Scatole d'amore in conserva/Consigli a una signora scettica
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CONSIGLI
AD UNA SIGNORA SCETTICA
ara amica, mi domandate un consiglio per guarire la vostra incurabile noia? Non è facile in verità: se non foste stata mia amante, vi proporrei di amarmi in uno dei mille fantasiosi letti di lirismo-pericoloso che io so predisporre sotto i nervi delle donne. Ma io non posso interessarvi più, eroticamente. Voi da assaggiatrice di maschi quale siete, ricchissima, sfaccendata, vedova amorale, avete ormai bevuto come tuorli d’uova gli uomini più originali d’Europa. Vi consiglio di attraversare l’Oceano in cerca di maschi esotici e di notti d’amore veramente emozionanti. Esiste nella Florida una piccola città che si chiama Kuroo dove i negri sono di una bellezza sorprendente. Fortissimi, muscolosi ma agili e senza le esuberanze massicce della loro razza. Desiderano golosamente le donne bianche ed in particolar modo le bionde un po’ fragili, delicate come voi. La carne del vostro corpo trentenne, elastica benché intrisa di carezze e pettinata da troppi spasimi roventi, è capace certamente di suscitare nei più bei negri di Kuroo il desiderio di morire per voi. Sì, di morire, poiché i negri, odiati e sorvegliati dai bianchi nella Florida, pagano sempre con la morte i loro rarissimi accoppiamenti colle donne bianche. Io vi vedo già sporgervi la sera al balconcino della vostra bungalow che, all’orlo della città, succhia le verdi mammelle fronzute della foresta occhiuta di stelle e la sua ninna-nanna d’insetti friggenti. Caldo soffocante. Seminuda e bianchissima nella vostra lieve camicia. Odorano tanto le vostre braccia nude? No! Sono le gaggie del giardino che gareggiano coi garofani delle vostre ascelle. Lampo dei vostri denti fra le labbra carnose inquiete. Morbida noia nera dei vostri occhi naviganti, nell’avventura dorata dei capelli. Acre lana pesante del vento e del vostro affanno. Ecco Kam-Rim, negro bellissimo, figlio di un ricco padrone di fattorie. Passa e ripassa davanti alla vostra bungalow con passi agili, a scatti scivolanti, cauti. Veste all’europea. Quasi. Pantaloni e fasce kaki, camicia di seta bianca e cravatta rosso scuro. Lancia a voi, a voi, occhiate precise ma languide bianco-e-nero lucenti sotto il sombrero kaki. Ogni sera voi vi affacciate ed egli passa e ripassa. Fategli segno di entrare quando farà buio e via i pregiudizi sulle razze e sulla ferocia dei negri. Kam-Rim intelligentissimo è capace di superare, oltre alla sua, tutte le razze della terra come amatore ardente e insieme cortese. Anche saprà sussurrarvi tra un bacio e l’altro le più dolci, gioconde e turbolente canzoni negre. Le cadenze sincopate della sua voce, mescolandosi all’acre dolciastro muschiato odore del suo corpo nudo, gonfieranno il vostro cuore di tutta la nostalgia che torce i visceri di quelle razze vinte, ma indomabili, condannate a perire eppur così ebbre di vita. Ma siate cauta, per carità, che nessuno veda entrare ed uscire il negro dalla vostra bungalow. Non moltiplicate gli appuntamenti! Il mio consiglio del resto è vano, poichè a metà della vostra seconda notte d’amore Kam-Rim si alzerà dal vostro letto e d’un balzo in piedi, vi dichiarerà: — Sono tradito dai maledetti bianchi, e sei tu, o il tuo servo bianco, che mi avete denunciato. Sarà questo un sospetto vero o un pretesto; fatto sta che la catastrofe è ormai inevitabile. Kam-Rim si slancerà su di voi, ed estratto fulmineamente, non si sa di dove, un rasoio affilato, vi vibrerà un colpo alla gola. Voi avete già preveduto il delitto e rovesciandovi all’indietro eviterete la morte; ma il sangue sprizzerà nondimeno dalla vostra ferita e Kam-Rim credendo di avervi uccisa, in quattro balzi sarà fuori dalla vostra bungalow. Il vostro urlo involontario ha scosso l’atmosfera negra. Sbattere di porte, vocìo furente. Stanno sguinzagliando nella corte vicina i cani poliziotti. Una ondata nera si precipita nella vostra casa dalla finestra, abbaia, fruga, cozza, rovescia e rifugge di slancio fuori. Si sente rimbalzare vicino il tragico allarme: — Odor di negro! Odor di negro! Sì, sì, è il vostro servitore bianco, innamorato, come tutti, di voi, che dirige la caccia. Egli aizza un gran cane che scuote fra gli enormi denti un fazzoletto di seta azzurra. Tutti intorno a discutere poiché in realtà il fazzoletto ha l’odore speciale acido dolciastro pepato dei negri. Voi avete riconosciuto il fazzoletto di, Kam-Rim, ma tacete perchè ormai il destino si compie, mentre romba, tumultua alto-basso lontano-vicino l’inseguimento a galoppi sfrenati dei bianchi che cercano il negro. Il cane corre in testa velocissimo col fazzoletto schiumoso di bava fra i denti. Donne, uomini, ragazzi si precipitano da tutte legarti. Diverbi, urtoni, capitomboli. Mani a portavoce. Bocche segate dalla vendetta che urla dentro fuori: — Odor di negro! Odor di negro! Come il cranio d’un gigante pazzo la folla si spacca sulla porta d’una casetta in fondo al quartiere dei negri. La smisurata matassa degli urli e de gli aliti preme la porta. Una, due, tre spallate... Si schianta. Cazzottio d’acque in una chiusa umana. Nel forsennato intrico di pugni, bastoni, bestemmie ecco Kam-Rim quasi nudo, occhi schizzati, che si torce, rimbalza, geme, ringhia, rantola sotto le mani graffianti e i calci atroci. — Ho quello che ci vuole per il maledetto negro, — grida un vecchio bianco, che si fa largo portando nelle mani alzate una fune. Sparisce la fune. È già andata al collo di Kam-Rim; ne afferrano la punta. Vi si attaccano tutti, alti, bilenchi, colossi, goffi e pancioni, le donne scamiciate sotto i capelli irati che prolungano le maledizioni. Il corpo pesto del negro agonizzante sembra elettrizzato dal dolore-furore che lo trascina. Sussulta uncinando colle braccia e le gambe gli spigoli delle casse, i fanali e gli zoccoli dei cavalli sopraggiunti con cavalieri che impugnano la carabina. Spaventosa piovra. Ranocchio colossale. Ruota di vita sfasciata che s’ingrana nella ruota della morte. Ma una torma di poliziotti piomba sulla ressa. Ingiurie, legnate, legnate, capitomboli, gomitoli umani. Le donne sputano, graffiano, ma il negro è liberato. Intanto la città gonfia il suo rumorismo minaccioso. Tutti sono desti, in piedi, fuori della porta sotto l’enorme lima bianca che pende sulle fette bianche delle strade e sulle ombre aguzze lunghissime. Le casette succose e goccianti di liquore lunare nei loro grandi gusci di fogliami hanno qua e là ferite scintillanti che stringono scintillanti lame d’acciaio lunare. Colonne di popolo convergono alla prigione dove i poliziotti hanno chiuso Kam-Rim. Passo ritmato dell’odio. — Kill him! Kill him! Nessuno fermerà la marea dei bianchi nella luce affilata della luna che comanda il massacro. La porta della prigione è sfondata. Kam-Rim è trascinato fuori con una nuova corda al collo. Lungo corteo mugolante che ribolle, corre, si ferma, discute, sulla morte più atroce. Quella più esemplare più appagante nelle bocche spalancate dei massacratori. Un italiano furbo e simbolista grida: — Sia impiccato sul palo di questa lampada elettrica, e muoia così nel bianco, il negraccio, sotto la luna bianca! Poi scimmiescamente s’arrampica sul palo; portano una corda e una carrucola. Nell’urlo simultaneo della folla delirante il negro è sollevato. Penzola. Oscilla. Dà tre calci alla morte. Sembra corso dalle correnti elettriche feroci della lampada ad arco che tutta ilare di latte esplosivo lo doccia. Kam-Rim è nudo. È nudo. Potenza atletica. Il petto ha gonfiamenti mostruosi pieni di minaccia. Bruscamente il membro dell’impiccato si erige sulla folla, proiettando la sua ombra enorme di sigaro spavaldo sul lastricato bianco. Un urlo stridente lo saluta. È il vostro servitore bianco, amica mia, che si slancia verso il palo. Vuole arrampicarsi, non si sa a quale scopo. Tutti lo aiutano a salire. Sale, sale. Giunto ai piedi del negro li separa e sale più in alto. Allora, alzando il braccio, spara sei colpi di rivoltella a bruciapelo nel cuore di Kam-Rim. Sarà il segnale di un’improvvisa fucileria. Pam pam pam pam paak. Venti, cento, mille carabine sparano. Tutte puntate contro il corpo negro che crivellatissimo ondeggiando si sfascia tagliuzzato a pezzi e brandelli. Alle quattro di notte plaaafff il cadavere s’abbatte sul lastricato. Alle cinque l’enorme luna bianca vendicata e soddisfatta, saluta con una lunga carezza bianca la città di Kuroo annunciando alle foreste che le ventagliano su la faccia tonda l’alito rosso dell’aurora: — Ora vi sfido di trovare un negro, un solo negro nel cerchio di cento chilometri, anche se si volesse pagarlo cento milioni! In quanto a voi, cara amica, appena avete visto fuggire dalla vostra bungalowi i1 vostro seduttore negro, seguite la folla, saziatevi con lei di barbarico linciaggio sino all’impiccagione. Poi rientrate per riposarvi. Finalmente, era tempo! Ma non potete potete prendere sonno. Nell’alba le voci dei soliti venditori ambulanti vi sembreranno più rumorose del solito o ossessionanti. Voi sapete l’inglese, ma i venditori ambulanti hanno un loro strano linguaggio misto d’inglese e di espressioni indiane deformate. Voi sapete anche ciò che offrono: carne bovina, o cacciagione, pesci affumicati o pessimi pesci di palude assolutamente immangiabili per il loro incorreggibile sapore fangoso. Ciò nondimeno voi vorreste capire, capire ciò che offre questo venditore accanito con la sua voce squarciata. Si avvicina: — Everybody must take piece... — Per Iddio! Che frastuono nella viuzza! È certo che tutti si precipitano in questo momento verso il venditore e coprono la sua voce con mille domande: — Where? where? where? where? Ma il venditore squarcia ancor più ferocemente la sua voce ripetendo: — Everybody must take... (ognuno può comprare). — A piece of black flesh... (un pezzo di carne negra...). — For his dinner... (per il suo pranzo). Allora slanciatevi fuori, e senza contrattare, comprate i due migliori pezzi del vostro bel negro! Non fate la sciocchezza di cucinarli. Bisogna mangiarli crudi. Potrete tornare, all’Hotel Excelsior a Roma, portando nel vostro sangue qualcosa che nessuno uomo e donna ha! Quella forza esasperata di negro inferocito vi darà finalmente l’equilibrio morale, erotico, sentimentale che certo invano mendichereste in mille flirts cretini, o amori malati e stanchi.