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trovare e ritrovare, ad ogni stagione, la terra adatta ai loro amori.

E il viso di Théros ha pur esso una bellezza strana, diversa da quella delle sue innumerevoli compagne, inconfondibile: in mezzo ai capelli, che sono di spiga e di crisantemo, il suo viso ricorda quello del Nazareno, per la bocca pura e amorosa, per la luce che ne estenua i lineamenti, a volte fino al chiarore del martirio: ma gli occhi sono solo quali una donna può averli; e c’è dentro tutta la giovinezza dell’umanità, col colore del cielo, del mare, del deserto, delle notti delle metropoli tempestose; occhi di ghiaccio e diamante, fissi a guardare un punto invisibile, che forse è la pupilla di un uomo in passione, forse di una madre che piange la morte del figlio; forse nulla. Nulla: l’infinito, il vuoto e terribile mistero dell’esistenza.

È questo mistero, d’un tratto riempito di ogni gioia e di ogni dolore umano, che attira verso la grande commediante l’attenzione dei suoi adoratori, e li affascinava nelle ore dei loro ozî estivi: mistero di vita, carnale e divino nello stesso tempo, eternamente cantato dai poeti estrosi.