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distinzione seconda. - cap. ii. 17

voglio tenere fermo, di volere anzi sostenere qui un poco di tempo l’asprezze della Religione, che avere a sostenere quelle intollerabili eterne pene. Alla quale risposta non sappiendo apporre il padre e’ parenti, lasciórollo in pace.


CAPITOLO TERZO.


Dove si dimostra come la 'ncertitudine della morte c'induce tosto a fare penitenzia.


La terza cosa che c’induce a fare penitenzia e a non indugiarla, è la incertitudine della morte, chè niuno è certo quando debba morire. Niuna cosa è più certa che la morte, né è più incerta che l’ora della morte. Ed è troppo grande pericolo che ella sopravvenga, e truovi l’uomo sanza penitenzia. E hae ordinato Iddio, ch’ella sia incerta, secondo che dice santo Gregorio, acciò che non sappiendo quando deggia venire, sempre stiamo apparecchiati come se sempre dovesse venire: chè, come dice santo Agostino, Iddio, che ti promette perdonanza de’ tuoi peccati se ti penterai, non ti promette il dì di domane, nel quale ti possa pentere. E però sono fortemente da riprendere coloro che, vanamente sperando, promettono a sé medesimi lunga vita, con ciò sia cosa che non sia a loro balìa; e per questo indugiano la penitenzia infino alla morte. E interviene che comunemente rimangono ingannati, imperò che, male vivendo, non meritano di bene morire, e non sono degni di ricevere quella grazia che alla morte veramente si pentano. E molti sono gl’impedimenti che non lasciano altrui veramente pentere. Che alcuna volta la morte è súbita, o è sì brieve la infermitade, e molto tempo si mette nelle medicine, e ’l duolo della infermitade occupa l’uomo, e mettelo in travaglio e fallo sì dimenticare lui medesimo, che non s’avvede l’uomo che dee morire. E avvegna pure che la infermitade sia lunga, è tanta la voglia del


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