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a galoppi sfrenati dei bianchi che cercano il negro. Il cane corre in testa velocissimo col fazzoletto schiumoso di bava fra i denti.
Donne, uomini, ragazzi si precipitano da tutte legarti. Diverbi, urtoni, capitomboli.
Mani a portavoce. Bocche segate dalla vendetta che urla dentro fuori: — Odor di negro! Odor di negro!
Come il cranio d’un gigante pazzo la folla si spacca sulla porta d’una casetta in fondo al quartiere dei negri. La smisurata matassa degli urli e de gli aliti preme la porta. Una, due, tre spallate... Si schianta. Cazzottio d’acque in una chiusa umana. Nel forsennato intrico di pugni, bastoni, bestemmie ecco Kam-Rim quasi nudo, occhi schizzati, che si torce, rimbalza, geme, ringhia, rantola sotto le mani graffianti e i calci atroci.
— Ho quello che ci vuole per il maledetto negro, — grida un vecchio bianco, che si fa largo portando nelle mani alzate una fune.
Sparisce la fune. È già andata al collo di Kam-Rim; ne afferrano la punta. Vi si attaccano tutti, alti, bilenchi, colossi, goffi e pancioni, le donne scamiciate sotto i capelli irati che prolungano le maledizioni.
Il corpo pesto del negro agonizzante sembra elettrizzato dal dolore-furore che lo trascina. Sussulta uncinando colle braccia e le gambe gli spigoli delle casse, i fanali e gli zoccoli dei cavalli sopraggiunti con cavalieri che impugnano la carabina. Spaventosa piovra. Ranocchio colossale. Ruota di vita sfasciata che s’ingrana nella ruota della morte.
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