Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
la selva oscura | 33 |
Da quella virtù scende dunque la libertà, innata l’una, innata l’altra. E la virtù che consiglia è quel lume. Il quale chi non ha, non è dunque libero: è servo. Sicchè Dante nella selva oscura, oltre quasi morto, era anche quasi servo. E come no? Non lo dice egli a Beatrice, quand’ella nell’Empireo si allontana da lui, ed esso comprende in un’orazione tutto il bene che ebbe da lei:1
Tu m’hai di servo tratto a libertate?
e non lo dice a lui Virgilio avanti l’Eden, quando, poco prima di allontanarsi, riassume tutto il bene che gli fece:2
libero, dritto, sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno?
Virgilio fu lo strumento di Beatrice, e da Beatrice Dante riconosce il bene che ebbe pur da Virgilio; e questo bene è la libertà, che prima non aveva. Il qual difetto è pur raffigurato nella selva, la cui mancanza di lume arreca servitù.
In vero le parole,
tu m’hai di servo tratto a libertaté,
esprimono o i due punti estremi del cammino di Dante, la selva e l’empireo, o i due punti estremi della missione di Virgilio, quando gli apparve e quando lo lasciò. In tutti due i casi l’idea di servitù si fonde nella imagine della selva; chè (per non par-
- ↑ Par. XXXI 85.
- ↑ Purg. XVII 140. Cfr. ib 1 71.
Sotto il velame | 3 |