Théros

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THÉROS

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Tutti i nostri ragazzi, durante la scorsa estate, s’erano innamorati di questa Théros, la celebre attrice cinematografica, allora di gran moda.

E la parola ragazzi significa anche ragazze, e donne e uomini anziani: poiché si era in un paese veramente dolce e solatio di Romagna, dove si usa chiamare le persone affini a noi «cari i miei ragazzi», o in senso più generale, anzi evangelicamente universale: — Cara la mia gente.

*

D’estate, si sa, il cuore è più grande e buono del solito: si diventa, superati i primi caldi che realmente dànno più alla testa che al cuore, tutti innocuamente pazzerelli, leggerini e spensierati. Già le vesti si sono diradate, le braccia tornano a nuotare nude nell’aria che sa di salsedine: negli armadi [p. 258 modifica] abbiamo finalmente imprigionato le volpi con gli occhi di vetro e i fantasmi scuri e pelosi che da Santo Omobono in poi ci hanno angariato in tutti i modi: adesso, dopo una buona sculacciata col battipanni, essi meditano cupe cose, mangiandosi la naftalina di cui hanno piene le tasche. È tempo ormai di stoffe farfallesche, di ragnatele iridate: e quando il sarto ce ne porta una, alla vigilia della partenza dalla città, ci succhia il nostro ultimo sangue cattivo, come alla mosca il ragno portafortuna. Fortuna è, certo, lasciare un po’ indietro la città rombante e polverosa, voltando le spalle alla propria casa come ad una moglie esigente e brontolona.

Si va verso l’altra casa, è vero, ma questa è l’amichetta sbarazzina, che ha dormito a lungo cullata dal rumore delle onde: adesso si sveglia, spalanca gli occhi glauchi delle sue finestre e ci accoglie sbadigliando e stiracchiandosi come un gattino affamato. Pare seccata della nostra invasione: invece poi ci stringe fino a soffocarci di tenerezza e di gioia: sopporta tutte le chiacchiere, le confusioni, il disordine, l’andirivieni della nuova vita: ragazzi, ospiti, mendicanti, venditori ambulanti di cianfrusaglie, erbivendole e pescivendole, tutti sono suoi amici: persino i rospetti verdolini, in queste sere ancora [p. 259 modifica] molli dell’odore umidiccio del prato, vengono a salutarla fin sulla soglia della cucina ospitale.

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E in questa casa aerea, fatta di nulla, ma sempre pulsante come il cuore di un uccello, che sono benvenuti i giornali, le cronache, le riviste del cinematografo: anzi sono essi, con le loro meraviglie, a completare la meravigliosa corsa di questi giorni senza peso, che galleggiano come meduse sul mare finalmente placato, sia pure per poco, della nostra gravosa e mossa esistenza. Un’atmosfera d’irreale e di iperbolico si è davvero diffusa intorno: sullo schermo dell’orizzonte passano vascelli rossi e gialli, carichi di fantasie: nei mattini di turchese, sul nastro bianco della riva, sfilano teorie di bellissime donne seminude; verso mezzogiorno, quando il sole a picco tira fuori da ogni goccia d’acqua un gioiello fino, centinaia di teste macabre eppur ridenti galleggiano sui bacili d’argento delle onde, simili a quella di San Giovanni decollato: e i bambini delle colonie marine, neri e per lo più deformi, seduti sulla sabbia, in cerchio intorno alla maestra che ha [p. 260 modifica] l’aria di una suora, vi trasportano nelle regioni della Papuasia bonificate spiritualmente dai coraggiosi missionari.

Passano a bassa ed alta quota aeroplani e dirigibili; nella navicella di uno di essi si ammira la testa di un’aviatrice: e lungo la strada litoranea è una corsa ininterrotta di automobili di ogni colore: pare s’inseguano, o trasportino gente che fugge un pericolo di morte, o corra verso un punto che è assolutamente necessario raggiungere.

Ma l’ora buona, quella che stacca dalla realtà pur tenendoci dentro di essa come il fiore nel vaso, è quella del primo meriggio, quando la gente è tornata a casa, e sulle terrazze dei grandi alberghi le donne, abbigliate per la colazione, sembrano, per i loro colori e la trasparenza degli sfondi, fatte di vetri di Murano: la gente modesta sta invece, dopo la borghese e parca mangiatina del mezzogiorno, nei giardinetti fioriti di girasoli, all’ombra morta dei pioppi e delle paulonie: ma veduti dalle sedie a sdraio, dopo la mollezza del bagno fatto un’ora prima, e qualche discreto sorso di albana, questi giardini si protendono in boschi fitti; coppie di amanti si guardano negli occhi, sdraiati sull’erba tropicale, che è poi la gagliarda gramigna nostrana: e non manca il ruggito del leone, che è quello del [p. 261 modifica] giovinetto asino del nostro buon vicino e amico Pollini.

All’incantesimo concorre certo la lettura dei giornali illustrati; ed è questa, sopratutto, l’ora del trionfo della bella Théros. Essa è lì, sulle copertine incendiarie delle riviste patinate, come su quelle dei giornaletti da pochi soldi: è davanti a tutti, fanciulli, donne, anziani, e la sua figura domina il mondo: persino qualche vecchietto si lecca l’angolo della bocca e qualche signora austera e melanconica si lascia cadere la testa sul petto.

Bella? Eppure non è veramente bella, Théros, e il suo pseudonimo greco che vuol dire Sole di Estate non risponde alla classica figurazione di Venere: ha le mani e i piedi grandi: mani per afferrare verghe d’oro e braccia muscolose di uomini ardenti: piedi fatti per correre le interminabili strade del mondo, arrampicarsi sulle vette della fama, schiacciare i cespugli spinosi davanti alle romantiche caverne dove nascondersi e sfuggire l’inseguimento della vita brutale di ogni giorno: ma la sua persona alta, esile, pieghevole, di una dolcezza tragica, di una tenerezza corazzata di energia e di coraggio, ricorda, non so, uno di quegli uccelli migratori che volano sopra i mari e le lande, e sfidano le tempeste e i pericoli, pur di [p. 262 modifica] trovare e ritrovare, ad ogni stagione, la terra adatta ai loro amori.

E il viso di Théros ha pur esso una bellezza strana, diversa da quella delle sue innumerevoli compagne, inconfondibile: in mezzo ai capelli, che sono di spiga e di crisantemo, il suo viso ricorda quello del Nazareno, per la bocca pura e amorosa, per la luce che ne estenua i lineamenti, a volte fino al chiarore del martirio: ma gli occhi sono solo quali una donna può averli; e c’è dentro tutta la giovinezza dell’umanità, col colore del cielo, del mare, del deserto, delle notti delle metropoli tempestose; occhi di ghiaccio e diamante, fissi a guardare un punto invisibile, che forse è la pupilla di un uomo in passione, forse di una madre che piange la morte del figlio; forse nulla. Nulla: l’infinito, il vuoto e terribile mistero dell’esistenza.

È questo mistero, d’un tratto riempito di ogni gioia e di ogni dolore umano, che attira verso la grande commediante l’attenzione dei suoi adoratori, e li affascinava nelle ore dei loro ozî estivi: mistero di vita, carnale e divino nello stesso tempo, eternamente cantato dai poeti estrosi. [p. 263 modifica]

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Ma adesso siamo di nuovo qui, nella capitale, ricacciati nel sacco della più grezza realtà. Brutte cose si sentono: donne tagliate a fette, non per passione, ma per turpe rapina; un delitto egualmente orrendo nel quartiere, cioè un mite socievole cagnolino accecato e avvelenato per odio contro il suo padrone; la sterlina gravemente malata di un misterioso morbo; nuvole vanno e vengono, dentro e fuori di casa, e se qualche giornata è serena, la brina la riveste di gelo; ma quando queste mattine ridono, coi loro denti cristallini, sbeffeggiando i vecchi reumatici e brontoloni, che sono di nuovo angariati dai fantasmi neri e pelosi, ancora puzzanti di naftalina, dei vestiti invernali, arrivi tu, Mirella, con le guancie che hanno la freschezza della brina e gli occhi scintillanti come il prato sotto il sole; tu, che, sì, sei rimasta fedele alla tua Rivista di Cinelandia, e la tieni sotto il braccio, unita alla racchetta adorata, scaldandola col fuoco del tuo sangue adolescente.

E sbuffi, e ti spogli del tuo soprabito sportivo, e butti via, con un moto della testa, il [p. 264 modifica] berrettino giallo che sembra uno spicchio di luna: e dici: — Oh, che caldo, che caldo, oggi! Si stava meglio in estate.

Per consolarti, allora, apri la tua Rivista: e, manco a dirlo, ecco campeggia subito, su uno sfondo verde e rosso come le angurie di Romagna, la figura di lei, Théros, coi capelli lunghi ondulati fino al collo d’ambra, intorno al dolce e tragico viso intento a una visione, per dirla con parole usate ai nostri antichi tempi, una visione arcana.

Ma per te non esistono arcani, Mirella; e Théros è quello che è: è quello che tu sei; è la gioia di vivere; è l’estate, che già per te è cominciata col solstizio d’inverno, cioè col crescere del giorno e col crescere della tua statura e della forza dei tuoi desiderî.