Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo secondo

Distinzione seconda - Capitolo secondo

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CAPITOLO SECONDO.


Dove si dimostra la paura del divino giudicio c'induce a fare penitenzia.


La seconda cosa che c'induce a fare penitenzia è il timore e la paura del divino giudicio, il quale aspro e duro avrà a sostenere dopo la morte chi non si provvederà di purgare i suoi peccati in mentre che dura la presente vita. Quello che purga i peccati è la penitenzia, per la quale l’uomo sè medesimo giudica e fa giustizia di sé, punendo i mali c’ha fatti. E per tale modo iscampa l’uomo, e non ha a temere altro giudicio: chè, come dice la Scrittura, Dio non punisce due volte una medesima cosa. Anzi dice l’Apostolo messere san Pagolo: Si nosmetipsos iudicaremus, non utique iudicaremur: Se noi giudicassimo noi medesimi, per certo non saremmo poi giudicati. Onde dice san Gregorio: L’onnipotente Iddio, misericordioso giudice, ricevendo volentieri la nostra penitenzia, nasconde dal suo giudicio i nostri falli. E per ciò [p. 16 modifica]ci ammaestra santo Agostino, e dice: Sali nella mente tua, quasi in una sedia giudiciale, e poni te malfattore dinanzi da te, giudice di te: non volere porti dietro a te, acciò che Iddio non ti ponga innanzi a sè. Vuol dire che l’uomo giudichi sè medesimo col giudicio della penitenzia, acciò che Iddio nol giudichi colla sua severa ed aspra giustizia. Onde dice il savio Ecclesiastico: Si poenitentiam non egerimus, incidemus in manus Domini: Se non faremo penitenzia, caderemo nelle mani di Dio; delle quali dice santo Paolo, che cosa paurosa e orribile è cadere nelle mani di Dio vivente, cioè nelle mani della sua giustizia. Onde Iesu Cristo dicea nel Vangelo: Nisi poenitentiam habueritis, simul omnes peribitis: Se voi non averete penitenzia, tutti insieme perirete. E però dice santo Agostino: Colui che farà veramente penitenzia, non fa altro se non che non lascia impunito il male che ha fatto; e così, non perdonandosi, Iddio gli perdona; il cui giudicio, niuno che lo spregi, potrà iscampare. O peccatori, non abbiate di voi così crudele misericordia, che per risparmiarvi di non sostenere un poco di disagio qui, vi conduciate1 a essere condannati per giusto giudicio di Dio allo eterno fuoco dello ’nferno.

Leggesi iscritto nel libro de’ Sette Doni, che uno giovane nobile, il qual era stato molto dilicatamente nutricato, entrò nell’Ordine de’ Frati Predicatori; donde il padre suo, co’ parenti e amici, vogliéndolne trarre, con promesse e con lusinghe s’ingegnavano d’ingannare l’animo del giovane. E fra l’altre cose, dicevano che non potrebbe sostenere l’asprezze dell’Ordine; con ciò sia cosa che fosse molto tenero e morbidamente allevato. A’ quali egli rispose: E questa è la cagione per che io sono entrato all’Ordine; chè veggendo io com’io era tenero e dilicato, e che niuna cosa malagevole o aspra potevo sostenere, pensai: come potre’ io sostenere le gravissime pene dello ’nferno, sanza fine? E però diliberai, e così [p. 17 modifica]voglio tenere fermo, di volere anzi sostenere qui un poco di tempo l’asprezze della Religione, che avere a sostenere quelle intollerabili eterne pene. Alla quale risposta non sappiendo apporre il padre e’ parenti, lasciórollo in pace.

Note

  1. Il nostro Testo: vi 'ndugiate.