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190 sermone ventesimoterzo.

     Vincer presumi con maligne note,
     Onde fai schermo all’anima superba
     E trista e vana, che il ben far non pate,
     Ed alle oneste laudi invidia porta.
65Vedi colui, che dispensar procaccia
     Il pane della vita al poverello,
     Ne’ squallidi tuguri visitando
     Infermi vecchi e vedove deserte
     Ed orfani digiuni? Oh non è questa,
     70Questa non è di carità verace
     La pura fiamma, griderai; ma vampo,
     Forse d’orgoglio e di lascivia nato!
E n’hai ben donde; che degli altri imprendi
     Da te medesmo a giudicare. Al padre,
     75Dalle fatiche o più dai vizi affranto,
     Dell’ospizio fatal s’apran le porte;
     E fosse pur di palpitanti membra
     Ammorbato sepolcro! Il figlioletto
     Stenda per tempo al passeggier la mano;
     80Per tempo i mali a sopportare impari
     Di sua condizïon colla gioconda
     Faccia, che in ben coll’uso li trasmuta.
     E la solinga donna, a cui s’infiora
     Di fresche rose ancor la bella gota,
     85Le lagrimette cessi ed i sospiri,
     E alla ragion dell’abbaco s’inchini.
     Con sinistri presagi una malnata
     Turba cresce d’intorno e si propaga?
     Al lontano avvenir pensino i nostri,
     90Quando presente fia, tardi nipoti;
     Chè per suprema legge unica e vera
     Dell’Io la legge avrò come i più saggi,
     D’infallibil bilancia al certo segno,
     Fanno; benchè diverso il detto suoni.