Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/Il monumento eroico

Parte seconda - Il monumento eroico

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IL MONUMENTO EROICO


Il vecchio Pastore

Con istupor tu miri,
     Giovinetto straniero,
     Quest’ampio monumento,
     Che da lungi si mostra,
     5Su tutta la pianura
     Dall’Asopo bagnata.

Il Viaggiatore

Alle radici nato
     Degli altissimi monti,
     Dove non tace mai
     10La fragorosa voce
     Del tuono, io traversai
     Dell’Epiro lontano
     I misteriosi piani,
     Le placide vallee
     15Dell’amena Tessalia;
     Io vidi la cittade
     D’Apollo e l’altre vaghe
     Contrade della Focide,
     Nella terra di Cadmo
     20Lo gigantesche mura
     E i tempj antichi io vidi;
     Ma non v’ha monumento,
     Che il guardo e i pensier miei
     Ammirasser stupiti,
     25Come quel monumento
     De’ secoli passati:
     Chè l’edera ritorta
     E ’l giovinetto boso
     Che ’l cuoprono, con chiara
     30Voce cui dicon, ch’opra
     Ei sia degli avi vostri.
     Dimmi, ten prego, o padre,
     Ciò che tra voi ne dice
     La fama, dell’antiche
     35Gesta conservatrice.

Il vecchio Pastore

Dirotti, o figlio mio,
     Quale ne corre il grido.
Cent’anni pria che fosse
     Arsa Troja e distrutta,
     40Allor che la felice
     Beozia ancor da Regi
     Veniva governata;
     Nella superba Scolo,
     Da paludi difesa
     45E da scoscesi monti,
     Regnava il valoroso,
     Scaltro e feroce Astorre,
     Figliuolo del modesto
     E giusto Protenoro.
     50Ei con gloriose pugne,
     Con ria lingua, maligno
     Oprar, e aperta forza
     Regio potere ottenne
     In libera cittade,
     55Che da spietato, atroce
     Tiranno governava.
     In breve dalle cime
     Del Citeron vicino
     Brigata di ladroni,
     60Del scarso viver lassi,
     A lui unissi, e pronta
     A cenni suoi compiva

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Le più nefande imprese.
     Con promesse ed inganni
     65Seminando la cruda
     Discordia fra le genti,
     Signor divenne Astorre
     D’Isïa e d’Eteone
     E della forte Eritra.
     70Da quell’istante l’alma
     E l’invidioso sguardo
     Egli mai più ritorse
     Dall’opima Platea,
     Giovinetta rivale
     75Della vetusta Tebe,
     E splendido retaggio
     Del generoso Leito.

Mentre regnava ancora
     Il prode Arcesilao
     80Nella città novella,
     Ch’avea testè fondata,
     Il giovinetto Leito,
     Accompagnato sempre
     Dal provido Androcrate,
     85Percorre dell’Ellade
     Le superbe contrade
     E l’isole famose,
     Bramoso d’acquistare
     Chiaro nome e saviezza.
     90Ma quando Arcesilao
     Soggiacque al mite strale
     Del Dio dall’arco d’oro,
     E sen volò sereno
     Presso agli avi che lieti
     95Vivevano da Numi
     Nell’isole felici;
     Leïto, succedendo
     Alla paterna possa,
     Viene ogni dì dell’anno
     100Ad occupar la sede
     Avita, all’alte porte
     Della città natia,
     Benignamente ascolta
     Dallo spuntar del sole
     105Sino al tardo meriggio
     De’ sudditi le liti,
     E giudica conforme
     Al giusto compatendo
     All’umana fralezza. .
     110Egli compie le mura
     Spaziose, incominciate
     Dal cauto genitore,
     E i duo tempj sacrati
     A Giuno ed a Minerva,
     115Dive conservatrici
     Della città nascente.
     Ei poi le sponde innalza
     Del rovinoso fiume
     Con argini, difesa
     120Ai campi ed alle messi
     Contro il furor del crudo
     Devastatore Asopo,
     Allor che nella state,
     Gonfio di sciolte nevi
     125E repentine pioggie,
     Nel corso impetüoso
     Lidi divora e boschi.
     Con smisurati ponti
     Leïto unisce ardito
     130La splendida cittade
     Dalle dorate torri,
     Alla valle Tebana
     Coll’isola che giace
     Vezzosa in mezzo al fiume:
     135La diresti mirabile,
     Da cento e cento serti
     Di variopinti fiori
     Inghirlandata nave,
     Di real fidanzata
     140Portatrice fastosa,
     Ch’ad ambidue le sponde
     Del popoloso porto
     Legano funi, adorne
     Di varia seta e d’oro.
145Quei lavori compiti,

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     Leïto immantinente
     Un’opera intraprese
     Che, sovrumana quasi,
     De’ possenti Giganti
     150Monumento si crede.
     Dello scosceso monte
     Gli ostacoli vincendo,
     Ei praticò dal fondo
     Di quest’istessa valle
     155Larga e secura via,
     E in cima al Citerone
     Gittò di rocca in rocca
     Sovra il profondo abisso
     Ardimentoso ponte,
     160Ed in vano il torrente
     Contr’essi gonfio e irato
     Lancia l’onde ammucchiate:
     Qui comodo cammino
     Aprì tra ’l vivo sasso,
     165O sotto il perforato
     Sasso d’alpestre giogo,
     Sì che nel sen del monte
     Tu vedi al dì cadente
     Porgere amica mano
     170Il rinascente giorno.
     Così della rubelle
     Natura vincitore,
     Ei con sentier ritorto
     Ascende in vetta all’alto
     175Citerone nevoso;
     Poi, sull’opposto fianco
     Pian piano declinante
     La pittoresca via
     Ver Megara discende.
180Frattanto nell’amena
     Isola dell’Asopo
     Le tenerelle viti
     Si cangiaro crescendo
     In placido boschetto.
     185Le trasportò già seco
     Il provido Leïto
     Dalla feconda Creta,
     Ed affidolle cauto
     Alla beozia terra:
     190Prosperaro le piante
     Sotto le regie mani;
     La prole lor già chiama
     La Beozia sua patria,
     Amandola malgrado
     195Le sue men tepid’aure
     E ’l suo men chiare sole.
     Essa sen va bentosto
     Ad occupare i colli
     All’aquilone esposti,
     200Che sorgono sul lido
     Che dell’Asopo è a manca.
Ai piè di questi colli
     Comincia e si prolunga
     L’ampio sentier simile
     205A quel della montagna.
     Egli va serpeggiando
     Tra paludosi campi,
     Qui coperti di giunco
     Là di cespugli bassi
     210Ovver talora (Incauto
     Straniero, non fidarti
     Al lusinghiero aspetto
     De’ lor mentiti vezzi!)
     In tutto somiglianti
     215A verdi ameni prati.
All’ombra delle viti,
     Che coronan la dolce
     Pendice di que’ colli,
     Spesso sedeva Leito
     220Allor che ’l sol spariva
     Dietro alle rosee cime
     Del nevoso Elicona.
     S’egli scorgeva a caso
     Stranier stanco o smarrito,
     225Con detti affettuosi
     Egli l’invita tosto
     A cedere alla notte
     Infausta all’uomo, e sotto
     L’ospitale suo tetto

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     230Aspettare il ritorno
     Della non pigra aurora.
     Ma se vedea talvolta
     Ingegnoso cantore,
     Alle Camene grato:
     235Adunati gli amici
     Nella regale stanza,
     Di sua mano toglieva
     La lira al muro appesa,
     E l’affidava al vate
     240In mezzo a lor seduto.
     Ascoltavan con lieto
     Approvator silenzio
     Il delizioso canto,
     E da quel dì ’l cantore
     245Fra gli amici teneasi
     Del Prence di Platea.
     Riconoscenti i vati,
     A gara celebrando
     Del generoso Leito
     250Le glorïose gesta
     E il mansueto core,
     Transmisero il suo nome
     Ai secoli venturi.
Regnò Leito vent’anni
     255Nella città natia,
     Quando di notte oscura
     A mezzo il corso, apparvegli
     La sposa a lui diletta
     In bianche vestimenta
     260Incoronato il capo,
     Che colla man l’invita
     A seguirla ne’ lieti
     Tranquilli Elisj campi.
     E già la primavera
     265Sue fiorite ghirlande
     E lussurianti appende
     Alla tomba, che il chiude
     Alla sposa d’appresso;
     E là giace vicino
     270All’ammiranda grotta
     Delle Sfragidi Ninfe.
Il minor de’ suoi figli
     (Ch’ambo i maggiori avea
     Inesorabilmente
     275Alla madre rapiti,
     Presa di lor bellezza,
     L’Aurora indispettita
     D’esser di prole orbata)
     Il minor de’ suoi figli,
     280Dall’avo glorïoso
     Arcesilao nomato,
     Leïto confidollo
     Morendo al generoso
     E intrepido Androcrate,
     285Al quale a stento disse:
     «Arcesilao ti tenne
     (Tu stesso lo narrasti)
     Luogo di genitore;
     Ecco d’Arcesilao
     290Qui l’orfano nepote!
     Siigli in luogo di padre,
     Quando la cruda morte
     Chiusi gli occhi m’avrà.»
     Promise il generoso
     295Guerriero d’adempire
     Quest’ultima sua inchiesta,
     E dal ciglio gli corse
     Una stilla di pianto
     Sulla destra al morente.
     300Così volò serena
     L’anima di Leïto
     All’isole beate
     Ove dimoran gli avi....
«Il tempo della guerra,
     305Concittadini, è giunto,»
     Disse Androcrate, stando
     Appiè dell’aureo trono
     Dei Prenci di Platea.
     «Finora il conosciuto
     310Valore e l’alta gloria
     Del provido Leïto
     Mantennerci la pace.
     Ora la propria forza

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     L’unico fia sostegno
     315Al Re minore e a noi.
     Ne comanda prudenza
     Di unire ad ogni giuoco,
     Ad ogni festa nostra
     Alcuni simulacri
     320Di non lontana forse,
     Inevitabil guerra.
     Sol molta vigilanza,
     Intrepido valore
     E unanime concordia
     325Saran nostra difesa
     Contro il vicino, e noto
     Nemico ardimentoso.»
Platea prudente e lieta
     Al guerriero applaudì.
     330Chi mai nel dì sacrato
     Alla proteggitrice
     Minerva Plateense
     Di giubilo non pianse,
     Veggendo al suon de’ flauti
     335Il giovanetto e lieto
     Esercito guerriero
     Incedere schierato
     Nelle spaziose vie
     D’erba e di fiori sparse?
     340Splendevano qual fuoco
     I lucid’elmi d’oro,
     Gli scudi e le loriche;
     Interrompean il sacro
     Silenzio d’ogni intorno
     345I misurati passi
     Dell’infinite schiere,
     Sotto ai cui piè commossa
     Pur tremava la terra:
     Ed Androcrate il pio
     350Il drappello chiedea.
     Avea il prode guerriero
     L’elmo d’auro coperto
     Dalle mobili piume,
     Che in premio in Creta s’ebbe
     355Quel dì che vincitore
     Fu ne’ giuochi di Gortina,
     In un colla lorica
     Che non ha pari al mondo.
     In braccio al prode stava
     360Il Re fanciullo, immagine
     Del generoso Leito.
     Mirasi balbettando
     Nel terso puro speglio
     Dell’aurata lorica:
     365Mirando sè credea
     Vedere un suo compagno,
     Le mani stende e cerca
     Ingannato abbracciarlo;
     Ma subito abbandona
     370Quel menzognero specchio
     Che lo ferisce in volto;
     Di soppiatto lo sguardo
     Sospettoso rivolge
     Al derisor metallo;
     375Ma ravvisar credendo
     Il compagno de’ giuochi,
     Gajo ritorna e lieto
     E l’error suo ripete.
Da sei lune reggea
     380Androcrate Platea,
     Quando del crudo Astorre
     Un messo giunge e dice:
     «Androcrate! che reggi
     De Platensi il governo,
     385Unisci le tue schiere
     Alle forti d’Astorre,
     Finchè sommessa abbiate
     L’ambizïosa Tespia:
     E volentieri Astorre,
     390In guiderdon del dato
     Soccorso, cederatti
     La doviziosa Etresi.
     Egli di più t’invia
     In segno d’amistade,
     395Un cenere che s’ebbe
     Da tessalico mago.
     Per poco che sen sparga

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     Nel bicchier d’importuno
     E possente avversario
     400Spento vedrallo il quarto
     Sole, foss’ei robusto
     Al pari d’un gigante.» —
     «Che non ti vegga il sole
     Cadente, o messaggiero,
     405In queste mura, ond’io
     Trasportato dall’ira
     Te non offenda, cui
     Proteggitore è Giove.
     Combatta sol, se il vuole,
     410L’usurpator sleale
     Che ti mandò, le squadre
     Dell’innocente Tespia;
     Ma invano il suo pugnale
     Minaccia Arcesilao,
     415Mio Signore e mio Re.
     Finch’io vivrò, egli invano
     Di compier tenta il suo
     Negro disegno. Parti.» —
     «Udiste; o fidi amici,
     420Disse ridendo Astorre,
     Udiste lo sdegnoso
     D’Androcrate messaggio?
     Udiste, o fidi, udiste?
     E di’, tu vecchio insano,
     425Hai tu vedute mai
     D’Astor l’invitte squadre,
     Nell’orrida battaglia
     Salde qual ferree mura?
     Le hai tu forse vedute
     430Il piè ritrar cedendo
     A triplicate forze?
     Ed osi, temerario;
     Impavido chiamarti?
     E l’elmo e la lorica;
     435Che i Cretesi donarti
     Tutt’il senno t’han tolto.»
Poscia condotta l’oste
     Sempre alle pugne pronta,
     Tosto l’incauta Tespia
     440All’armi sue soggiacque,
     Questa terza cittade
     Delle genti di Cadmo
     Che con cieca discordia
     E con gare ambiziose
     445Struggea sua propria forza.
Udita la vergogna
     Di Tespia, inespugnabile
     Finor creduta, Androcrate
     Disse ai concittadini:
     450«Ecco, che ratta ratta
     La burrasca ver noi
     Minacciosa s’avanza.
     Pria che il sole risorga
     Ad Anfisso n’andrò:
     455Quivi in le man possenti
     Confiderò, degli anni
     Venturi la speranza,
     Il figliuolo di Leito.
     Consulterò ad un tempo
     460L’oracolo d’Apollo
     Su quel che ne sovrasta.» —
«Se la cruenta pugna
     Dai condottier principia,
     Se man nemica spegne
     465Il sole di Platea,
     La vittoria fia vostra:
     Morrà dal suo veleno
     L’abbominevol drago.»
Questo responso uscio
     470Dall’infallibil Febo.
Poi che ’l pio Duce l’ebbe
     Invan pesato, ei disse:
     «Più medito, verace
     Ed infallibil Nume,
     475Le tue sante parole,
     E men io le intendo
     Ma con intera speme
     Io vo per adempirle.»
     E ritornò ’l guerriero
     480Con premuroso passo
     Alla natìa cittade

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     E preparò la guerra.
Fornito ch’ebbe Febo
     Il suo giro tre volte,
     485Ecco dai monti Isici
     Avventarsi con impeto,
     Tutto il piano coprendo
     Dal Citerone al fiume,
     Le rilucenti squadre
     490D’Astor.
                    Subitamente
     Lo rapide bandiere
     S’arrestano. Nel campo
     Plateense un araldo
     D’Astorre alla cittade
     495D’arrendersi comanda.
     Ma ritornò bentosto
     Il messaggero a Astorre
     Ed alle squadre innanzi
     Così gli disse: O Sire,
     500Androcrate te sfida
     A singolar tenzone.»
Rispose con maligno
     Ed orgoglioso riso
     Astor: «Sii ’l benvenuto,
     505Glorïoso campione!
     Astor la sfida accetta.»
     Poi, voltosi alle squadre,
     Con irrision soggiunse,
     «Cari, intrepidi amici,
     510Sinora alla condotta
     D’Astorre confidati,
     Consentirete voi,
     Me estinto dai tremendi,
     Irresistibil colpi
     515Del glorïoso e invitto
     Reggente di Platea,
     Consentirete voi
     Ad ubbidir ormai
     A’ suoi regi comandi?»
520Percorre in un istante
     Inestinguibil riso
     Le numerose squadre.
     «Va! (dice al messaggero
     Astorre con ria gioja)
     525Va, e da mia parte digli,
     Che qui l’attende Astorre.
Stansi di contro immote
     Di Scolo e di Platea
     Le bandiere, frementi
     530Per la tardata pugna.
Ecco Androcrate pronto
     A entrare nella lizza,
     Ha già cinto l’acciaro,
     E tiene lieve scudo
     535E l’asta nelle mani.
     Alle schiere volgendosi:
     «Dell’Asopo la pura
     Onda, voi mi recate
     Sì che mie forze aumenti.»
540Corre un guerriero al fiume,
     E rispettoso l’acqua
     Gli presenta nell’elmo.
Invoca il Duce i Numi,
     Poscia parte dell’onda
     545Sparge per onorarli
     Sovra la terra, e dice
     Ad alta voce: «O voi
     Abitator del cielo!
     Ricevete benigni
     550Il volontario mio
     E lieto sacrifizio,
     E con propizio sguardo
     Rimirate Platea
     E ’l pargoletto Rege!
555Disse e con gioja bevve
     L’acqua del patrio fiume:
     De’ Plateensi gli occhi
     Di lagrime s’empiro.
Ecco dalle lagune,
     560Che molte e fra sè giunte,
     Stendonsi sulla riva,
     Sinistra dell’Asopo,
     Un cigno dall’immense
     E risuonanti penne

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     565Subitamente s’alza,
     E dell’Asopo il corso
     Seguendo, vola ai colli
     Non lontani d’Eretria.
     Stassi su quelli immoto
     570Un nuvolone negro,
     Ond’esce repentino
     Un immenso avoltojo
     Con alto rauco grido.
     S’incontrano gli augelli,
     575Pronti a mortale pugna,
     In sull’Asopiche onde.
     Si assaltano feroci
     Sol una volta o duo,
     E ’l cigno, il collo, il petto
     580E le ali insanguinate,
     Cade in mezzo del fiume,
     E le onde, dalla salma
     Percosse, con rimbombo
     Risaltano nell’aria.
     585Tal subitanea nebbia
     In sera estiva sorge
     Dalle misterïose
     Onde chete d’un lago,
     Ed all’umano sguardo
     590Asconde ’l patrio Genio
     Benefico, ch’a poco
     A poco innaffia tutti
     I campi, inariditi
     Dagli ardori del sole.
     595Ma nel momento istesso
     Quella nube ch’immota
     Stava sui colli Eretrj,
     S’avventa ed inghiottisce
     L’avoltojo vittore,
     600E odesi a mano destra
     Inaspettato tuono.
Alzando mani ed occhi
     Al cielo, il pio Guerriero:
     «Grazie, esclama, de’ fati
     605Regolatori eterni,
     È nostra la vittoria!
     Io morrò, ma, Platea,
     Tu libera sarai!»
Venne colla risposta
     610D’Astorre il messaggero.
     Ed ecco i sacerdoti
     Di Giuno e di Minerva —
     Custodi di Platea,
     E quei del misterioso
     615Tempio dell’alme Dive —
     Protettrici di Scolo,
     Escono da ambo i campi
     Per misurar la lizza.
     Poi le sorti gettate
     620D’Androcrate e d’Astorre
     In un argenteo vaso,
     Il minore tra loro,
     La faccia indietro volta,
     Una ne tira, e legge
     625Con altissima voce
     Il nome d’Androcrate,
     Che dal Fato vien scelto
     Per cominciar la pugna.
Qual giovane che lieto
     630Corre alla danza insieme
     A vergini leggiadre
     In praticel fiorito,
     Ne’ caldi giorni estivi
     All’ora che la luna
     635Sorge svelata, e brilla
     In zaffirino cielo;
     Tal con leggiero passo
     Androcrate s’avanza
     Verso la lizza, dove
     640Lo seguono de’ suoi
     I gemiti ed il pianto.
Venuto all’ampio giro,
     Dove l’attende Astorre
     In armatura d’oro
     645E con elmo, sul quale
     Quattro gran piume splendono,
     Lavoro di Vulcano;
     Il pio campion, volgendo

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     L’estremo sguardo inverso
     650La venerata tomba
     Del suo reale amico,
     S’arresta alla distanza
     Dalla legge prescritta.
     Poi con possente destra
     655L’alta lancia vibrando,
     Al nemico la caccia.
     Ma passa l’asta truce
     Di sopra l’alte spalle
     D’Astorre, ed entra il ferro
     660Con sibilo tremendo
     Tutto confitto in terra.
Ed Astorre ad Androcrate
     Con man sicura e forte
     Gettò l’immensa lancia,
     665L’asta grave percosse
     E traforò lo scudo,
     Ma le resiste, e salva
     La corazza il campione.
S’affaticò gran tempo
     670Androcrate a disgiungere
     Dallo scudo la lancia,
     Alfin ratto gettando
     Da sè lo scudo e l’asta,
     Egli impugna l’acciaro
     675E l’avversario assale.
Questi, temendo qualche
     Inusitata frode,
     Snuda anch’egli l’acciaro
     E snudandolo impiagasi
     680Leggermente la mano:
     Poi con furore incalza
     L’intrepido nemico,
     E in men che non baleni
     L’acciar nel sen gli pianta.
685Poche stille di sangue
     Dalla ferita sgorgano,
     Ma subito s’arresta,
     Ed Androcrate immoto
     E freddo cade a terra.
690Astorre, pria d’armarsi
     Per la mortale zuffa
     Fin alla guardia il ferro
     In rio veleno immerse.
L’esercito d’Astorre,
     695Così pronta veggendo
     La caduta d’Androcrate,
     Assorda la campagna
     Con prolungati gridi
     D’immoderata gioja;
     700E di Platea nel campo
     È duol, tristezza e tema.
Ma si cangia bentosto
     Delle squadre nemiche
     La gioja in ispavento.
     705Il lor duce, superbo
     Della vittoria pronta,
     Subito cade a terra,
     Come se rovesciato
     Sia del tonante Giove
     710Dalla possente destra.
     È vano ogni soccorso.
     In un istante il senso
     Coll’alma l’abbandona.
Nel rapido snudare
     715L’avvelenato acciaro,
     Ei piagossi la mano.
     Il tossico correndo
     Di vena in vena, tosto
     La vital fiamma estinse.
720In un momento l’oste
     Nemica di Platea,
     Da panico spavento
     Colpita, si disperge,
     E preda agli avoltoi
     725Nel giro della lizza
     Lascia il corpo d’Astorre.
Ma coll’andar del tempo,
     La memoria serbando
     Del lor liberatore,
     730Il popol di Platea
     E l’altre vendicate
     Cittadi annoveraro

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     Fra lor Penati Androcrate,
     E questo monumento
     735Che si vede da lungi
     Nella vasta pianura
     Dall’Asopo bagnata,
     Alzarono all’Eroe.
     Ancora ai tempi nostri,
     740Al ritorno de’ giorni
     Lunghissimi di state,
     Si festeggia con pompa
     La volontaria morte
     Del venerato Eroe.
745Qui talora si scorge,
     De’ pastorelli al dire,
     Allo spuntar dell’alba,
     Sua venerabil Ombra
     In forma di leggiadro
     750E maestoso cigno,
     Col collo, il petto e l’ali
     Variegate finora
     Di bel purpureo sangue
     Ei con agiato passo
     755La pianura traversa
     Dal Citerone al fiume.
     Bevuto ch’ha tre volte
     La fresca e limpid’onda,
     A vicenda fissando
     760Sulla città lo sguardo
     E sulla regia tomba
     Non lontana di Leito,
     Ei di nuovo traversa
     Tutta l’immensa valle,
     765Finch’egli arrivi a questo
     Colle da lungi visto.
     Fatto tre volte il giro
     Del monumento suo,
     Ei le grand’ali spiega
     770Ed in un batter d’occhio
     Tra vapori sparisce,
     Ch’indora il nuovo sole
     Al piè del Citerone.