Sotto il velame/La selva oscura/VI
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VI.
E lo smarrimento nella selva esattamente raffigura il difetto di prudenza. La prudenza è virtù dirigente, e il suo medio è la rettitudine della ragione.1 Dante aveva smarrita la diritta via. La prudenza è, secondo l’espressione stessa di Dante, lume.2 Ed egli si trova in una selva oscura. Il prudente, secondo la dichiarazione di S. Agostino, accolta nella Somma,3 è porro videns, chi vede innanzi sè: e Dante non sa come entrasse nella selva, quasi avesse gli occhi abbacinati dal sonno, e vi si aggira al buio, e notte è il tempo che vi passò. Della prudenza è propria la notturna guardia e la diligentissima vigilanza.4 E Dante era pien di sonno quando entrò, e assonnato vi rimase, sì che notte egli chiama quel decenne errore, che cominciò col sonno e finì con un risveglio:5
Guardai in alto...
gli occhi di lui si aprono: è mattino.
In fine egli era quasi morto, nella selva che
tanto è amara che poco è più morte.
Orbene è dottrina dei filosofi cristiani che la prudenza s’infonda col battesimo, sì che ella si trovi, secondo abito se non secondo atto, nei bambini battezzati, anche quando non hanno l’uso di ragione;6 e non si trovi nei pagani, quand’anche siano spiriti magni. Essa è il lume che mostra all’anima sensitiva ciò che è da fuggire e ciò che da seguire. Essa è il principio,7
là onde si piglia
ragion di meritare,
e perciò non possono meritare nè i parvoli non battezzati, nè quelli, che pur innocenti di vita,8
non adorâr debitamente Dio,
per essere stati dinanzi al cristianesimo. Tanto questi che quelli sono morti a Dio, perchè il peccato originale, che il battesimo in essi non cancellò, è morte dell’anima. Con esso la morte entrò negli uomini. Ora quelli che questa prudenza infusa che in loro è in abito, non riducono ad atto, non hanno nemmen essi quella ragione di meritare che manca ai non battezzati; e sono come loro, morti; quasi morti, peraltro; perchè la prudenza infusa può in essi mostrarsi alfine, e dirigere e illuminare l’anima sensitiva. Perciò Dante, che non aveva prudenza, è come morto; e la selva oscura che è simbolo di questo difetto di lume, è perciò
tanto amara che poco è più morte.
Ma Dante non dice solo che a noi fu dato lume a bene ed a malizia; sì, che in conseguenza ci fu dato anche libero volere:
lume v’è dato a bene ed a malizia
e libero voler...
Innata v’è la virtù che consiglia,
che dell’assenso de’ tener la soglia.
Questo è il principio, là onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andaro al fondo
s’accorser d’esta innata libertate...
Tu m’hai di servo tratto a libertate?
e non lo dice a lui Virgilio avanti l’Eden, quando, poco prima di allontanarsi, riassume tutto il bene che gli fece:11
libero, dritto, sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno?
Virgilio fu lo strumento di Beatrice, e da Beatrice Dante riconosce il bene che ebbe pur da Virgilio; e questo bene è la libertà, che prima non aveva. Il qual difetto è pur raffigurato nella selva, la cui mancanza di lume arreca servitù.
In vero le parole,
tu m’hai di servo tratto a libertate,
esprimono o i due punti estremi del cammino di Dante, la selva e l’empireo, o i due punti estremi della missione di Virgilio, quando gli apparve e quando lo lasciò. In tutti due i casi l’idea di servitù si fonde nella imagine della selva; chè (per non parlare che del secondo caso) Virgilio apparve a Dante, quand’esso era ripinto dove il sol tace,12 cioè nell’oscurità, quand’esso rovinava in basso loco, cioè nella valle, quand’esso ritornava a tanta noia, cioè nella selva amara.
Dante era dunque come un non battezzato, finchè stette nella selva e quando era per ritornarci: era servo e quasi morto. In fatti quando poi, passato Acheronte, si trova nel limbo, tra le anime dei non battezzati, prova, diremmo noi, come un’allucinazione. Che è? che non è? dove si trova? ma è ancora nella selva? nella selva oscura, simbolo del manco di lume, e perciò di libertà, e quasi di vita e di battesimo? Virgilio gli ha confermato il fatto della discesa del possente, portatore di libertà. E Dante narra:13
Non lasciavam l’andar, perch’ei dicessi,
dicesse di questa liberazione,
ma passavam la selva tuttavia...
come la selva? la selva della servitù? Sì:
la selva, dico, di spiriti spessi.
Dante non si trastulla con le parole! Dante sa quel che dice! Se la selva significa la mancanza di libertà del volere, il limbo che tiene in sè i non battezzati è una selva anch’esso. Mirabile linguaggio!
Ed è oscura questa selva. Dante vede infatti un foco,14
ch’emisperio di tenebre vincia.
Il fuoco risplendeva nel mezzo alle tenebre, senza sperderle e allontanarle. Quel luogo è15
non tristo da martiri,
ma di tenebre solo.
Anche la selva oscura, nella quale Dante si ritrovò smarrito, in comparazione di ciò che egli ha a soffrire avanti le fiere, si può dire che sia trista solo di tenebre. Ma Dante continua:16
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno...
Di qua dal sonno? Già: sonno e non sommo lessero gl’interpreti antichi e dànno moltissimi codici. E lessero e dànno bene; e questa paroletta somno o sonno invece di sommo deve essere una delle più certe per sceverare i migliori codici danteschi dai peggiori. Sì: dal sonno! Come Dante ha intraveduta la selva oscura nel limbo dei non battezzati, la selva della servitù nel tempo stesso che Virgilio parlava di liberazione; così qui ricorda il sonno col quale cominciò la sua notte di servitù e di tenebre. Nel limbo, la prudenza non era stata infusa col battesimo; nella selva, la prudenza infusa col battesimo, non raggiando nell’atto, giaceva sonnolenta nell’oscurità dell’abito. Si tratta di quasi medesimo effetto scendente da quasi medesima causa: difetto di prudenza per via del peccato originale non deterso o come se deterso non fosse.
Perchè, come il poeta fa dire a Beatrice,17
ben fiorisce negli uomini il volere;
ma la pioggia continua converte
in bozzacchioni le susine vere:
il che non altro significa, se non che libera è bensì la volontà per opera della redenzione; che il fiore c’è bensì, ma non lega, e cade senza dar frutto, come se mai non sia stato.
Note
- ↑ Summa, 1a 2ae 57, 4; 3 e altrove; 1a 2ae 64, 3.
- ↑ Purg. XVI 75.
- ↑ 2a 2ae 47, 1.
- ↑ 2a 2ae 47, 9. Vi è portato come testo: Estote prudentes et vigilate in orationibus.
- ↑ Inf. I 16.
- ↑ Summa 2a 2ae 47, 14.
- ↑ Purg. XVIII 64 seg.
- ↑ Inf. IV 38.
- ↑ Purg. XVIII 62 segg.
- ↑ Par. XXXI 85.
- ↑ Purg. XVII 140. Cfr. ib 1 71.
- ↑ Inf. I 60; cfr. 2 e 14; 76; cfr. 7.
- ↑ Inf. IV 64 segg.
- ↑ Inf. ib 68 seg.
- ↑ Purg. VII 28 seg.
- ↑ Inf. IV 68.
- ↑ Par. XXVII 124 segg. Il passo è molto inesattamente interpretato; e si dichiarerà nel capitolo seguente. Si accosta alla buona interpretazione il da Buti: «imperò che tutti li omini vogliano lo sommo bene, e nessuno può fare che cognosciuto ch’elli l’à non lo voglia».