Signorine/L'attimo fiammeggiante
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L’ATTIMO FIAMMEGGIANTE
Il Cav. Bajs, uomo morigerato, quel giorno era eccitato. La colazione era stata succolenta ed i giovani pittori e giornalisti – alla solita tavola del ristorante – avevano tenuto ragionamenti di un futurismo rovente su Fifina e su Rosina, sì che egli aveva seriamente protestato, tanto in nome proprio, quanto in nome della morale, quanto e più specialmente in nome della misura, la quale costituisce il freno, non pure dell’arte, come dice Dante, ma della vita.
Ma i giovani avevano risposto: prima, che lui, Cav. Bajs, non si scandalizzava, ma si divertiva; secondo, che Dante, ai suoi tempi, non era in grado di capire il divino stato orgiastico, frigio, micenico, dionisiaco che si sprigionava da Fifina e Rosina, fanciulle dionisiache, article Paris. E avevano seguitato.
Allora il Cav. Bajs si mise a leggere il giornale ma esso conteneva un articolo eccitante, di una grande scrittrice intorno all’attimo fiammeggiante, in cui l’individuo si immilla nella perpetuità della specie.
Questa dichiarazione più l’altra che la donna è animale materialista e il suo paradiso è di questo mondo, e il fatto che queste dichiarazioni erano scritte da una donna bellissima, più i discorsi dei futuristi: tutte queste cose, messe insieme, fecero nascere nel Cav. Bajs il desiderio acuto dell’attimo fiammeggiante con una donna article Paris.
⁂
D’altronde in quel pomeriggio il Cav. Bajs era libero da cure di ufficio; era una giornata uggiosa e piovigginosa e, benchè freddissimo, egli, uscendo dal ristorante, trovò superflua la sua eccellente pelliccia di orsetto. A casa vi era la stufetta col suo calore artificiale, ma egli non era attratto verso casa. E d’altronde la scuola salernitana dice: semel in ebdomada, cioè «è lecito una volta alla settimana», e al santo re David fu consigliato il calore naturale di parecchie fanciulle invece del calore artificiale.
Senza il concorso di tutte queste circostanze, il Cav. Bajs, uomo morigerato, non avrebbe dato retta ad una lettera recapitata il dì precedente.
Andò dal barbitonsore e raccomandò la arricciatura dei baffi, si acconciò la cravattina di raso verde, andò al bar e fece mettere odor di cognac nel caffè.
Quando fu all’altezza di via Metastasio, infilò la porta, filò i 50 scalini viscidi e un uscio si aprì.
– Buon giorno, cara. È parecchio, eh, che non ci si vede! – dice il Cav. Bajs.
Dice lei:
– Se non vi si scrive, voi non vi fate vivo...
— A proposito, cara, non le affrancate voi le vostre lettere?
– Non era affrancata?
– No, cara, non era affrancata.
– Accomodatevi. Tutte le volte che venite, avete una fretta! Cosa avete? paura?
– Paura, no; ma, santi numi – esclamò il Cav. Bajs che aveva conosciuta quella buona donna in istato migliore, – ogni volta che vengo da voi vi trovo sempre in un appartamento meno confortabile...
– Non guardate la casa. Guardate lei... Vedrete, vedrete come è carina.
– Giovane?
– Zitto. Molto giovane.
– Molto grassa?
– No, magrolina.
– Elegante?
– Altrochè!
– Allora article Paris. Ma dove è?
– Eh, che furia! «Dove è? Dove è?» Accomodatevi.
– Mi pare però che avendo articoli così fini, potreste tenere un appartamento con più proprietà.
In quella stanza infatti, oltre al luridume, vi era un odore così antidionisiaco e antiafrodisiaco che fu avvertito anche dai sensi del Cav. Bajs.
– La disgrazia, – disse la donna.
– Capisco, capisco – disse il Cav. Bajs – che non era venuto per sentire parlare di disgrazie – ma è anche, benedetta da Dio, che non avete metodo: ogni sei mesi mutate casa e mestiere. Nella vita tutto dipende dal metodo.
– Muto anche adesso.
– Dove andate?
– Chi lo sa? Vedete questa mia faccia nera, scarna, questi occhi che fanno paura, questi capelli grigi?
E con la mano unta se li arruffò anche di più. Disse:
– Vado a fare la negromante.
– Anche quello è un mestiere, – disse il Cav. Bajs – ma anche lì ci vuol metodo. Le physique du rôle non basta.
D’un tratto il Cav. Bajs balzò su la sedia.
– Avete una paura tutte le volte che venite da me...
Si era aperta una porticina, ed era apparsa una latrina, lì nella stanza; e un individuo usciva dalla latrina: una vera latrina! L’individuo che apparve non era però tale da incutere paura.
Era un bimbo con un cappuccetto rosso e dietro gli pendeva – diremo – il frac bianco, cioè la camicia, che detto bimbo offerse in silenzio alla futura negromante affinchè gliela riponesse dentro i calzoncini.
La brava donna cercò di far capire al bimbo tutta la sconvenienza di uscire dal suo piccolo dominio in quello stato, ma il piccino disse supplichevolmente: – Come devo fare?
– Be’, vieni, vieni qua. Trottolino – disse la futura negromante.
Mentre Trottolino si appressava trascinando il frac, il Cav. Bajs potè sincerarsi che era veramente da quello stanzino che si diffondeva l’odore antidionisiaco.
– Avete sempre qualche bestiolo con voi. L’altra volta che son venuto, avevate un cane. Ma cosa ha fatto quel bambino? – domandò il Cav. Bajs.
Esso aveva tutte e due le braccia e le mani fasciate di garza e fuori appena la punte delle dita; e, poverino, era naturale se da sè solo non si poteva allacciare... il frac.
– Si è scottato cadendo su la pentola dell’acqua bollente, o la pentola cadendo su lui, perchè era solo in casa; e ieri soltanto sua madre si è decisa a condurlo alla Guardia Medica.
– Perchè ha una madre questo piccino?
– Quella che vi ho detto. Se l’aspettate un po’, la vedrete. È andata a portare un lavoro di ricamo e dovrebbe esser già qui.
Mentre la negromante tirava su il frac, il bambino posava i moncherini su la pelliccia del Cav. Bajs; e dal cappuccetto rosso, lo stupore delle pupille liquide si posava grande e dolce su detto Cav. Bajs. Egli, il bimbo, era appena uscito dal mondo crepuscolare e guardava così, dolcemente, le cose di questo mondo: la negromante, la stanza lurida, il Cav. Bajs.
Ma il Cav. Bajs non era venuto per fare il papà, e respinse i moncherini.
– Ma questo coso qui non se lo potrebbe tenere a casa?
– A casa di chi? – disse la negromante. – Li ho presi in casa tutt’e due, madre e figlio, perchè non hanno più casa. Il marito è scappato in America e i genitori di lei non la vogliono. «Hai voluto sposare quel barabba? – dicono. – Gòditi adesso anche il figlio». E lei si è rifugiata da me.
– Capisco, capisco – disse il Cav. Bajs.
– No, che non capite niente; se credete che io ci faccia un affare, vi sbagliate. Sapete che lei è da due settimane alloggiata in casa mia, e finora le spese le ho fatte io? Se un uomo la ferma per la strada, non ha coraggio! No, no, non è il tipo!
– E allora cosa fa?
– Un po’ la si dispera, un po’ ride, un po’ ricama, un po’ dice che vuole studiare da chanteuse; ma capirete che ci vuole dello spirito per fare la chanteuse.
– Ma è proprio carina?
– Ma sì! Non le si danno venti anni, pare una minorenne: ma ci vuol altro!
– Se ha buona volontà.... – disse il Cav. Bajs.
⁂
In quel punto un passo lieve si udì presso l’uscio.
– Dici davvero che il marito è in America? – domandò il Cav. Bajs.
– Come sei sempre stupido! – disse con un soffio di voce e due occhiacci la negromante al Cav. Bajs. – Vieni, vieni avanti, Catina, – disse poi forte – c’è un bel signore che ti aspetta.
L’uscio si spinse e una figurina entrò.
– Vedete, – disse al Cav. Bajs la negromante, – che avete fatto bene ad aspettare?
Era la piccola madre.
Infatti era carina. Ma un’abbozzatura di madre; una cosa diafana, patita, che teneva su l’ultima eleganza coi denti. Depose il cappellone, che grondava, dalle peonie vizze di stoffa, il nevischio della via.
Apparve una capellatura tutta frisée, profumata di neve e di muschio.
Quella macilenza, dall’aspetto molto acerbo, andava bene per il Cav. Bajs. Se ne congratulò con lei; e lei si mostrò molto gentile.
– Ma è proprio vostro figlio quello lì?
Ella assicurò di sì.
– Oh, ma io ci credo se voi lo dite, soltanto è curioso come questo vostro bambino si sia attaccato a me.
— Ma no a voi — disse lei ridendo e rabbrividendo: — alla vostra pelliccia. Qui si gela. Deve essere deliziosa la vostra pelliccia...
— Se vi puo’ servire...
— Infatti... (E il Cav. Bajs se la prese dentro, nella pelliccia).
– Come hai fatto a tardare tanto? – domandò la negromante.
– Son dovuta tornare a piedi. Speravo di prendere dieci lire, i soldi del mio lavoro. Ma la signora era fuori: ho aspettato un pezzo. Allora ho lasciato il lavoro e son venuta a piedi.
– Ma il tram? – domandò il Cav. Bajs.
– Non avevo da prendere il tram. Non ci credete? Ah, ah, ah!
Rideva stoltamente come una chanteuse, e mostrava il borsellino vuoto.
Si poteva parlare del borsellino: ma il Cav. Bajs preferì parlare delle mani che tenevano il borsellino.
– La vostra mano è assai graziosa.
– Vi pare?
– Veramente.
– Vi fa piacere che la mia mano sia graziosa? – disse con voce indifferente.
Il Cav. Bajs cominciò a solfeggiare su la spalla, su la nuca; poi volle sincerarsi sino a qual punto le gambette erano bagnate.
– Voi siete molto bagnata!
Ella mostrò che era molto bagnata.
Si poteva parlare delle scarpine grondanti, ma l’argomento poteva cadere nel prosaico argomento di un paio di scarpe nuove, e il Cav. Bajs preferì risalire alla lirica.
– Bocca di gelsomino – esclamò lui pateticamente.
Era una stupida boccuccia, quella della piccola madre, che il Cav. Bajs appressò ai suoi baffi di recente arricciati; ma era pur sempre la giovinezza! Ella si lasciò accostare.
Ma quel piccolo – come chiamarlo? — quell’intruso, non volle che si toccasse eccessivamente la mano e le altre cose di sua madre, come fossero state sue proprietà, e non del Cav. Bajs, almeno provvisoriamente.
– Vieni, Trottolino, di là nel tuo lettuccio che hai sonno, vieni con me, – diceva la negromante – chè mammina ha da fare. Andiamo a vedere il Bambin Gesù.
Ma egli, così docile, pure rifiutò.
La madre lo pregò anche lei di andare dal Bambin Gesù, ma egli rifiutò ancora.
Fa la nanna bel bambin
Fa la nanna bel cocchin.
– Via, che hai sonno. – Lo minacciò. Il bambino pianse.
– Dio, che seccapiedi – sospirò avvilita.
Il pianto del bimbo risonava miseramente nella stanza.
– È geloso – disse la negromante. – Bada, Trottolino, che il Signore ti fa totò.
Trottolino piangeva cheto a rari singulti, e faceva le labbra dolorose. La madre attese che il pianto cessasse, e poi offerse ancora qualcosa da ammirare al signor Cav. Bajs: ma il piccino levò i suoi moncherini per impedirlo.
Senonchè l’atto violento che fece, gli provocò dolore nelle braccia piagate. Scoppiò in un pianto nuovo e disperato.
– Uff! Questo bambino è la mia condanna, – disse lei tristemente, abbassando la stupida testolina frisée e profumata di muschio.
— È una specie di guardia di pubblica sicurezza messa al nostro servizio!
— Ah, prego! anche troppo!
⁂
Il Cav. Bajs era ormai venuto nella persuasione che quel marmocchio gli vietava l’attimo fiammeggiante. Era anche confortevole al suo amor proprio riversare tutta la colpa di questa deficienza su quell’infelice.
– Gli piacciono i dolci al vostro piccino? – domandò allora levandosi in piedi e togliendosi quella femminetta dalla pelliccia.
– Credo di sì, – disse, – ma chi glieli può comprare?
– Allora, piglia, caro piccino.
– Ve ne andate? – domandò indifferentemente la piccola madre.
– Verrò un altro giorno.
– Sì, vieni la sera, – disse lei – quando questo seccapiedi dorme.
Ma già al suo levarsi, il pianto del bimbo era cessato, gli occhi brillavano di gioia; porse un moncherino e con le dita prese, come potè, la moneta d’argento di cinque lire che il Cav. Bajs gli diede. Poi alzò l’altro moncherino, e il Cav. Bajs dovette mettere nell’altra mano un’altra moneta.
– Grazie tante, signole! Grazie, – disse tutto felice, facendo un inchino col berrettino rosso.
⁂
E fu così che il Cav. Bajs non potè godere la gioia dell’attimo fiammeggiante.