Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo quarto
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CAPITOLO QUARTO.
Dove si dimostra come la pazienzia e la benignità di Dio c’induce a penitenzia.
La quarta cosa che c’induce a fare penitenzia, e tosto sanza indugio, è la pazienzia e la benignità di Dio; la quale ci sostiene e aspettaci e chiamaci; e noí villanamente la sprezziamo, e facciáncene beffe e strazio. Onde doverremmo più tosto in ver’ lui arrenderci, e, umiliandoci, servirlo e amarlo; e noi, come ma’ servi, ingrati, superbi e protervi, la benignità di Dio usiamo male, e pigliamo sicurtà d’offenderlo, perch’egli è buono. Onde san Paolo riprende ciascuno che non s’arrende alla benignità di Dio, ma protervamente lo contasta e spregia, e dice: An ignoras quod benignitas Dei ad pœnitentiam te adducit? An divitias bonitatis eius et longanimitatis contemnis? etc. Or non sa’ tu, dice l’Apostolo, peccatore protervo, che la benignità di Dio t’induce a penitenzia? O isvergognato, ispregi tu l’abbondanza della bontà e della sua pazienzia, colla quale t’aspetta? Or non t’avvedi tu quello che tu fai, secondo la durezza tua, e ’l quore pertinace, che non si pente? Rauni tu l’ira di Dio contro a te, la quale egli ti mostrerrà il dì del suo iusto iudicio, quando renderà a ciascuno l’opere sue. E però, se noi considerassimo bene e con diligenzia quanto beneficio è quello che Dio ci aspetta;1 e che s’egli ci togliesse il tempo che ci dà acciò che facciamo penitenzia, e giudicasseci secondo l’opere nostre, come noi saremmo a mal punto e male arrivati; noi ci vergogneremmo della nostra ingratitudine verso la bontà di Dio, e d’avere male speso il tempo ch’ e’ ci ha dato. Chè, come dice san Gregorio: Se noi non vogliamo temere la divina giustizia, almeno ci doverremmo vergognare sua bontade; la quale avvegna che si vegga spregiare da noi, non isdegna, né rimansi di chiamarci e d’aspettarci ancora più innanzi. Ma quando averà assai aspettato, e sostenuto con molta pazienzia e’ nostri peccati, egli farà vendetta aspra del nostro dispregio e della nostra tracotanza. E questo è quello che ci dà ad intendere santo Agostino il quale dice: Non vogliate essere negligenti, e infígnerevi2 di non avvedervi che ’l Signore piatoso v’aspetta e sostiene, continovando voi il peccare; però che, quanto più v’aspetterà che v’ammendiate, tanto più gravemente vi correggerà, se non vi correggete. E che Iddio ci aspetti, il Profeta ce ’l dice: Expectat vos Dominus ut misereatur vestri: Iddio v’aspetta per avere misericordia di voi. La qual parola esponendo santo Ierolimo, dice: Iddio lungo tempo aspetta la nostra penitenzia, acciò che se noi faremo penitenzia de’ peccati nostri, egli si penta de’ mali che ci minaccia di fare; e acciò che mutando noi la nostra sentenzia del mal fare, egli muti la sua sentenzia del mal fare a noi. E ch’egli ci chiami,e rammárichisi che non gli sia risposto, e dolgasi d’essere spregiato, protestando di fare vendetta, chiaramente cel dice ne’ Proverbi di Salamone: Vocavi, et renuistis; extendi manum meam, et non fuit qui aspiceret; despexistis omne consilium meum; increpationes meas neglexistis. Ego quoque in interitu vestro ridebo et subsannabo, quando id quod timebatis advenerit: Io, dice Iddio, vi chiamai, e non mi rispondeste; instesi in ver’ di voi la mano mia,3 e non fu chi porla mente;4 e spregiasti ogni mio consiglio, e le mie reprensioni non volesti: onde io mi riderò della vostra morte, e farò beffe e scherno di voi, quando quello che temavate vi verrà in capo. Adunque, fratelli carissimi, chiamati, non indugiamo l’andare; che ’l cammino è lungo, e ’l tempo è brieve. E dee induciere a tosto andarne, se consideriamo che quasi tutta la buona gente n’è ita; e’ pericoli della via sono molti; e siamo aspettati dal buono e grazioso Signore, e da molti cari parenti e amici, di noi solleciti e disiderosi di vederci seco nello stato onorevole, al gran convito e alla gioiosa festa di paradiso. Ed è gran dubbio che per lo troppo indugio non ci sia serrata la porta, come fu a quelle cinque vergini stolte che indugiarono l’apparecchiamento delle lampane e dell’olio, e però giunsono tardi e trovarono la porta serrata, e non fu loro aperta, come conta il santo Evangelio; significando com’altri dee essere sollecito della propria salute, e stare apparecchiati e ben vivendo, acciò che all’ora della morte, quando sarà chiamato, non abbia a fare l’apparecchiamento: il quale la gente comunemente indugia, e però non si fa, o fassi in fretta o male o tardi; e non ha rimedio così fatto errore. Ora te ne guarda: credimi, che chi non fa quando puote, quando vorrà non potrà, o meriterà di mai non volere quello che sia di sua salute.
Leggesi (e ’l venerabile dottore Beda lo scrive) ch’ e’ fu un cavaliere in Inghilterra, prode dell’arme ma de’ costumi vizioso; il quale, gravemente infermato, fu visitato dal re, ch’ era un santo uomo; e indotto che si dovesse acconciare dell’anima, confessandosi come buono cristiano, rispose e disse che non era bisogno, e che non volea mostrare d’avere paura, ned essere tenuto codardo e vile. Crescendo la ’nfermità, il re venne un’altra volta a lui; e confortandolo e, come avea fatto prima, inducendolo a penitenzia e confessare i suoi peccati, rispose: Tardi è oggimai, messer lo re; imperò ch’io sono già giudicato e condannato, chè male a mio uopo5 che non vi credetti l’altro giorno, quando mi visitasti e consigliastemi della mia salute, chè, misero a me! ancora era tempo di trovare misericordia.6 Ora, che mai non foss’io nato, m’è tolto ogni speranza; chè poco dinanzi che voi entrasti a me, vennono due bellissimi giovani, e puosonsi l’uno da capo del letto e l’altro dappiè, e dissono: Costui dee tosto morire: veggiamo se noi abbiamo veruna ragione in lui. E l’uno si trasse di seno uno piccolo libro scritto di lettere d’oro, dove, avvegna che prima io non sapessi leggere, lessi certi piccoli beni e pochi che io avea fatti nella mia giovinezza, innanzi che mortalmente peccassi; né non me ne ricordava. E avendone grande letizia, sopravvennero due nerissimi e crudelissimi demonii, e posono dinanzi a’ miei occhi uno libro aperto, nel quale erano iscritti tutti i miei peccati e tutti i mali ch’io avea già mai fatti, e dissono a quelli due, che erano Angioli di Dio: Che fate voi qui? con ciò sia cosa che in costui nulla ragione abbiate, e che il vostro libro, già è molti anni, non sia valuto niente. E guardando l’uno l’altro, gli Angioli dissono: E’ dicono vero. E così partendosi, mi lasciarono nelle mani degli demonii: i quali con due coltella taglienti mi segano, l’uno da capo e l’altro da piede. Ecco quello da capo ora mi taglia gli occhi, e già ho perduto il vedere; e l’altro ha già segato insino al cuore, e non posso più vivere. E dicendo queste parole, si morì.
Note
- ↑ Con più regolare costrutto, la stampa del primo secolo: che Dio ci fa aspettandoci.
- ↑ Raddriziamo l'errore materiale del Manoscritto, che ha: infignetevi.
- ↑ Il nostro Testo: la misericordia mia.
- ↑ L'aver noi riunito por la, così staccato nelle edizioni dell'85 e del 25, presuppone il significato attivo che pensiamo essersi qui attribuito alla locuzione por mente; significato che con certezza ravvisiamo anche nella stampa del 95 e in uno dei Manoscritti già consultati dagli Accademici: non fu chi la ponessi mente.
- ↑ Non bene la stampa antica del 95: che male a mio danno.
- ↑ Il Manoscritto, coll'edizione del 25: chè ancora era tempo del trovare misero a me misericordia.