Scatole d'amore in conserva/Grande albergo del pericolo

Grande albergo del pericolo

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GRANDE ALBERGO
DEL PERICOLO

[p. 84 modifica]ÈÈ inteso. A tre chilometri dal forte francese A, a 6 chilometri dal forte spagnolo B, nella Valle di Rosai che separa le due giogaie di monti nemici, sarà costruito il Grande Albergo del Pericolo. La nostra Compagnia pagherà alla Francia e alla Spagna il 10 % delle loro probabili spese di munizionamento guerresco.

Contratto firmato. Il Grande Albergo costruito.

I miliardari stanchi d’ogni piacere, aspettavano ansiosamente, suprema distrazione, la Guerra!

Nulla. Mai la pace apparve così stabile. Tutte le cortesie, tutte le ovatte diplomatiche. Voluttuosissime carezze contraccambiate fra Francesi, Tedeschi, Inglesi, Italiani, Spagnoli, Austriaci, Nordamericani. Sulle alte terrazze del Grande Albergo del Pericolo eleganze, svenevolezze e fragilità delle belle donne d’estate, tutte veli, perle, braccia nude, intrise dei più dolci veleni crepuscolari. Capricci e fantasie di ventagli, profumi carnali, sorvegliati da altissime stelle. Quasi svapora quella agile mano ingioiellata, nel racconciarsi i capelli biondi, forse per aggiungere ai tre brillanti del suo diadema quella prima stella lacrima che riga la carne verde del cielo d’agosto.

NEL BAR


Alla finestra aperta del Bar due ventilatori, ruggendo aeroplanamente, respingono e trapanano le arricciatissime calde palme bambù del giardino pensile mentre all’interno architetture di liquori verde, rosso, oro. [p. 85 modifica]azzurro, dànno la scalata alla gola alta del soffitto. Il barone Arhiman, grassa bomba in smoking con percussore di perla, mangia solo ad una quadratissima tavola molti gas saporitamente compressi in cibi rari. Arhiman. — Cucina schifosa! Pessimi liquori! E tu hai il coraggio di servirmi questa immondizia? Quando imparerai a fare un cocktail? Di che paese sei? Un cameriere. — Sua Eccellenza scuserà. Non so più il nome della mia patria, tanto essa è pacifica e immobile. Arhiman. — Cerca bene nella tua memoria. Scrivi a tuo padre. Un altro cameriere. — È spagnolo. Arhiman. — Bene. Dichiaro la guerra alla Spagna. Dov’è il mio segretario? John! Telegrafa subito al nostro primo ministro. Credo venuto il momento opportuno per rispondere alle insolenze della Spagna. Bisogna d’altra parte lanciare le nuove azioni Rimm e la Spagna ci oppone una concorrenza veramente insopportabile.

NELLA CAMERA DA BAGNO

DI EUGENIA FRAGSON


Luciani, romanziere e giornalista, sigaro in bocca, semisdraiato sul divano, assiste al restauro facciale di Eugenia Fragson, esile bellezza bruna trentenne che si rianimava sotto le dita bulini neri di Manolo, massaggiatore negro in pantaloncioni rossi e gilet d’oro, con fez scarlatto, [p. 86 modifica]sulla faccia carbonfossile a guisa di bandiera su una rivoluzione notturna. Ogni bottiglia rosea è infilzata da sei o sette raggi elettrici che rimbalzano sull’argento, il nichel, le porcellane, le spalle e le gote di Eugenia Fragson che comincia ora a meritare il suo soprannome di Fragoletta. Manolo lavora lentamente spiegando ogni suo gesto: — Sono stato due anni allievo di Lina Cavalieri Ho imparato da lei a usare il rullo elettrico che sopprime il doppio mento. Il vostro è quasi inesistente. Un attimo, poi ecco il tampone mobile per vincere la depressione del rictus. Non insisto. Con questo piccolo tampone ricoperto di camoscio curo la carne sotto gli occhi. Così, così va bene? — Sì, Manolo. — Questa è la mia famosa maschera. È composta di tre parti. Una comprime il mento. Questi due cuscinetti di cuoio allungati bisogna disporli nella ruga del rictus. Vi farò l’applicazione stanotte. Ed ora tamponiamo le gote con questa miscela d’acqua di rose e acqua di lauroceraso. Contiene anche un po’ di perborato di soda. Nessun massaggio. Lieve tamponamento. — Grazie, Manolo! (Lungo silenzio, tre sospiri, poi:) Sono stanca, caro Luciani, stanca di Arhiman. Mi tiene a guinzaglio, ma lo pianterei volentieri questa sera. — Per me? — Per voi! — Le mie forze sono insufficienti a mantenere la vostra quota alta. In realtà siete la sua schiava. Ora egli vi obbliga a palleggiare tra specchi e luce [p. 87 modifica]elettrica la vostra celebre collana di perle per fare dei segnali luminosi al forte spagnolo B. — Siete pazzo, Luciani!... O semplicemente un maniaco di guerre. Vedete dovunque nazioni in agguato e spie costosissime. — Siete certamente costosissima, Fragoletta! Se non spia, certo spiata. Amate troppo gli affari lucrosi. So perchè siete stanca di Arhiman... Egli vi compromette riccamente. Io invece posso coprirvi... politicamente. Siete molto bella questa sera. Per carità, non muovetevi. Che brutto sguardo!... Rasserenatevi. Bando ai calcoli e alle astuzie. Siamo qui per divertirci e per non sudare. Ora sei tu, Manolo, che ti agiti. Non comprendo perchè tu debba accendere la tua enorme dentatura elettrica davanti alla finestra, mentre curi le guancie di Fragoletta. Conosco il cifrario dei forti. 3 tue risate bianche indicano 3 chilometri di strada che celano 3 batterie. Chiudi la bocca! Aprila! Richiudila! Due volte ancora! Via! Te lo impongo. Obbedisci! Ora siamo a posto. Dopo i miei segnali il forte spagnolo B punterà questa sala da bagno. Non siamo forse qui per godere la raffinatissima voluttà del pericolo? Fragoletta, non avete certo paura? Silenzio ironico dei forti. Stupore umiliato. Ansia crescente di Luciani, Eugenia e Manolo che si sporgono successivamente alla finestra! La notte appare costruita col silenzio nero massiccio dei forti opposti in cresta alle due giogaie buie. — Strano!... dice Luciani. Gli osservatori dei [p. 88 modifica]forti dormono... Ascoltate, Fragoletta, non udite delle voci sentiero sul a picco del Cornicione? — Sì. Sento anche dei passi. Chi mai può camminare così rischiando di precipitare nell’abisso? Scoppia un vocìo davanti al portone dell’Albergo, facciata Nord. La voce del portiere, dall’interno: — Chi è? — Una pattuglia di franchi-tiratori spagnoli. — Cosa volete? — Bere. Altro vocìo alla base della facciata sud dell’Albergo: — Chi siete? — Pattuglia di alpini francesi. Vogliamo ballare. Siamo sempre al buio nel forte. Qui c’è luce e musica.

NELLA SALA DA BALLO


Luciani e Eugenia Fragson entrando nella sala da ballo sentirono sbraitare il barone Arhiman sferico e congestionato:

— Franchi tiratori spagnoli e alpini francesi, siete miei prigionieri!... Vi trovate in terreno neutro. Qui sono io l’unico padrone.

Dal tumulto delle mantelline nere, cappellacci irti di moschetti si staccò il più alto, barbuto:

— Mi chiamo Maronchaud! Comando quindici alpini francesi. Comincia a nevicare. Vogliamo bere al coperto. [p. 89 modifica]

— Sono il famoso Bracaderas, comandante dei franchi tiratori catalani. Sono un po’ troppo muscoloso e quadrato. Ma danzo bene il tango. Poiché siamo in luogo neutro, prima balleremo e poi andremo fuori a giuocare a chi scaraventa l’altro giù dal Cornicione. I Francesi vogliono certamente conoscere la profondità dell’abisso.

A queste parole, Bobette, l’anguilloso ballerino andaluso, si slancia nella sala gridando:

— Si affitta! Si affitta! Balconi e finestre! Nella facciata ovest! E intanto si punta. Chi vuole puntare? Dò la pattuglia francese a quattro, la pattuglia spagnola a otto! Tutto a beneficio del villaggio dì Rosai! Per indennizzarlo dell’inevitabile distruzione, se mai si passasse dalle fucilate al duello dei forti!

Scoppia nella sala lo schiamazzante jazz-band dei suonatori negri, rovesciati all’indietro dalla furia dei suoni aspri, bevuti, soffiati con raggiti, grugniti, martellamenti di piedi impazziti! Mostruose guance nere ingoiano saxofoni d’argento. Si immensificano risate di coccodrilli nel fango schizzante dei rumori. Diavoleria di colossali virilità impennate e sonore che ostentano caricaturalmente i loro volumi a mantice rombante.

A destra, lungo la parete, neutralmente allineati, i frack più ben tagliati dell’albergo, neri, lucenti pettinatissimi, freddi, piatti, sparato abbagliante, mani in tasca, pantaloni a piombo.

Eugenia Fragson danza il tango con l’alpino francese Marronchaud che le mormora:

— Poco fa, mentre ballavate nelle braccia del ballerino andaluso Bobette, ho notato un muscolo [p. 90 modifica]esagerato nel suo Pantalone aderente. Se non fosse un effiminato, lo crederei innamorato di voi. Conosco l’anatomia degli uomini. Verificherò. Verificherò.

Di slancio Marronchaud saluta Eugenia, prende fra le braccia il ballerino spagnolo, brutalmente lo fa piroettare poi lo sbatte contro la parete, cacciando un grido che ferma di colpo la danza.

Applausi, risate, tutti fissano Bobette tremante e spaventato di vedere infisso nel falso muscolo del suo Pantalone aderente il coltello da caccia di Marronchaud..

La tempestosa ilarità fraternizza francesi e spagnoli che escono preceduti da Bracaderas.

— Bravo! dice questi — Bravo, Marronchaud! Avete dimostrato che esiste una differenza tra la carne e il sughero... Ora andiamo fuori a batterci. Ci occorre però un arbitro per fissare le condizioni equamente. Il barone Arhiman! Vogliamo il barone Arhiman come arbitro! Venga con noi! La pelliccia del barone, presto!

E tutti fuori con cascate di risate nell’immensa notte di raso bianco, soffice, bene imbottita.


NELLA CAMERA DA LETTO

DI EUGENIA FRAGSON


— Ti raggiungo a letto, Luciani, dice Eugenia. Sono stanca di prendere freddo alla finestra. Continueranno a discutere per un paio d’ore francesi e spagnoli senza comprendersi... Hanno troppo bevuto. Rimanderanno la sfida. [p. 91 modifica] Un quarto d’ora dopo, un urlo lacerante seguito da un rumore di pietrame crollante e da pesanti tonfi. — Diiio! — grida sussultando Luciani — Hai sentito? Quell’urlo è di Arhiman. Hanno buttato nell’abisso la sua vivente cassaforte! Languidamente svegliandosi, Eugenia precisa così l’emozione dei suoi nervi: — M’infischio del barone Arhiman e dei forti francesi o spagnoli in agguato. Vuoi una prova di ciò che ti dico, amore? Come una belva snella balza fuor dalle coltri, accende tutte le luci della camera riscintillanti nelle profondità abbagliate dei suoi specchi solari e marini. Ridendo torna a letto e, carponi, arcuando la groppa, punta le sue tonde semisfere nude davanti alla finestra spalancata contro la notte più che mai cementata dal silenzio severo dei forti. Fu breve, però, quel silenzio. Lo forava già la punta di un gemito che poteva essere quello del barone morituro ma non era. Aumentò, divenne animalesco quel gemito. Poi, meccanico, feroce, minacciosissimo, e finalmente scoppiò in granata tuonante, tanto da frangere le fulgenti bottiglie colorate del Bar per meglio stringere il diabolico nodo d’un cocktail ideale. Cocktail inebriante di liquori ambiziosi che sognavano forse di anticipare il futuro simulando in piena notte alpestre, la più bella aurora di guerra. [p. 92 modifica]