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giore di egoismo, di gelosia. Le voci irate si alzarono.

— Anche stasera! — esclamò Riccardo indignato. — Taci, Angelica, basta. E tu pure, Eugenia, finiscila.

Eugenia si alzò senza rispondere, accese un lume e andò a chiudersi nella sua camera sbatacchiando l’uscio.

Angelica prese l’Erminia e, trascinandola per le braccia, andò a coricarla.

— Sempre così! — sospirò Riccardo volgendosi all’Antonietta. — Beata te che vivi in una casa tranquilla!

— Tranquilla fino ad un certo punto.

Maria e Riccardo si guardarono.

— Del resto, fosse pure tranquilla; cosa servirebbe se non son tranquilla io?

— Cos’hai tu, Antonietta? — domandò Riccardo pensoso.

— Cosa ho?... Sono una Valmeroni, ho il male di famiglia.

— Oh, capisco. Siamo tutta gente tormentata noi altri; ma il tormento cresce ad essere tanti insieme. Ora che quella santa ci ha lasciati, io non so come si vivrà in questa casa. Non dovrei parlare così, lo so, ma non posso a meno di sfogarmi.

Egli si alzò e, per precauzione, andò a chiuder l’uscio che metteva nel corridoio, poi, ritornando presso alle due fanciulle, riprese: