Di malvagia stagion contro l’offesa,
Attendi larga e fortunata emenda
Dal prezzo avaro. Nè ti scuote il grido 30Del popolo che freme e che delira
Dietro a torbide larve e sanguinose;
E dal tuo volto e più dagli atti apprende
Il nome a maledir di quella schiera,
Che a te pel nome e per l’avito censo, 35Non per la mente onesta e i chiari esempi
Dell’affetto gentil, si rassomiglia.
Per cieca rabbia e disperata fame
Una lurida plebe si scatena
Qual belva furïosa? E tu raddoppi 40Con fermo polso le ferrate sbarre;
Nè un obolo dall’arca rugginosa
Togli fidando che l’irato nembo
Al cenno fugga di potente verga.
E ancor ti affidi nelle usanze note 45Di chi, porgendo ai miseri salute,
O refrigerio e balsamo soave,
A te concede di vegliare a studio
Del computo, cui cifra a cifra aggiungi
Arcanamente. O fra le colme tazze 50E le sonore ciance vaneggiando
Del tempo in onta e della rea fortuna,
Con beffardo pensier le meste e gravi
Cure discacci, disprezzi, deridi.
Così discarchi di novello pondo 55I pigri ed ozïosi omeri degni
Di peggior soma e di più acuta sferza.
Ed il rimorso no, che non penètra
Sì dura scaglia, nè cessar ti piace
La vergogna che il bronzo non colora 60Della tua faccia; ma il dir delle genti