Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo terzo

Distinzione seconda - Capitolo terzo

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CAPITOLO TERZO.


Dove si dimostra come la 'ncertitudine della morte c'induce tosto a fare penitenzia.


La terza cosa che c’induce a fare penitenzia e a non indugiarla, è la incertitudine della morte, chè niuno è certo quando debba morire. Niuna cosa è più certa che la morte, né è più incerta che l’ora della morte. Ed è troppo grande pericolo che ella sopravvenga, e truovi l’uomo sanza penitenzia. E hae ordinato Iddio, ch’ella sia incerta, secondo che dice santo Gregorio, acciò che non sappiendo quando deggia venire, sempre stiamo apparecchiati come se sempre dovesse venire: chè, come dice santo Agostino, Iddio, che ti promette perdonanza de’ tuoi peccati se ti penterai, non ti promette il dì di domane, nel quale ti possa pentere. E però sono fortemente da riprendere coloro che, vanamente sperando, promettono a sé medesimi lunga vita, con ciò sia cosa che non sia a loro balìa; e per questo indugiano la penitenzia infino alla morte. E interviene che comunemente rimangono ingannati, imperò che, male vivendo, non meritano di bene morire, e non sono degni di ricevere quella grazia che alla morte veramente si pentano. E molti sono gl’impedimenti che non lasciano altrui veramente pentere. Che alcuna volta la morte è súbita, o è sì brieve la infermitade, e molto tempo si mette nelle medicine, e ’l duolo della infermitade occupa l’uomo, e mettelo in travaglio e fallo sì dimenticare lui medesimo, che non s’avvede l’uomo che dee morire. E avvegna pure che la infermitade sia lunga, è tanta la voglia del [p. 18 modifica]guarire, e la speranza ch’è data da’ medici e da quelle persone che sono d’intorno, parenti o amici, che cielano allo ’nfermo il male ch’egli ha, e non lasciano che prete né frate gliele dicano: anzi il confessare, e gli altri sacramenti, e ’l fare testamento o restituire che abbia lo ’nfermo a fare, lo impediscono, dicendo, con pregiudicio delle loro anime, che non vogliono lo ’nfermo isbigottire. E però gli dicono, mentendo sopra loro capo: Tu non hai male di rischio; tosto sarai libero; i medici ti pongono nel sicuro di questa tua infermitade: a tale ora ch’egli è nel maggiore dubbio; sì che lo ’nfermo appena s’avvede d’avere gran male, e spesse volte muore non avveggendosi né credendosi dovere morire. O gente mortale! ponete rimedio a così pericoloso errore, e non vi lasciate ingannare alle false impromesse degli ignoranti medici, alle lusinghe malvagie de’ non veri amici, alle lagrime affinte1 de’ parenti traditori, all’affettuoso amore della male amata moglie e de’ mal veduti figliuoli, al bugiardo conforto della famiglia stolta, alla desiderosa voglia del tosto guarire; e innanzi a ogn’altra cosa vada la salute dell’anima: la quale se a santà non è provveduta, o non tanto che basti, immantanente, nel principio della infermità, anzi che sopravvenghino li accidenti gravi che dànno impedimento e fanno l’uomo dimenticare sé medesimo, si faccia ciò ch’è da fare, del restituire, del fare testamento, d’addomandare tutti i sagramenti della Chiesa, come fedele cristiano, ed eleggere la ecclesiastica sepoltura; e poi aspetti la grazia e la misericordia di Dio. Onde a’ medici si comanda spressamente per la Decretale, che visitato lo ’nfermo la prima volta gli debbino dire della confessione, protestandogli che se ciò non facesse, non intendono procedere alla cura né visitarlo più. Nol fa l’uno, nol fa l’altro; e così ciascuno dice che non vuole [p. 19 modifica]essere cominciatore egli, né sbigottire lo ’nfermo. Della qual cosa se fosse usanza, gli ’nfermi non se ne isbigottirebbono. Ora, della salute dell’anima non s’ha cura veruna, se non quando lo ’nfermo è sì aggravato, che non può fare quello che fare si dee. E così, o e’ non fa nulla, o fallo male e difettuosamente, o nol fa liberamente com’egli vorrebbe; ma conviengli fare come altri vuole. Vuolsi, dunque, fare a tale ora che si possa ben fare; chè se ciò non si fa, morta la persona, l’anima dolente ritrovandosi ne’ crudeli tormenti e nelle dolorose pene, s’avvede dello errore suo, e pentesi sanza frutto di non avere avuto l’utile pentimento, mentre ch’ella vivea col corpo, e avea l’uso del libero albitro, per lo quale l’uomo si può pentere, e disporsi e apparecchiarsi a ricevere la grazia d’avere vera penitenzia. Onde, avvegna che detto sia che la penitenzia nella morte sia dubbiosa e di rischio; e spezialmente, che il più delle volte n’è cagione paura di pena, e non amore di giustizia; e lascia l’uomo il peccato quando non crede poterlo più fare; o vero, come dice santo Agostino, i peccati lasciano l’uomo in quel caso, non l’uomo lascia i peccati, sicchè è necessità, non volontà: tuttavia non è da credere o da dire ch’ella sia impossibile, mentre che l’anima col corpo è; chè la misericordia di Dio e la grazia sua di súbito può adoperare e adopera in coloro che sono eletti da Dio ad avere vita eterna, i quali egli trae in diversi modi, tempi e luoghi, a mostrare la smisuranza infinita e copiosa abbondanza della grazia sua.

L’esempio del ladro della croce di Cristo, e di più altri: tra’ quali si legge uno essemplo, e scrivelo Cesario, ch’ e’ fu uno cavaliere mondano, il quale vivendo con molti peccati e scelleratamente, da’ suoi nemici fu assalito e morto; e mentre ch’egli lo fedivano colle coltella, computo e pentuto de’ suoi peccati, disse: Domine, miserere mei: Signore Iddio, abbi misericordia di me. Ora intervenne, che ragunandosi molta gente alla sepoltura di questo cavaliere, il diavolo entrò [p. 20 modifica]addosso a uno, e gravemente lo tormentava. E domandato da molti perché così affliggeva il cristiano, rispose il diavolo: Noi traemmo molti alla morte di questo cavaliere, credendo sanza niuno impedimento portarne l’anima sua allo ’nferno, però che tutta la vita sua avea menata secondo il nostro volere; e noi non abbiamo trovata in lui balía veruna; anzi gli Angioli di Dio ce l’hanno tolto, dicendo che noi non abbiamo in lui balía veruna: per la qual cosa, indegnati e adontati, ci vendichiamo sopra questo cattivello. E domandato il diavolo qual’era stata la cagione dello iscampamento di quello cavaliero, rispose: Tre maledette parole disse, per le quali fu diliberato dalle nostre mani; che se ci fusse conceduto da Dio di poterle dire noi, come disse egli, ancora saremmo salvi: ma molto c’è il potere. Ora, tra ’l dubbio e ’l possibile, è da seguire il sano consiglio di santo Agostino, il quale, parlando di questa materia, conchiude: Piglia el certo, e lascia lo ’ncerto.2 Dove vuol dire: Piglia il certo di fare penitenzia quando se’ forte e sano, e quando non solamente paura di pena, ma amore di giustizia a fare penitenzia di conduca; per la qual cosa certamente vita eterna s’acquista: e lascia lo ’ncerto della penitenzia indugiata in fino alla morte, la quale è incerta, avvegna che sia possibile, se sia valevole o sì o no. Onde il Salvatore nel Vangelo, vogliendoci avvisare e rendere solleciti per la incertitudine della morte, dice: Vegghiate, e siate sempre apparecchiati, chè voi non sapete né ’l di né l’ora.

E pone uno essemplo di quello uomo ricco, che avendo avuto copiosa e abbondante ricolta di tutti i beni terreni da vivere,3 diceva a sé medesimo: Or godi, anima mia, riposati, e dàtti buon tempo, chè hai bene da vivere per molti anni. [p. 21 modifica]Ed e’ venne una voce e disse: Istolto, istolto, istanotte ti sarà richiesta e tolta la vita:4 e queste cose che hai riposte, di cui saranno? Quasi dicesse: Non tue;5 nolle goderai. Non si lasci, adunque, l’uomo menare alla vana speranza della lunga vita; ma oda Salamone, che dice: Memor esto, quoniam mors non tardat. Ricordati che la morte a venire non tarda. Ma ecco, pure che la vita fusse lunga, non dee l’uomo indugiare la penitenzia per più ragioni. L’una si è: che vivendo in peccato e continuando di mal fare, l’uomo si dilunga di più da Dio, e fassi più indegno della grazia sua, la quale è di bisogno ad avere verace penitenzia. E spesse volte interviene a questi cotali, che potendo avere la grazia di fare penitenzia, e non volendola; che poi, volendola, nolla possono avere. Ond’è il comune proverbio che dice: Chi non vuole quando puote, non puote quando vuole. Come dice santo Paolo d’Esau, che non trovò luogo di penitenzia, avvegna che con lagrime la domandasse. Simile conta la Scrittura di quello Antioco superbo. L’altra ragione si è: che indugiando la penitenzia, si perde molto tempo, lo quale sarà richiesto all’uomo, e mai non si può ricoverare. L’altra ragione si è: che continuando in mal fare, si converte l’uso in natura, et è poi troppo malagevole a lasciarlo. L’altra ragione per che la penitenzia non si dee indugiare, si è: per acquistare più merito, e per vivere più sicuro e con migliore speranza di salute, e per non avere a sostenere tante pene nel purgatorio, se la misericordia di Dio il campa alla eterna pena dello ’nferno. Or v’avvedete a buon’ otta, amadori delle cose vane, e non perdete più tempo; e sanza indugio tornate a vera penitenzia, non aspettando più lo ’ncerto tempo.

Note

  1. Così nel nostro, invece di fitte, autenticato nei Vocabolarii. È ancora da notarsi che il Salviati fece imprimere finte, e che la stampa del XV secolo pone: lachryme ficte.
  2. Il nostro Codice: Pigli el certo e lasci lo 'ncerto.
  3. Le edizioni del 95 e dell'85: da bene vivere. Confusamente, e con omissioni, il Testo delle Murate: vivendo copioso e abbondante ricchezze e di tutti i beni terreni da vivere, dicie.
  4. Il nostro Testo: l'anima.
  5. Lo stesso: Non tu.