci danno modo di ritenerle coeve ed inspirate ad identiche forme architettoniche.
Ora poichè alcune iscrizioni incise nei muri della chiesa di Tratalias ei permisero d'assegnare la costruzione alla seconda metà del XII secolo, così possiamo senza tema d'errare asserire che anche la chiesa li Uta venne fondata e costrutta verso quest'epoca o poco dopo.
Una particolarità stilistica degna d'attenzione è la mescolanza di elementi ornamentali d'arte lombarda con le linee architettoniche toscane. Quest'amalgama di forme stilistiche differenti non è raro in Sardegna e si spiega colla suddivisione del lavoro. È probabile che a disegnare ed a dirigere un edificio di una certa importanza si ricorresse ad architetti ed a capi-mastri di Toscana, che avevano già iniziato in arte quel movimento che preludiò alla rinascenza fiorentina, mentre per le particolarità decorative e costruttive s'usufruì d'artefici locali di quei nomadi scalpellini campionesi e comacini che si spinsero nelle regioni più internate della nostra isola, profondendo nuove forme ornamentali che si estesero poscia rapidamente e durarono fino al XVIII secolo, quando le altre provincie italiane non solo aveano abbandonate le forme gotiche, ma, ritenendole barbare, dalle grazie del rinascimento trascendevano alle esagerazioni barocche.
Poco lungi dalla Chiesa di S. Maria, una cinquantina d'anni or sono esisteva un'altra pregevole chiesa medioevale sotto l'invocazione di S. Tomaso. Lo schizzo, che di essa ci diede lo Spano, ed i pochi avanzi che tutt'ora ci rimangono comprovano le affinità architettoniche fra le due chiese poste nella parte del territorio d'Uta, che più è soggetta alle inondazioni. Queste furono la causa del primo crollo: l'ingordigia dei paesani che profittarono dell'abbandono in cui era tenuta la bella chiesetta, per rimoverne i cantoni di calcare provenienti dalle colline di Cagliari, completarono l'opera di distruzione.
Oggi non rimangono che gli avanzi di pochi muri e sarebbe andata dispersa anche la memoria se la località in cui era la chiesetta non avesse da questa presa la denominazione di Santu Tomai.