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sulla faccia carbonfossile a guisa di bandiera su una rivoluzione notturna. Ogni bottiglia rosea è infilzata da sei o sette raggi elettrici che rimbalzano sull’argento, il nichel, le porcellane, le spalle e le gote di Eugenia Fragson che comincia ora a meritare il suo soprannome di Fragoletta. Manolo lavora lentamente spiegando ogni suo gesto:
— Sono stato due anni allievo di Lina Cavalieri Ho imparato da lei a usare il rullo elettrico che sopprime il doppio mento. Il vostro è quasi inesistente.
Un attimo, poi ecco il tampone mobile per vincere la depressione del rictus. Non insisto. Con questo piccolo tampone ricoperto di camoscio curo la carne sotto gli occhi. Così, così va bene?
— Sì, Manolo.
— Questa è la mia famosa maschera. È composta di tre parti. Una comprime il mento. Questi due cuscinetti di cuoio allungati bisogna disporli nella ruga del rictus. Vi farò l’applicazione stanotte.
Ed ora tamponiamo le gote con questa miscela d’acqua di rose e acqua di lauroceraso. Contiene anche un po’ di perborato di soda. Nessun massaggio.
Lieve tamponamento.
— Grazie, Manolo! (Lungo silenzio, tre sospiri, poi:) Sono stanca, caro Luciani, stanca di Arhiman. Mi tiene a guinzaglio, ma lo pianterei volentieri questa sera.
— Per me?
— Per voi!
— Le mie forze sono insufficienti a mantenere la vostra quota alta. In realtà siete la sua schiava. Ora egli vi obbliga a palleggiare tra specchi e luce
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