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— Sono il famoso Bracaderas, comandante dei franchi tiratori catalani. Sono un po’ troppo muscoloso e quadrato. Ma danzo bene il tango. Poiché siamo in luogo neutro, prima balleremo e poi andremo fuori a giuocare a chi scaraventa l’altro giù dal Cornicione. I Francesi vogliono certamente conoscere la profondità dell’abisso.
A queste parole, Bobette, l’anguilloso ballerino andaluso, si slancia nella sala gridando:
— Si affitta! Si affitta! Balconi e finestre! Nella facciata ovest! E intanto si punta. Chi vuole puntare? Dò la pattuglia francese a quattro, la pattuglia spagnola a otto! Tutto a beneficio del villaggio dì Rosai! Per indennizzarlo dell’inevitabile distruzione, se mai si passasse dalle fucilate al duello dei forti!
Scoppia nella sala lo schiamazzante jazz-band dei suonatori negri, rovesciati all’indietro dalla furia dei suoni aspri, bevuti, soffiati con raggiti, grugniti, martellamenti di piedi impazziti! Mostruose guance nere ingoiano saxofoni d’argento. Si immensificano risate di coccodrilli nel fango schizzante dei rumori. Diavoleria di colossali virilità impennate e sonore che ostentano caricaturalmente i loro volumi a mantice rombante.
A destra, lungo la parete, neutralmente allineati, i frack più ben tagliati dell’albergo, neri, lucenti pettinatissimi, freddi, piatti, sparato abbagliante, mani in tasca, pantaloni a piombo.
Eugenia Fragson danza il tango con l’alpino francese Marronchaud che le mormora:
— Poco fa, mentre ballavate nelle braccia del ballerino andaluso Bobette, ho notato un muscolo
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