Roma sotterranea cristiana/II
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II.
L’Arenaria d’Ippolito e le regioni anonime
sotterranee di S. Callisto.
Descritto e dichiarato con tutta l’ampiezza di dottrina che meritava il classico Cimitero di santa Sotere, passa il sacro Archeologo ad illustrare un’altra non meno importante regione che alla principale necropoli Callistiana si attiene; quella vo’ dire, immensa, la quale partendo a settentrione dalle Cripte di Lucina va a ricongiugnersi in un punto col descritto Cimitero di santa Sotere. Prende a considerare la vasta regione nelle due zone che la compongono: L’Arenaria, ch’ei, per buone ragioni (come vedremo), chiama d’Ippolito; e la regione Liberiana. In ultimo prende in esame anche altre regioni minori anonime che segnano i limiti estremi di tutta la vasta necropoli Callistiana.
Esordisce il Libro dall'Arenaria (cap. I); e riassumendo lo spinoso tema, o dirò meglio l’arduo problema circa il sepolcro dei famosi martiri greci, Ippolito e compagni, del quale assai e dottamente già toccò nel primo tomo dell’opera1, or si accinge «a svolgerlo e chiarirlo in ogni sua parte», sperando di ritrovare il prezioso sepolcro in questo sito. E prendendo lume dalla topografia del Malmesburiense, dalla silloge epigrafica dei codici di Closterneuburg e di Gottwei, dai più antichi Martirologi e da altri Autori minori, s’inoltra sicuro a cercare il sito preciso degl’ignoti Sepolcri, dopo che nel tomo I (l. c.) ebbe stabilito in genere il collocamento in quest’Arenaria, che fa parte della cristiana Necropoli dell’Appia. Vero è che quivi monumenti certi ed evidenti fanno grande difetto, grazie a’ barbari visitatori di questa regione, che vi scesero, come vedremo, nel secolo XVII; ma le istancabili ricerche del ch. Autore per entro gli antichi Codici e Martirologi d’ogni regione, fruttarono tanta messe di preziose notizie, ignote al Bosio, che compensano assai la mancanza delle testimonianze monumentali. Tali sono, per modo di esempio, i due Elogi metrici del Cod. Closter. e di Gottwei (che qui pubblica per intiero ed emendati); i quali ci narrano che una famiglia di pagani venne di Grecia a Roma; che Ippolito, capo di essa, fu il primo ad abbandonare l’idolatria, e si ritirò a vita solitaria (monachi ritu) nelle caverne, ove attese a preparare ai confratelli cristiani un sepolcreto, il dolce riposo della vita (christicolis gregibus dulce cubile parans). I quali Elogi, che il ch. Autore dimostra anteriori al secolo VII, trovano, nel fondo dell’istoria, un bellissimo riscontro con gli Atti di codesti martiri greci, il cui antico testo inedito, qui (cap. II) ei pubblica per la prima volta; e, confrontandolo con quello prodotto dal Baronio ne’ celebri suoi Annali, dopo una profonda e critica discussione, conclude non esser altro il testo Baroniano che una parafrasi dell’antico; onde ne viene nuovo lume a emendare eziandio le opinioni del Tillemont, che troppa fiducia pose nel testo epitomato dal dotto Cardinale.
Dagli Atti adunque, secondo l’antichissimo testo, chiaro apparisce che codesto drappello di pagani, dalla Grecia venuto a Roma, e quivi confessata pel martirio la fede di G. C, furono tutti deposti in quest’Arenario. Erano tra sè congiunti per vincolo di parentela, e si chiamavano: Eusebio, Marcello, Ippolito, Adria, Paolina, Neone, Maria, Massimo, Mariana, e Valeria. Dei quali, sebbene martirizzati in giorni diversi, tra l’ottobre e ’l decembre, il testo pone in cumulo la commemorazione a’ 30 di novembre (prid. kal. decembris): e a questo fanno eco i più antichi martirologi. Se la data, onde esordiscono gli Atti (Valeriano et Lucilio consulibus) fosse esatta, noi avremmo la cronologia della loro passione: ma come conciliare cotest’anno consolare 265 col pontificato di Stefano I, sotto cui, dicon gli Atti, soffrirono il martirio? Al Baronio, al Pearson e al Tillemont parve insolubile il cronologico problema, senza mutare il nome dei consoli; e lo fecero. Anche il de Rossi ne propone un’emendazione. Egli penetra con l’acutezza di sua mente nel fondo della narrazione: pondera i fatti, le circostanze, le persone che vi figurano, e n’esce felicemente a ratificare l’anacronismo che tanto sgomentò i dotti critici che lo aveano preceduto. Ei riflette: negli Atti è detto: Hippolytus misit se ad pedes beati Stephani, et deducebat ad eum,,.. multos ex paganis ec. Dum haec frequenter fierent, ... divulgatum est Valeriano a quodam Maximo praefecto urbis, qui talem suggestionem dedit Valeriano ec. Ora è certo che mentre imperava Valeriano e sedeva sul soglio pontificale Stefano I, era prefetto in Roma un Massimo (an. 255, secondo l’indice Filocaliano): quindi ricordando come i Prefetti potevano governare anche per più anni; il Massimo, prefetto di Roma accennato negli Atti, ci porta necessariamente a leggere la data consolare del martirio subito dai greci Eroi, Valeriano IIII et Gallieno II coss. (an. 257). Non è dunque da emendare che Lucilio in Gallieno per togliere affatto il supposto anacronismo. Errore soltanto di calligrafia, che il nostro Parafraste del sec. VIII può aver preso dallo svanito nome Gallieno, riscontrato negli Atti ginevrini che avea sott’occhio.
Sciolta questa importante e principalissima difficoltà, per non dire di altre minori, che il rozzo testo offriva alla sottil critica dell’Autore, resta evidente, che l’Arenaria presso il coemeterium Callisti al primo miglio della città; ove Ippolito solitario apriva un cimitero per i suoi confratelli convertiti; ebbe sua origine sulla metà del secolo III. Quindi premesso quanto potea sapersi da isteriche fonti e dagli antichi documenti intorno all’Arenarium Hippolyti, passa il ch. Autore (cap. IV) a indagarne il topografico sito. Se non che, anzitutto racconta, dolentissimo, come le storiche cripte dell’Arenaria d’Ippolito furono nel 1646 spogliate delle più preziose memorie, per una certa smania, detta altrimenti santo zelo, di arricchire le chiese dei corpi e reliquie di santi Martiri; per guisa tale, che quivi non rimase pur ombra o indizio del sito, ove deposti furono i celebri Martiri greci: anzi, nemmeno un segno, una memoria che accertasse aver essi avuta realmente quivi sepoltura. Ma, eppure il de Rossi ne ritrova la verità e il fatto (chi lo direbbe?) per un semplice titoletto cimiteriale di fanciullo, ov’è scritto DEP • V • IDV • SEB • AD EPOLITV., e che il Muratori nelle sue Antiche Iscrizioni riporta come esistente in Reggio. Messosi infatti sulle peste di cotesto titoletto, da Roma andato a Reggio, giunge a scoprire (e in qual maniera, lo narra) essere stato levato dal cimitero di S. Sebastiano di Roma, e a Reggio con altre iscrizioni portato. Ora giova avvertire come l’epiteto di San Sebastiano si usò dare per lungo tempo indistintamente a qualunque zona o regione dell’immenso Sotterraneo circostante all’Appia.
Del resto, quell’AD EPOLITV (Ad Ipolytum) esprime troppo decisamente, nell’epigrafico linguaggio delle cristiane Necropoli, l’Arenarium Hippolyti: e non già del celebratissimo Ippolito della Tiburtina; ma di quello che illustrò pel martirio l’Arenario dell’Appia, ove esordì ritirato, come si disse, la sua vita cristiana. Che se non si possono avere, nella profonda oscurità in cui si avvolge l’istoria di questa sotterranea regione, dati più esatti del sito preciso del μαρτύριον, ossia cimitero d’Ippolito e CC., altri però ne abbiamo evidentissimi da dare al ch. Autore ragione del chiamarsi questa zona sotterranea col titolo antonomastico di Arenarium Hippolyti. E cotali dati l’Autore riduce a tre. Il primo si è che negli Atti dei ricordati Martiri greci, l’ipogeo loro è detto Arenarium per discernerlo dal Coemeterium Callisti: il secondo, che nell’epigramma Damasiano nella cripta papale, sono ricordati cotesti Martiri come uno dei gruppi più illustri del Cimiterio di s. Callisto; quindi, vedi contiguità del nostro Arenario al Callistiano cimitero: il terzo, in fine, la testimonianza del topografo Malmesburiense, il quale pone il santuario dei greci Martiri, rispetto agli altri Santuari, a settentrione-levante della Basilica di santa Solere. E fin qui, della istoria dei Martiri greci, e loro sepolcri. Or si accinge a esplorare (cap. V) la sotterranea regione.
Questa, come staccata e distinta dalla primitiva Callistiana necropoli, dovea avere una scala tutta sua propria a discendervi dalla superficie del suolo: e la supposizione dell’esperto Archeologo non era vana. Tratte infatti le immense materie, ond’era stata da secolari rovine ed alluvioni tutta ostruita sino alla superficie, ricomparve nel 1868, grazie alle sollecitudini della Commissione di Sacra Archeologia, che piegò alle istanze del nostro dotto illustratore (cap. VI) Da cotesta scala pertanto principia il de Rossi le sue esplorazioni (cap. VII), raccogliendo le poche memorie epigrafiche, che v’incontra. Indi, superate non lievi difficoltà di escavazioni, giunge al piano dell’Arenario; si aggira per entro le gallerie, che vi si svolgono a tre e quattro piani, coordinate alla nobile scala; e fino al più piccolo frammento d’iscrizione che vi trova, tutto attentamente esamina ed illustra.
Dalla medesima scala si scende a un secondo piano del cimitero: se non che le vie che a sinistra s’incontrano sono, per le ripetute frane e rovine, inaccessibili affatto: quelle a destra, sono praticabili, è vero, ma già frugate e spogliate di ogni epigrafica memoria. Cotesto piano però innestandosi e compenetrandosi per le sue gallerie con l’attigua regione Liberiana, innanzi di dire dell’architettura e limiti e posteriore svolgimento del medesimo, principia, con miglior consiglio, a descrivere la seconda regione, la cui illustrazione riflette gran luce sulla storia di quel piano medesimo.
Appella (cap. VIII) pertanto questa seconda regione, Liberiana, non per altro se non perchè da’ dati cronologici ed epigrafici raccoglie essere stata principiata a scavarsi, e popolarsi di sepolcri mentre sedeva sulla cattedra pontificale papa Liberio.
Scesa la scala, ci troviamo in una vasta galleria, la più grandiosa della Callistiana necropoli. A prima giunta, ti si offre un nobilissimo cubicolo, diruto però e devastato. Nulladimeno quelle venerande rovine e avanzi parlano abbastanza alla mente del sapiente nostro esploratore per ritesserne (come ei fa) la storia, spiegarne il sistema architettonico, e mostrarne i pregi della scultura e della pittura, onde fu bellissimo il maestoso ipogeo. Raccoglie poi i frammenti epigrafici sparsi qua e là, ond’evoca celebri nomi di sepolti, che il Boldetti, non curando que’ spregevoli frantumi, credè omai affatto perduti.
Così, per esemplo, da due frammenti ricongiunti scuopre dalle poche parole che gli rendono, l’originale Elogio metrico di Damaso in lode del diacono Redento (cap. IX): Elogio solamente sin ora conosciuto nella Silloge epigrafica Palatina, edita dal Grutero.
Altri frammenti aduna: e di sessanta minutissimi ne ricompone la lastra marmorea, ove era incisa una lunga funebre memoria in elogio di giovinetto, o giovinetta (manca nella lapide il nome) uscito diciassettenne di questa vita. È una di quelle orazioni, o laudationes; che, secondo costume di que’ tempi, si pronunziava nel consegnare al sepolcro nobili personaggi. E il ch.mo Autore, nel comentare il monumento (cap. X) parla con la sua solita erudizione di cotesta antica costumanza Romana.
Illustrato così il principale Ipogeo, continua ad esplorare (cap. XI) le sei sette vaste gallerie della Liberiana necropoli; delle quali alcune, a mezzogiorno, vanno a trovare e congiugnersi con quelle dell'Arenarium Hippolyti. Tutte le esplora con la solita accuratezza nei tanti e svariati cubicoli, che comprendono: e dalle profonde osservazioni, vuoi intorno alle forme architettoniche, vuoi sul carattere e maniera delle pitture, trae certo ed evidente argomento della posterità di sua formazione, rispetto alla principale Callistiana ed alla Soteriana necropoli. S’intende però del piano secondo; perocché il primo e il terzo della Liberiana, come che provenienti da altri punti e centri del grande Sotterraneo, non spettano propriamente all’escavazione di questa regione: e il ch.mo Autore, che in tutto e sempre vuol esser esatto, si riserba a parlarne poi distintamente.
Intanto ci continua la istoria di questo (cap. XII, XIII) narrandoci lo spogliamento che dal secolo XV al XYI subì per le mani de’ suoi ignoranti e rapaci visitatori. E tra codesti visitatori vi trova pur ricordato il sedicente Pontefice Massimo Pomponio Leto, che con i suoi accademici adusava spesso a questi sacri recessi, non certo per illustrare con quelle care memorie la storia del Cristianesimo, ma per offuscarla più presto, e renderla complice, se fosse stato possibile, de’ suoi vaneggiamenti. Ognun sa quali erano i principi della Pomponiana Accademia; e come il suo Pontefice massimo piegasse il ginocchio all’altare di Romolo, volendo che Cristo e la redenzione cedessero il luogo alla voluttuosa letteratura pagana. II Platina fa un bello scusare le bieche intenzioni del Leto, che non trasse profitto di queste sotterranee visite: ma parteggiando egli assai per la nuova Accademia Romana, ognuno vede il valore che può avere la sua difesa. Ad ogni modo, se non fu un deciso novatore e settario, si avrà sempre (come lo giudica l’Autore) per un fanatico pedante.
Tornando alla Liberiana necropoli (cap. XIV), una delle più insigni ed importanti memorie quivi dissepolte, è senza dubbio la bella epigrafe (ricomposta de’ suoi sparsi frammenti dal dotto e paziente Autore), la quale ricorda una Giovina, quae comparavit arcosolium in Callisti (cioè, coemetario Callisti); e che poi morta, fu deposta ad domnum Gaium. Con che si viene a rendere la più splendida testimonianza di storica verità a quanto il ch.mo de Rossi scrisse sul principiare dell’Opera, intorno alla vera postura topografica dell’insigne cimitero di s. Callisto; del qual cimitero la regione Liberiana n’è un lontano svolgimento ed appendice. Talchè «niuno oggi può dubitare (lo dirò con le parole istesse dell’A.) se il cimitero di S. Callisto sia quello, cui ho restituito il nome glorioso, confermatogli dalla scoperta dei sepolcri papali, e di tanti altri storici documenti. Ma se il dubbio fosse possibile, ecco una epigrafe antica, che c’insegna e testifica il nome della necropoli, il cui labirinto a parte a parte descrivo» (p. 260). Non dissimula peraltro che la compra di un arcosolio in questa regione presso la tomba di S. Caio (ad domnum Gaium) potrebbe comparire un anacronismo. L’illustre e santo Pontefice mori a’ 22 di Aprile dell’an. 296: come può dirsi sepolto nella regione Liberiana, non aperta prima del secolo IV? Presentì, ripeto, l’obiezione: ed eccolo a scioglierla. Il venerato Avello subì (ed i martirologii lo accennano) un triplice traslocamento, l’ultimo dei quali fu in questa regione, in questa cripta ove la preziosa epigrafe si rinvenne. Ond’è che la pietosa Giovina potè benissimo comperarsi un Arcosolio, per l’ultimo suo riposo, presso il sepolcro del venerando Pontefice.
Non dirò poi dei dottissimi commenti e della peregrina erudizione epigrafica, onde interpetra, illustra ed ordina (cap. XV) il gruppo delle iscrizioni da lui rinvenute nella Liberiana regione: oltreché eccederei i limiti che mi sono prefissi, temerei di offuscarne più presto, con la mia penna, il vero e singoiar merito. Noterò solamente come dal simbolismo cristiano, rappresentatovi nelle sue fasi, e dalle date consolari di cinque epigrafi fortunatamente rinvenutevi, riesce a stabilire (cap. VI), l’epoca precisa dello svolgimento di questa regione sotterranea tra gli anni 362 e 376.
Dalla esplorata regione Liberiana s’inoltra l’egregio Autore nelle gallerie intermedie tra questa e l’Arenaria già discorsa. Le quali gallerie, mentre segnano i confini tra le due nominate regioni, ei trova che sono ad un tempo congiungimento dell’una con l’altra. Insiste (cap. XVII) su’ caratteri, e cronologici e topografici, che ognuna presenta; e ci mostra quasi a dito il vero limite che le distingue. Le immense cure però e le penose indagini dell’A. non ebbero tuttavia nella esplorazione di queste, adequato premio; perocché, com’ei lamenta, povera cosa sono le iscrizioni e le memorie, che vi potè raggranellare. Nondimeno tutte rende scrupolosamente di pubblica ragione, ed illustrate.
Se a questo punto del Volume che andiamo discorrendo (cap. XVIII), il lettore dà un’occhiata alla Carta topografica2 generale della grande tripartita zona della R. S. che l’A. ha preso in questo tomo ad illustrare, vedrà una regione quasi triangolare, limitata, ad oriente dalla via Appia, a tramontana, dalle cripte di Lucina, e a mezzogiorno dalle aree prima e seconda, del propriamente detto Cimitero di Callisto. È tutta cospersa di gallerie; ed un’area quadrata forma come il centro o nucleo della triangolare zona, dal quale partono varie gallerie, che con i loro laberintici intrecci si allargano e si moltiplicano sopra il resto della trilatera regione, inoltrandosi poi co’ loro prolungamenti nell'Arenaria d’Ippolito e nella Liberiana regione. Ond’è che l’Autore dà a questa il nome di Regione laberintea.
L’esplorazione dell’illustre Archeologo principia, com’è naturale, dal nucleo quadrato (cap. XIX) e dalle molteplici vie, che d’ivi si partono, per far giudizio dell’epoca, più o meno antica, di questa regione Callistiana, non stata fin ora completamente esplorata. Interroga frattanto le forme architettoniche e i monumenti epigrafici che vi ritrova, e con singolare lucidezza di esposizione dei fatti e dei raffronti, per se stessi ardui ed oscuri, ci svela la sua contemporaneità con l’Area prima Callistiana non pure del nucleo, ma e della maggior parte delle vie che da quello si diramano entro il quadrato perimetro; cioè, esser opera del secolo II cadente e del terzo.
Tra i monumenti ivi dissepolti, e che gli furono di lume non scarso a rintracciare la storia e l’epoca di questa Labirintea regione, è singolare un vaso di vetro, colorato in azzurro, ictioforo, ornato cioè di vari pesci e conchiglie a rilievo. E a questo singolare cimelio consacra intiero un Capitolo di profonda illustrazione (cap. XX} che riflette sull’arte pseudo-diatretaria, fiorita in Roma e sul Reno tra il secolo terzo ed il principiare del quarto.
Dichiarato così ed illustrato il piano secondo della Liberiana necropoli, riprende il filo della trattazione del secondo e del terzo, che lasciò in tronco, per seguitare lo svolgimento del secondo più intrinseco e proprio alla regione che illustrava. E dal terzo esordisce (cap. XXI) per completarne l’illustrazione già principiata quando trattò di quella sua parte che al cimitero Soteriano e all’Arenaria d’Ippolito s’attiene. Quindi lo prende a descrivere topograficamente da quel punto, ove oltrepassa i limiti delle due dette regioni, e nella zona triangolare e Liberiana si prolunga. In quanto poi al frutto delle sue esplorazioni, non fu certo condegno alle cure e alle fatiche adoperatevi. Di guisa che gli sconvolti sepolcri e minati, le epigrafi qua e là sbalestrate, o infrante, e confuse con altre da vari punti dei piano superiore precipitatevi ne cuoprono d’impenetrabile velo la istoria e l’epoca precisa di sua formazione; onde non resta altro di certo a sapere che fu scavata posteriormente a quella del piano superiore della seconda area Callistiana, e che da questa, declinante in basso, debb'avere avuto principio ed origine. Nulladimeno aduna sollecito quante reliquie di cimiteriali iscrizioni vi trova, e le più meritevoli commenta ed illustra.
Ed ecco come il ch.mo Autore compie lo studio analitico (e vorrei dire anatomico), e già nei due precedenti tomi avviato, delle regioni centrali e maggiori co’ loro alligamenti, del vasto sotterraneo di s. Callisto. Ma non basta; l’ardimentoso Colombo della Roma sotterranea spinge più oltre le indagini, sino a scuoprirne gli ultimi confini ed appendici.
Muove il passo (cap. XXII) dal lato settentrionale, ed inoltratosi, alcune franate e sconvolte lacinie gli danno per confine un altro Sotterraneo a contatto del Callistiano, ma da questo affatto separato per una tufacea parete. E poiché nulla fugge inosservato all’occhio intelligente e scrutatore del de Rossi, tosto ei volge il pensiero alla causa di siffatta separazione tra’ due sotterranei, che pur sono a immediato contatto tra loro. E la ragione la trova, non in una diversità di religiosa credenza, come si potea pensare; ossia, in una separazione scismatica ed ereticale; ma, secondo avvisa dai caratteri del sotterraneo medesimo, e dai dati topografici e monumentali, tutta la ripone nella forma amministrativa e disciplinare di cotesta speciale necropoli nata col secolo IV. E con larga erudizione dimostrandolo, conclude che: «cotesto sotterraneo cimitero ebbe propri fossori, architetti, prepositi, con assegnazione di limiti e separazione del contiguo Callistiano: né punto è improbabile che incorporato fosse al Cimitero di Balbina» (p.339).
Indi continuando a percorrere i limiti occidentali (cap. XXIII) trova esser questi marcati e costituiti dal declive istesso della collina, che forma ad un tempo il limite naturale del cimitero di s. Sotere. Se non che, piegando alquanto verso mezzogiorno, trova un sistema di sotterranee vie con propria scala; le quali formano un piccolo, ma non ignobile, cimitero. Ed argomenta che, se l’origine può con fondamento ascriversi al secolo terzocadente, il passaggio di congiungimento si mostra, per i suoi avanzi monumentali (come la tegola improntata della data: saeculo Constantiano) esser dell’epoca Costantiniana, o vogliam dire del secolo quarto.
Da mezzodì poi a levante (cap. XXIV) le gallerie che partono e dalla regione quarta di s. Sotere e dalla terza di s. Callisto si perdono e vanno a morire in ispelonche arenarie. Se non che di quelle che corrono tra le due dette regioni, non essendo compito lo sterro, poche iscrizioni potè raccorre ed illustrare. Delle spelonche poi arenarie e delle gallerie, che ad esse fanno capo partendo dall’area terza Callistiana, ne parlò nel precedente tomo3 per quanto lo permettevano le escavazioni allora operate. Oggi, che sono desse compite, vi torna sopra, e, riassumendo il già detto, ricorda come in quell'arenaria incontrasi un ascosissimo nascondiglio, cui si accede per una propria scala e per vie labirintiche ed oscure: provando dai dati che gli offrono le cimiteriali iscrizioni, non essere cotesto recondito ipogeo posteriore d’origine al Secolo III; e di aver servito di più sicuro asilo ai cristiani, durante la cruda persecuzione di Settimio Severo. Oggi, che lo sterro delle gallerie e di tutta cotesta appendice sotterranea del Callistiano cimiterio è esaurito, trae nuova conferma da altre ventisette iscrizioni, esaminate alla stregua dei criteri epigrafici, cioè: avuto riguardo alla maggioranza numerica, tra le greche e le latine; al predominio, o no, dei nomi gentilizi; al simbolismo prevalente e ai caratteri paleografici; trae, ripeto, nuova e splendida conferma del già esposto nel precedente tomo. Di coteste iscrizioni poi una sopra tutte richiama in singolar modo la sua attenzione. È l’epitaffio di una pia Ianuaria; sul quale vede scolpita, tra altri simboli, l’immagine di una lucerna di forma affatto singolare ed insolita nei sepolcri cristiani. Ha infatti l’aspetto di nave con sua poppa ricurva e terminante in capo umano con orecchie asinine. Forma così strana richiamò tosto alla mente dell’eruditissimo Autore la satirica ed infame pittura del Dio de' cristiani, inventata, come accenna Tertulliano, da un pagano passato al Giudaismo in una città dell’Oriente, e ripetuta in Roma nel palazzo dei Cesari sull’esordire del secolo terzo. Svolgendo pertanto con ampia erudizione questo argomento, rispetto alla nave-lucerna, conclude che «anche il cristiano artefice dell’epitaffio di Januaria abbia voluto ritorcere contro Satana ispiratore di quella stupida satira la mostruosa immagine dell’Onokoetes: e farne quella del mostro infernale, il cui rozzo capo pende come trofeo dall’acrostolio della mistica nave-lucerna» (p. 3Si).
Chiudono finalmente la immensa Callistiana necropoli a oriente-levante, quelle fosse ed intrigate gallerie della regione laberintea, anonima; le quali si protendono dall’area seconda di Callisto alle cripte di Lucina. E come già le descrisse topograficamente l’egregio fratello Michele nell' Analisi architettonica nel II tomo, qui (cap. XXV) il ch.mo Autore non fa che riassumerne il completivo esame storico e monumentale.
Cotesta irregolare regione, o folta rete di gallerie, ha due piani principali: ma il più povero d’istorica importanza è il secondo, semplice sepolcreto senza cripte o cubicoli. Nulladimeno tutte le percorre, bisognando carponi, sin dove le frane e gl’interramenti non gli arrestano il passo: ne descrive minutamente le viuzze co’ loro contorcimenti; e ne illustra tutte le iscrizioni cimiteriali, traendone dagli epigrafici caratteri l’epoca di sua origine e svolgimento, in mezzo al secolo IV, e precisamente a’ tempi del papa Liberio, il cui nome legge nella data d’uno di cotesti sepolcri.
Più folta trova la rete di gallerie (cap. XXVI) che costituiscono il sistema del primo piano. Esse s’incontrano nella grande necropoli Callistiana, diramandosi sulle cripte di Lucina, nell’Arenaria d’Ippolito, sulla regione Liberiana e sull’anonima triangolare di Callisto, e finalmente vanno a perdersi là ove si congiungono la prima e quarta regione di s. Sotere. E di queste, similmente, avendone già dichiarata nel tomo precedente4 ed in questo5, la parte che si attiene al cimitero di s. Sotere e all’area prima di Callisto, qui non gli resta che a ragionare di quel tratto, che dalla regione laberintea va ai confini del cimiterio Soteriano; e che è (dirò con le istesse sue parole) «ultima faticosa parte del sotterraneo callistiano viaggio».
Perchè poi l’esame di questo ampio ed intrecciato laberinto di gallerie, franate o devastate ed impervie, squallidissime in generale, restasse meno arduo ed arido, il ch.mo Autore, che alla profonda dottrina unisce sempre limpidezza di esposizione, ci offre del complicato piano la pianta icnografica, e lo prende a esaminare in sezioni, o gruppi, di gallerie. Di ognuna n’esplora le vie, e stabilisce la provenienza loro e intreccio. Illustra i monumenti d’ogni regione che v’incontra, e massime epigrafici, greci e latini. Nulla lascia nel dubbio o all’oscuro. Vi trova un ebraico epitaffio (cosa singolarissima nei cimiteri cristiani) e non esita a credere che il giudeo Schephael, di cui quell’epitaffio segna l’avello, dovett’essere un convertito dal giudaismo alla fede cristiana: gliel dice aperto il monogramma di Cristo, entro corona trionfale, graffito sulla calce fresca insieme al nome giudaico.
Non dirò di più: lasciando ben volentieri al lettore vedere nell’opera quello che io ridir non saprei in pochi tratti; tutte vo’ dire le sottili investigazioni e l’erudizione svariatissima che il ch.mo Autore spiega largamente nell’esame e dichiarazione di questo vasto ed intricatissimo piano, a dimostrarne l’origine e svolgimento tra il III e V secolo; e a dar con ciò compimento all’analisi illustrativa, avviata nei due precedenti tomi, di tutta la sotterranea necropoli di s. Callisto.