Sessanta novelle popolari montalesi/LVIII

LVIII. Il Figliolo dell’Imperatore di Roma

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LVIII. Il Figliolo dell’Imperatore di Roma
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NOVELLA LVIII


Il Figliolo dell'Imperatore di Roma (Raccontata da Giovanni Becheroni contadino)


L'Imperatore de' Romani aveva un figliolo soltanto addomandato Adelasio e su di lui riposava ugni su' speranza, sicché quando 'l ragazzo fu in nell'età di quattordici a quindici anni, il padre lo chiamò 'n disparte e gli disse: - Nun fare com'i' ho fatto, che prendetti moglie da vecchio. Sarà bene in scambio che te t'accasi per tempo, e accosì li toccherà la sorte di una bella corona di figlioli, e nun starai 'n pensieri per l'eredità del trono. Dammi retta! Principesse di tu' pari nun ce n'è carizia nell'Imperio. Adelasio volse accontentarlo il su' babbo e prima che lui morissi trovò una sposa di su' piacimento, e nun è a dire che feste e allegrie accompagnorno la cirimonia delle nozze; ma parse che un destino contrario attraversassi le brame del vecchio e del giovane, perché dal matrimonio non venivano punti bambini. Insomma l'Imperatore se n'accorò tanto di una simile disgrazia, che un giorno si mettiede a letto malato e di lì a poco se n'andé al Creatore. Adelasio rimase padrone spotico dell'Imperio, abbeneché fusse 'l signore più possente del mondo, in ugni mo' se ne steva sempre afflitto e pensieroso, nun sapendo chi gli sarebbe successo doppo di lui, e arrivò per insino all'età di cento anni sonati e con la moglie vecchia decrepita lei pure, insenza che mai avessano auto nemmanco un accenno di figlioli: oramai loro avevano perse tutte le speranze. Accadette che una mattina Adelasio per prendere un po' di fresco e svagarsi scese giù nel giardino con il su' sigaro 'n bocca a passeggiare; la passione però che lui sentiva dientro [482] [p. 482 modifica]di sé 'gli era tanto forte, che quasimente nun ci vedeva. Lui camminava distratto alla sbadata insenza sapere via via in che logo si trovava, quando a un tratto una voce lo riscosse, e alzati gli occhi si vedde davanti un bel giovanotto vestito da gran signore che gli disse: - Bon giorno, Sire! Che forse nun sta bene? Arrisponde l'Imperatore: - Nun ho male, e nun posso tavìa dire che sto bene. - Eh! - dice il giovanotto: - La cognosco a perfezione la su' malattia. Lei è afflitto, perché nun ha figlioli. Scrama l'Imperatore: - Chi siete voi, che siete capace di sapere per insino i segreti mia? Che volete in queste parti? - Sire! - arrispose il giovanotto: - I' son uno che pole insegnargli 'l modo d'avere un figliolo mastio, che faccia la su' contentezza. - Come, come? - addimandò tutto premurioso Adelasio: - Parlate pure alla libbera. Dice il giovanotto e in quel mentre si frucava per le tasche: - Decco qui, i' gli do queste tre mela. Lei vadia 'n cambera e dua le porga a mangiare all'Imperatrice; quell'altra la mangi lei, e vederà che tra nove mesi gli nasce un bel bambino. L'Imperatore prendette le tre mela con un po' di sospetto e le guardò, ma quando volse dell'altre spiegazioni, fu tutto inutile, perché il giovanotto 'gli era disparso diviato, e non gli rinuscì a Adelasio scoprire per indove fuss'ito; sicché soprappensieri riviense 'n casa e se n'andiede dalla moglie a raccontargli quel che gli era successo. Dice l'Imperatrice: - Sarà 'n fondo mal di poco, se mangiate le mela, poi nun è vero nulla la 'mprumessa del giovanotto. 'Gnamo, date qua, che senta come son bone. E pigliate le du' mela le mangiò con gran gusto, e il simile fece l'Imperatore per quella a lui destinata. Doppo passato diverso tempo l'Imperatrice una mattina nel levarsi s'accorgette d'essere 'ngrossata. Scrama: - Eppure i' son gravida! A male brighe che fu cognosciuta la verità della gravidanza per tutta Roma si feciano di grandi feste e ognuno steva in sull'attenzione del parto, e finalmente a' nove mesi l'Imperatrice partorì un mastio, che nun si pole nemmanco raccontare che baldorie e allegrezze successano nell'Imperio quando se n'ebbe la nova: l'Imperatore poi era divento mezzo matto, e diede ordine che fussano libberati i carcerat [p. 483 modifica]i per [483] qualunque delitto e renduti a' poveri i pegni del Monte a su' spesa, e per le chiese sonassen le campane a distesa in quel mentre che i preti cantavano il ringraziamento al nostro Signore Iddio. Ma nun si sa come, con tanto fracasso, Adelasio e l'Imperatrice si smenticorno di portare 'l figliolo al battesimo, sicché lui crescette vispolo e virtudioso 'nsino all'età di tredici anni 'nsenza essere stato battezzato. Quando 'l giovanotto finì i su' tredici anni, un giorno scrama a un tratto la su' mamma: - Eppure questo nostro figliolo nun ha per anco avuto 'l battesimo! Nun si trandugi di più, Adelasio, che ce ne poterebbe vienire del male. L'Imperatore mandò diviato al Papa che subbito saliss'al palazzo, perché lui voleva che gli battezzasi il figliolo e erede dell'Imperio con le su' propie mane, e il Papa ubbidiente al comando del su' soprano in un mumento fu alla su' presenzia per la cirimonia, e nentrato 'n cambera si mettiede a disaminare il giovanotto con grande attenzione. Dice doppo un po': - Come 'gli è che a lei tanto vecchio gli nascette un figliolo? Pare quasimente 'mpossibile. Arrispose Adelasio: - 'Gli è stato l'effetto d'un miracolo. I' ero nel mi' giardino nove mesi fa, e m'apparse un bel giovane che mi diede tre mela da mangiare, dua per la moglie e una per me, e accosì per la virtù di queste mela i' ho uto il figliolo. Il Papa a un simile racconto metté la mana sur una spalla del ragazzo e scramò: - Te sie' opera del diavolo; e quando averai diciott'anni, il diavolo vierrà a portarti via. Me ne rincresce, ma io nun ti posso battezzare. Figuratevi a queste parole la disperazione de' genitori! Ma il Papa nun si scommosse e se n'andiede pe' fatti sua. Di lì a qualche giorno al figliolo dell'Imperatore gli prese una gran smania di dibandonare Roma e di vedere 'l mondo, sicché per dargli questo contento e svagarlo dalla su' passione doppo la sentenzia del Papa, Adelasio lo lassò fare a su' mo', e apertogli 'l tesoro gli disse che pigliassi pure quattrini per mantienersi da par suo e girassi ne' paesi che lui voleva. Il giovanotto dunque si fece una bella provvista di munete e di fogli di banca, e poi monto a cavallo, insenza punta compagnia, partì da Roma e si rivolse in verso il Napoletano; ma passo a male brighe il confino, deccoti gli salta davanti Setone, capo assassino, assieme co' su' compagni, e 'mbracciato lo stioppo, gli [484] urlò: [p. 484 modifica]Ferma! O i quattrini, o la vita. Dice 'l giovanotto: - Piglia i quattrini. To'. - Che nun ha' altro? - domanda Setone. Dice il giovanotto: - Ho questi fogli di banca. E Setone: - Dammi anco quelli. E ora te vattene pure alla libbera. Dice il giovanotto: - Addove, insenza quattrini? Nun me ne resta nemmanco l'ombra. Piuttosto chienetemi con voi, tanto son un'anima disperata. Fa Setone: - Sì, mi garbi. Resta pure, che noi si mena vita dimolto allegra e nun si manca ma' di nulla. Vieni alla mi' grotta e si discorrirà un po' assieme. Vanno dunque alla grotta del capo assassino, e sieduti tutti a mensa cominciorno a chiacchierare, e il giovanotto disse, che lui era figliolo dell'Imperatore di Roma. Scrama Setone: - Ché, nun pol essere! Se te fussi figliolo dell'Imperatore di Roma, nun anderessi accosì solo per il mondo. - Eppure, - arrispose il giovanotto, - questa è la verità. 'Gli è di mi' capriccio che giro solo per isvagarmi nel mi' destino, perché non ho trovo chi mi battezzi. Dice Setone: - Eh! i' ho qui con meco un fratello prete spretato, e vederai che lui sarà bono a battezzarti, nun aver sospetto. Sie' te contento? Scrama il giovanotto: - Succedessi che gli rinuscissi! Ma chi lo sa? Subbito dà ordine Setone che venga 'l prete spretato e che si prepari alla cirimonia; ma nun aveva finito di mettersi 'n fazione, che al prete gli apparse davanti gli occhi un brutto mostro, che gli s'avventò come per portarlo via, sicché 'l prete tolto 'mpaurito rimanette a mezzo e disse al giovanotto: - Parla chiaro, che sorta d'omo sie' te? 'Gli accade de' miracoli, che nun n'ho ma' visti! Che sie' te maladetto? Allora il giovanotto arraccontò tutta la su' storia piagnendo a calde lagrime, e che neppure 'l Papa aveva possuto battezzarlo. Scrama 'l prete: - Ficurati! Se nun è rinuscito al Papa, come poi egli rinuscire a me? Il giovanotto 'gli era proprio disperato e fece ascherezza per insino a Setone, che gli disse: - Ti rendo tutti e' tu' quattrini e i fogli di banca, e vattene addove ti garba. Forse te lo troverai chi ti battezza e ti riscatta l'anima dallo 'nferno. Il figliolo dell'Imperatore riprincipiò dunque il su' viaggio, sempre solo, e, cammina cammina, viense alla spiaggia [ [p. 485 modifica]485] del mare, e trovata una nave che partiva per la Grecia, ci montò su e doppo pochi giorni se n'andava a gironi per il deserto della Grecia insenza scontrarsi mai né con bestie, né con cristiani. Alla fine capitò a una grotta dientro uno sprofondo, e ci abitava un romito, che da 12 anni nun aveva più visto anima viva, occupato in preghiere, digiuni e penitenzie, concredendo a quel mo' di guadagnarsi facile il paradiso. Dice il romito a male brighe vedde il giovanotto: - Che cerchi 'n queste parti 'gnote? Arrispose il giovanotto: - Cerco un po' di riposo e qualcosa da mangiare, e bramo trovare uno che mi battezzi. - Come! - scramò il romito: - Accosì grande e nun sie' anco battezzato? A farla corta, il figliolo dell'Imperatore arraccontò tutta la su' vita al romito, che lo stiede a sentire con gran premuria; ma da ultimo gli disse: - Caro mio, se nun è stato capace 'l Papa a battezzarti, 'gli è impossibile che ti battezzi io. Ma fa' a mi' modo. Per istasera rimani qui, e domani co' una mi' lettera ti mando 'n vetta a un monte lontano, addove da 42 anni ci abita un altro romito di me più sapiente. È mi' fratello maggiore: lui, forse, t'insegnerà meglio di me quel che ti convienga di fare per la salute della tu' anima. Dunque la mattina doppo il figliolo dell'Imperatore si rimettiede 'n viaggio, e nun fo insenza dimolto ammattimento e dimolta fatica, che gli rinuscì ripire per la costa d'un monte pieno di macigni e di pruni, che nemmanco le capre ci si sarebbano abbriccate con le su' quattro zampe, e lassù in una capannuccia di fogliame lui ci trovò un romito vecchio co' una barba bianca come la nieve e lunga quasimente da toccargli le ginocchia. Il romito, quando apparse 'l figliolo dell'Imperatore, si riscotette tra la temenza e la maraviglia, e scramò: - Chi sie' te, e che ci vieni a fare su per questa vetta? Son 42 anni che ci sto io, e nun è ma' successo che ci vedessi arrivare qualche cristiano. Che vo' tu? Dice il giovanotto: - I' viengo da parte del vostro fratello con questa lettera che qui, e quando vo' l'arete passata, i' nun ho più bisogno di farvi delle spiegazioni. Il romito pigliò la lettera, ma finito che lui ebbe di leggerla s'arrivolse al figliolo dell'Imperatore e gli disse: - Me ne sa male delle tu' disgrazie! I' nun son però capace di [486] rimediarle. [p. 486 modifica]Se 'l Papa non fa bono a battezzarti, 'gli è per l'affatto 'mpossibile a me, che a petto del Papa nun conto nulla 'n questo mondo. - Ma dunque, - scrama piagnendo il figliolo dell'Imperatore, - per me nun c'è scampo? Dice 'l romito: - Bada! i' ho un fratello che abita su negli Appennini e lo chiamano Padre Cesere, perché lui è stato frate; ma lui ora fa l'assassino per que' monti. Siccome lui con quel su' mestieraccio 'gli ha dicerto venduta l'anima al diavolo, pol anco essere che gli rinusca d'accomidarti meglio di me. Te sta' qui stanotte e domani a bruzzolo anderai a cercarlo il Padre Cesere con una mi' lettera di raccomandazione. La mattina doppo a levata di sole il figliolo dell'Imperatore prendette la lettera scritta dal romito e si mettiede 'n viaggio, e quand'ebbe camminato cinque o se' miglia, che già principiava a salire gli Appennini, a una voltata di strada sbucorno fora di rieto a un masso diverse brutte facce, e 'mpostati gli stioppi, urlorno al giovanotto: - Ferma! Si vole i quattrini. Arrisponde lui 'nsenza riscotersi: - Adagio! Se vo' siete del branco del Padre Cesere, sappiate ch'i' viengo a trovarlo per parte del su' fratello romito e i' ho una lettera da consegnargli nelle su' propie mane. - Oh! - dissan quegli: - Allora 'gli è un altro par di maniche. Nun aver sospetto e ti si menerà diviato alla presenzia del nostro capo. 'Gnamo. Si partirno tutt'assieme, e doppo camminato un bel pezzo per loghi salvatichi, arrivorno sul crinale d'una montagna, e lì c'era 'l palazzo del Padre Cesere, che ci steva co' un seguito di 500 assassini fieri e valorosi al su' comando; e a lui viense davanti 'l figliolo dell'Imperatore, e gli diede la lettera del romito vecchio. Dice il Padre Cesere: - Figliol caro, che rimedii vo' tu che trovi io alle tu' disgrazie? Il Papa non fu bono a battezzarti, e nemmanco i du' romiti mi' fratelli, che sono du' santi. Che vo' tu che faccia io, che nun son altro che un capo d'assassini? Rimani con meco. Perso per perso, qui te passerai la vita allegra: qui non manca nulla, e quel che manca si va a pigliarlo per amore o per forza in ne' paesi vicini e ne' lontani. Il figliolo dell'Imperatore a questa proposta nun disse di no, e diviense uno de' compagni del Padre Cesere, e siccome lui era di molto coraggioso e [ [p. 487 modifica]487] 'struito, tutti gli volevano un gran bene; soltanto gli dispiaceva di vederlo ugni sempre pensieroso e afflitto. Poero giovanotto! Lui steva sempre in temenza del giorno che gli finivano i su' 18 anni. E difatto alla vigilia di quel giorno tremendo, in quel mentre che tutti erano a cena, a uno scappò detto, che gli erano a' dì tanti del mese; sicché il figliolo dell'Imperatore si lassò cascare per le terre urlando com'un disperato, e ci volse del bono e del bello a abbonirlo, e per sapere che male lui avessi. In ultimo scramò: - Domattina i' ho 18 anni e il diavolo deve vienire a portarmi via. Salvatemi, salvatemi dalle su' granfie! Fa il Padre Cesere: - Animo, giovanotto! Se 'gli è un destino il tuo, nun si pole scansare. A ugni mo', sarà quel che piace a Dio, e nun occorre strapazzarsi accosì. Ti menerò con meco a dormire stanotte, perché te nun stia solo, e po' domani si cercherà qualche rimedio. Poi anco essere che nun sia vero nulla che 'l diavolo t'abbia a portar via per l'appunto doman mattina. Sicché dunque il Padre Cesere se n'andiede in cambera con quel giovanotto un po' racchetato; ma nun gli rinuscì tavìa che lui pigliassi sonno, e lo sentiede sospirare e piagnere e svoltolarsi per il letto tutta quanta la notte. A giorno si levorno per far culizione e doppo si messano a siedere sur una spianata dientro al giardino, con intorno il branco de' cinquecento assassini che nun eran volsuti, com'al solito, spargersi per le campagne, ma 'ntendevano di far la guardia al figliolo dell'Imperatore per difenderlo da qualunque assalto e per tienerlo divagato e allegro in nelle su' ubbìe. A una cert'ora, che stevano a chiacchiera del più e del meno, deccoti alla lontana comparisce 'l diavolo. Il figliolo dell'Imperatore principiò a urlare com'un'anima dannata e gli assassini s'impostorno con gli stioppi e feciano una scarica in verso 'l diavolo. Ma sì! e' fu come tirare al vento. Allora gli corsano addosso tutti assieme con il cultello 'n tra le mane: il diavolo però 'gli alzò un braccio e gli assassini anderno per aria che parevano loppa di grano. Chi ce ne pole con Berlicche? Visto questo lavoro il Padre Ceserò volse pigliarlo con le bone il diavolo, e gli disse di fare con lui un patto, purché lassassi libbero il figliolo dell'Imperatore: e il patto fu, di dargli 'n scambio la su' anima e quelle de' su' cinquecento compagni, ugni cosa fermato con giuro e [488] con scritta. [p. 488 modifica]Scrama il diavolo: - Aho! ci sto. I' lasso un'anima e n'acquisto 501. Lo credo! Subbito s'ammannisca 'l disteso. Accosì per il grand'amore che il Padre Cesere portava al figliolo dell'Imperatore, questo viense riscattato dal su' destino e il diavolo non gli diede più noia. Ora successe che 'l giorno di San Giuseppe tutti gli assassini gli erano fora e nun eran rimasi a casa che 'l Padre Cesere e il giovanotto. Il Padre Cesere si levò la mattina e a male brighe affaccio alla finestra vedde alla lontana una chiesina fatta di novo. Chiama 'l giovanotto e gli dice: - Lesto! Va' laggiù e bada se ci sono lampane d'oro e d'argento, pigliale e portamele. Il giovanotto gli ubbidì, abbeneché gli rincrescessi quel comando di rubbare; ma per gli obblighi sua in verso il Padre Cesare nun potette dirgli di no; sicché dunque andiede alla chiesina e ci trovò dientro un prete solo che predicava 'n sul pulpito e che gli domandò quel che lui bramava. Il giovanotto dapprima si peritava a palesarglielo; ma poi nun ebbe core di nisconderglielo, e finì con raccontargli anco tutta la su' storia. Dice 'l prete: - Le lampane sono del Padre Cesere, purché lui vienga a pigliarle 'n persona. E te torna con lui, e se te vo' salvargli l'anima, che lui ha venduto per te, quella 'n quel cantuccio 'gli è una spada; quando tornate assieme, te agguantala e tagliagli netta la testa al Padre Cesere. - Ma come? - scrama il giovanotto: - I' ho da commettere un simile tradimento contro 'l mi' benefattore? Nun sarà mai. Dice il prete: - Eppure questo è 'l modo di farlo andare 'n paradiso lui e i su' cinquecento compagni anco a dispetto del diavolo, e dopo te poterai essere battezzato. Insomma, finì con persuadersi il giovanotto e arritornò a chiamare il Padre Cesere con la scusa che da sé alle lampane non c'arrivava, e quando riviensano assieme, a male brighe 'n chiesa, il figliolo dell'Imperatore, presa la spada, a un tratto con un colpo ben assestato mozzò la testa al Padre Cesare e lo mandò diritto 'n paradiso. Dice 'l prete: - Bravo! Ora accostati al fonte, che ti battezzi. E sappi ch'i' sono un Angiolo di Dio, disceso apposta 'n terra per quest'operazioni. E terminato che fu il battesimo ugni cosa sparì di repente e 'l figliolo dell'Imperatore rimanette dibandonato su quella vetta deserta e bruca dell'Appannino. [p. 489 modifica]Lui [489] si mettiede subbito 'n cammino per ritornarsene a Roma, e prima volse far visita al romito vecchio e ringraziarlo d'avergli fatto cognoscere il Padre Cesere: ma il romito, quando sentiede che il su' fratello, abbeneché tanto scellerato gli era ito 'n paradiso, s'arrabbiò a bono, lo prese la disperazione e bestemmiava peggio d'un Turco dall'aschero, e comparso 'l diavolo se lo portò via con seco anima e corpo. Al giovanotto a un simile spettacolo gli prese la tremarella, e gli rincrescette dimolto d'avere contro voglia dannato il romito vecchio co' su' racconti; sicché delibberò di nun vedere il romito giovane, e sceso diritto al mare e trovata una nave s'imbarcò per Roma. Qui arrivo si presentò al palazzo, addove ricognosciuto, viense accolto con gran feste, e quando morì su' padre lo elessano per Imperatore.