Sessanta novelle popolari montalesi/LIX
Questo testo è incompleto. |
◄ | LVIII | LX | ► |
NOVELLA LIX
Fiordinando (Raccontata da Giovanni Becheroni contadino)
Un Re ne' tempi passi aveva un figliolo chiamato Fiordinando, che nun sortiva quasi mai di cambera, ma steva ugni sempre a leggere e studiare; andeva a culizione, al pranzo, per un po' in nel giardino, e doppo si riserrava in cambera co' su' libri. Questo Re tieneva un giovanotto svelto al su' servizio come cacciatore, e tutt'i giorni lui portava al palazzo di gran salvaggina bona. E' successe che una volta disse al Re: - Si contenta, Maestà, i' andere' a far visita al signor Fiordinando? 'Gli è tanti ma' mesi ch'i' nun l'ho visto! Dice 'l Re: - Va', va' pure. Si svagherà un po' dallo studio il mi' bon figliolo. Il cacciatore andiede dunque 'n cambera da Fiordinando, che quando lo vedde subbito gli addomandò: - Che mestieri fa' te a Corte con codesti scarponi? Arrispose il giovanotto: - Sono 'l cacciatore del Re, quello che fornisce la tavola reale d'uccellame, liepri e animali somiglianti ammazzati in ne' boschi. - Ma che è un bello spasso la caccia? - addomandò Fiordinando. E il giovanotto: - Dicerto, specie quand'uno ci ha passione. - Allora, - disse Fiordinando, - i' vo' provare anch'io. Sta' zitto, che nun paia che te m'ha messo su', e i' sentirò 'l babbo se mi lassa vienire una mattina con teco. Dice il giovanotto: - Che! nun si dubiti, ch'i' nun parlo. Quando poi lei è pronto, i' son sempre al su' comando. Il giorno doppo a culizione Fiordinando disse al Re: - Sa, babbo? I' ho letto un libbro che parla di caccia, e m'è garbato tanto, ch'i' mi sono 'nvaghito di farne la prova di questo sp asso. Che [491] me lo permette? - Fa' pure il piacere tuo, - arrispose 'l Re, - ma con giudizio, perché la caccia pol esser anco pericolosa. Ti darò per compagno il mi' cacciatore, che lui è bravo e cognosce il mestieri a perfezione. Difatto una bella mattina a levata di sole Fiordinando e 'l cacciatore montano a cavallo armati di tutto punto e sortono dalla città per vienire a una macchia folta lontana dall'abitato, e si messano 'nsenz'indugio a opra, sicché a mezzogiorno gli avean disteso per le terre tanti animali, da nun potere nemmanco più reggergli addosso. Chiaman dunque un taglialegna di que' loghi, gli diedano il carico, co' ordine espresso di portarlo al palazzo e con l'imbasciata, che loro forse nun tornavano, perché volevano seguitare 'l divertimento. Poi rifocillati alla lesta, Fiordinando e il cacciatore batterno daccapo 'l bosco per in tutti e' versi, e tanto gli erano accaniti a correr rieto alla salvaggina, che a buio si sperderno per l'affatto, uno di qua e uno di là, e abbeneché si cercassen e gli urlassano per chiamarsi, fu propio inutile e nun gli rinuscì arritrovarsi. A notte scura, Fiordinando stracco e rifinito lui e 'l cavallo, scendette giù di sella per riposarsi e s'addoppò sieduto a piè d'un albero soprappensieri per la pena di quello smarrimento, quando a un mezzo miglio lontano gli parse di vedere tra le piante il luccichìo d'un lume; sicché preso 'l cavallo per la briglia s'avviò rincontro allo splendore, e arrivo a un piazzale, gli s'affaccia davanti un bel palazzo signorile, addove in sul portone spalancato ci steva un brutto mostro orrendo co' una torcia accesa 'n mano. Fra la sorpresa e 'l sospetto viense Fiordinando lemme lemme a petto al mostro e gli addomandò se ci fusse modo di essere albergato lì; ma 'l mostro nun oprì la su' bocca, bensì co' un accenno disse a Fiordinando d'andargli rieto, e dapprima lo menò nella stalla per accomidarvi la bestia, poi lo fece salire in un salotto col su' camminetto acceso, de' rinfreschi e un mazzo di sigari, e insenza profferire una parola ce lo lassò con tutta libertà. Passa che fu un'oretta bona, che già Fiordinando aveva bevuto un po' di vino e fummato un par di sigari, rideccoti 'l mostro, che gli ammicca con la mana d'arrizzarsi, e Fiordinando va franco in su su' passi per insino a un salone, che propio pareva un incanto. Dal palco penzolavano in sulla mensa [492] apparecchiata de' lampanari d'oro massiccio grandi come de' corbelli; le posate, i piatti e i bicchieri erano d'oro e d'argento; le tende, la tovaglia e i tovaglioli tutta seta intrapuntita di perle e diamanti; insomma, ugni cosa una meraviglia da cavar gli occhi a guardarla fissa. Ma siccome Fiordinando 'gli aveva dimolto appetito, non stiede a cancugnarla e s'acculò dientro una poltrona comida per mangiare, quando sentette di repente uno scartoccìo di vestiti giù per una scala, e rivolta la faccia, vedde nentrare una Regina co' un séguito di dodici damigelle. Questa Regina era giovine e bellissima da nun si dire, e portava 'n capo un velo che gli niscondeva mezzo 'l viso, e nun parlò; e anco le damigelle restorno mutole; bensì presano la padrona di peso e la messano in una poltrona accanto a Fiordinando, e poi tanto lui che la Regina principiorno il desinare: ma sempre zitti, nun oprì nimo la bocca 'n tutto il tempo del pasto, e finito che ebbano, le damigelle riaccompagnorno la Regina alle su' stanze. Fiordinando non sapeva propio quel che si pensare d'un simile miracolo, e abbeneché fusse curioso di cognoscere il misterio di quel palazzo, gli fu 'impossibile cavarci un numero per via del silenzio che regnava là dientro; e essendo riapparso 'l mostro con du' torce accese e che gli ammiccò di seguitarlo, Fiordinando andiede con seco in una cambera principesca destinata per il su' riposo. Il mostro conficcò una delle torce su un candelabro e poi lassò Fiordinando che facess'il piacer suo. Fiordinando dunque si cavò e' panni d'addosso e salse a letto; ma a male brighe tra le lenzola, deccoti si spalanca una porticina segreta e nentra la Regina con le su' dodici damigelle. Fiordinando a una simile apparita, co' un gombito puntato al capezzale, steva a vedere quel che aveva a succedere, e le damigelle in quel mentre spogliorno 'gnuda la Regina, salvo 'l velo del capo, la posano a diacere assieme a Ferdinando e se ne vanno diviato. La Regina però nun disse nolla e subbito si addormì com'un chioppo, sicché Fiordinando doppo averla guardata e tastata pian piano, anco lui rimanette mutolo e buttatosi giù 'gli stiacciò un bel sonno, che nemmanco le cannonate l'arebban possuto svegliare. A bruzzolo viensano le damigelle a rivestire la Regina e menarla con seco, e di lì a un mumento, che Fiordinando s'era di già levo, comparse 'l mostro a pigliarlo, [ 493] gli diede una bona culizione, sigari a volontà, poi lo fece scendere nella stalla e montare sul su' cavallo, e da ultimo gli accennò che era libbero d'andarsene. Fiordinando, 'nsenza indugio s'accanì dappertutto per iscoprire la strada di casa sua e se trovava il su' compagno sperso nel bosco 'l giorno innanzi; ma nun gli rinuscì, sicché a buio pensò più meglio arritornarsene al palazzo di quella Regina, addove, per farla corta, gli successan per l'apppunto le stesse cose della prima volta; bensì, la terza mattina sortito fora, in mezzo alla macchia s'imbatté nel cacciatore e assieme galopporno alla città. Però Fiordinando nun gli disse nulla delle su' fortune, ma scavizzolò de' racconti finti per ispiegare come nun s'eran possuti riscontrarsi in tutto quel tempo. Rimesso che fu 'n casa sua Fiordinando nun s'addimostrava più quel di prima; i libri gli devan quasimente noia e steva ugni sempre imbroncito, uggioso e appassionato. Su' madre se n'addiede subbito, e badava a tirargli su' le calze per cognoscere la ragione d'un simile mutamento: di' oggi, prega domani, finalmente Fiordinando gli appalesò le su' avventure nel bosco, e gli disse pane pane che s'era 'nnamorato cotto di quella bella Regina, ma che nun sapeva come fare per averla nel su' possesso, massime che nun potette mai in du' notti cavargli una parola di bocca e che tutti parevano mutoli nel palazzo. Dice la madre: - Tornaci a cena, e quando la Regina ti siede accanto, te fa' modo di buttargli la posata 'n sul solaio, e appena lei s'acchina per raccattarla e te levagli 'l velo di capo. Vederai che qualcosa lei lo dirà. Fiordinando nun intese a sordo, e sellato il cavallo corse a gran carriera al palazzo del bosco, addove fo ricevuto come al solito. A cena lui si diportò secondo 'l consiglio della su' mamma, e con un gombito fece ruzzolare per le terre la posata della Regina, che s'acchinò giù per ricorla, e in quel mentre Fiordinando gli prendette 'l velo d'in su la testa. A quell'atto la Regina s'alza tutta 'nfiammita e scrama: - Oh! malaccorto, te m'ha' tradito! S'i' potevo dormire un'altra notte con teco 'nsenza parlare e 'nsenza scoprirmi, il mi' destino era che te fussi 'l mi' sposo. Ma ora 'gli è guasto l'incanto. Ora dovrò andarmene a Parigi per otto giorni e di lì a Pietroburgo per esser giocata alla giostra, e chi sa mai a chi tocco. Addio! E [494] sappi ch'i' sono la Regina del Portogallo. E in un tratto disparì lei e il palazzo, e Fiordinando s'arritrovò solo dibandonato dientro al folto della macchia e gli ci volse del bello per iscoprir la strada per ritornarsene a casa sua. Bensì nun istiede a perder del tempo. Invogliato com'era di ricercare la bella Regina, ammannì una valigia, s'empiette la borsa di quattrini e trascelto un ministro fidato per su' compagno, con le poste fece partenza in verso Parigi, e 'nsenza fermarsi, mezzo morto per lo strapazzo, nun ismontò che a un albergo di quella città famosa. Quando Fiordinando si fu un po' riposato dal viaggio, con gran premuria si diede a rinfrustare se la Regina del Portogallo fusse davvero arriva pure lei a Parigi, e prima di tutto volse sentire se l'oste sapeva nulla. Dice: - Nun c'è egli punte novità in queste parti? Arrisponde l'oste: - Novità nun ce n'è. Che novità ci hanno da essere? Dice Fiordinando: - Le novità son di tante sorta. Guerre, feste, personaggi di nome che passano. - Ah! - scrama l'oste: - allora una novità c'è. La Regina di Portogallo è vienuta a Parigi da cinque giorni e fra tre riparte per Pietroburgo. 'Gli è una bella signora dimolto 'struita; e si diverte a visitare le cose rare, e ugni doppo pranzo passeggia con dodici damigelle fora della porta qui vicina. Domanda Fiordinando: - Che si pole vedere? Fa l'oste: - Ahó! Una volta che lei passeggia 'n pubblico, 'gli è ognuno padrone di vederla. - Bene, bene, - disse Fiordinando. - Infrattanto ammanniteci da desinare perché s'ha fame. Domanda l'oste: - E il vino come lo bramano, bianco o nero? Dice Fiordinando: - Dateci del meglio. Si piglierà nero; 'gli è più gagliardo. Dunque l'oste apparecchiò la tavola, ma nel vino nero ci mettiede una bona manciata d'oppio, sicché quando Fiordinando e il su' ministro andarno for di porta a aspettare 'l passo della Regina del Portogallo, gli viense a tutt'addua un sonno tanto forte, che s'addormirno in sull'erba propio come sassi. Di lì a un po' deccoti la Regina, e vede Fiordinando e lo ricognosce; ma nun gli rinuscì scionnarlo, abbeneché lo chiamassi per il su' nome e lo scotessi per in tutti lati: finalmente stracca, si sfilziò dal dito un diamante, glielo posò 'n sulla faccia e se n'andette. Ora bisogna [ 495] sapere che a qualche passo distante tra gli alberi in quel logo ci abitava un Romito dientro una grotta, che a male brighe sparita la Regina sortì pian piano, e preso l'anello dalla faccia di Fiordinando arritornò alla cheta nel su' nascondiglio. Doppo un bel pezzo Fiordinando si risveglia per il primo, e a sono di tentennoni fece aprire gli occhi anco al su' ministro; e già era buio. Loro diedano la colpa di quel sonno al vino nero troppo gagliardo, e siccome nun s'erano accorti di quel che successe in nel mentre che dormivano, gli rincresceva d'aver perso il su' tempo 'nsenza essersi abbattuti nella Regina. Il secondo giorno dice l'oste: - Oggi come lo gradiscono il vino, nero o bianco. - No, no, - scranna Fiordinando, - daccelo bianco, che nun sarà tanto forte. Ma l'oste, birbone, gli alloppiò anco il vino bianco, sicché al solito que' dua s'appiopporno in sul prato, e alla Regina del Portogallo nun gli rinuscì destare Fiordinando in nissun modo; e allora mezzo disperata, gli mettiede in sulla faccia una ciocca de' su' capelli e foggì via. Il Romito che steva a vedere dalla grotta pigliò anco i capelli, e Fiordinando e il ministro svegliati a notte scura nun s'erano accorti di nulla. Fiordinando nun capiva come mai gli succedeva sempre questa disgrazia d'addormirsi, e quasimente si sarebbe rifatto con il su' ministro; gli deva noia il pensare che già aveva perso du' giorni inutili, e che quello doppo la Regina del Portogallo partiva per Pietroburgo 'nsenza che lui ci potessi discorrire. Fece giuro di nun bevere più vino; ma l'oste gli alloppiò 'n scambio 'l brodo della minestra. In ugni mo', arrivi al prato for di porta l'ultimo giorno, Fiordinando, che già si sentiva la testa pesa, tira di tasca du' terzette e le mostra al su' ministro: - Se te nun sta' sveglio a badarmi, queste sono per te. I' te le scarico nel cervello, va' franco. Doppo, che nun s'arreggeva più, si sdraiò lungo disteso morto di sonno. Il ministro, tra per la brama di servire 'l padrone, tra per la paura delle terzette, si sforzò a tutto potere di tienersi scionno; ma fu inutile, che alla fine gli si serrorno gli occhi e diacé accanto di Fiordinando appioppo propio per bene. Di lì a un po' deccoti la Regina: lei s'accosta e s'arrabinava a risedere Fiordinando ora con gli urli risvoltolandolo in sull'erba, e visto che nun gli [496] rinusciva, principiò a piagnere tanto forte, che 'n scambio di lagrime gli cascavan giù per le gote delle gocciole di sangue; sicché presa la su' pezzola si rasciuttò il molle delle gote e poi mettiede la pezzola sanguinosa in sul viso di Fiordinando, e arritorna all'albergo montò 'a carrozza e se n'andette addirittura a Pietroburgo. Infrattanto il Romito sortito dalla grotta 'gli aveva preso anco la pezzola e steva a guardare attento quel che sarebbe successo. A notte fitta Fiordinando si risveglia per il primo, e 'ncattivito per la su' mala ventura e per la disubbidienza del ministro, di repente tira fora le terzette e va per iscaricarle dientro al cervello di quel disgraziato, che sempre dormiva; ma fu per sorte a tempo a fermargli le mane il Romito che gli disse: - Nun ci ha colpa lui di questi fatti; la colpa 'gli è dell'oste, che gli alloppiò il vin nero, il vin bianco e il brodo della minestra. - Oh! 'n che maniera? E voi come lo sapete? - scrama Fiordinando. Dice il Romito: - I' lo so, perché ci sono de' su' nemichi e i' gli cognosco. Ma 'nfrattanto lei nun sa, che la Regina del Portogallo è vienuta tutt'a tre i giorni a scionnarlo dal sonno e che nun gli rinuscì; e che lei gli posò 'n sulla faccia un diamante, una ciocca di capelli e una pezzola macchiata dalle su' lagrime di sangue. Domanda Fiordinando tutto sorpreso e addolorato: - Addov'è questa robba? Dice 'l Romito: - La robba i' l'ho io per custodirla, insennonò qualche ladro e' l'arebbe rubbata 'nsenza che lei se n'avvedessi. Deccola qui; la pigli e ne tienga di conto, perché se lei ha giudizio ci pol essere la su' fortuna. - Come? - domandò Fiordinando. Dice il Romito: - La Regina del Portogallo è già ita via a Pietroburgo per farsi giocare alla giostra a chi deve sposarla. Ora, con questi regali di lei messi 'n vetta alla lancia, il cavaglieri che gli ha 'n possesso vince ognuno di sicuro. Dunque, se gli preme, nun trandugi e badi d'essere a tempo alla giostra. E' si dura fatica a ficurarselo in che modo Fiordinando corse da Parigi a Pietroburgo per le poste! Insomma gli rinuscì d'arrivare 'n tempo per mettersi 'n nota tra' giostratori, ma no sotto il su' propio nome. E 'n quella città avevano ammannito un recintio co' palchi indove combattere a cavallo per guadagnarsi la bella Regina del Portogallo; e de' guerrieri famosi n'erano [ 497] arrivi da ugni parte del mondo, con gran traini e servitori, e con armi luccichenti quanto la spera del sole. Ma ne' tre giorni della festa, Fiordinando a visiera serrata e con in vetta alla lancia ora il diamante, ora i capelli e ora la pezzola della Regina buttò per le terre cavalli e cavaglieri, che parevan pipistrelli in nel cascare, e nun ne rimase uno ritto, sicché viense gridato vittorioso e sposo della Regina, che quando gli vedde aprire l'elmo e lo ricognobbe, s'arrovesciò tramortita dal gran contento sulla poltrona. E accosì fatto lo sposalizio, la Regina e Fiordinando ritornorno a casa e furno ricevuti con festa e allegria dalla Corte e dal popolo.