Rivista di Scienza - Vol. II/La dinamica della divisione cellulare mitotica
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LA DINAMICA
DELLA DIVISIONE CELLULARE MITOTICA.
Le varie fasi attraversate dalla nostra conoscenza intorno alla struttura e all’attività della cellula vivente corrispondono ai successivi progressi dei nostri mezzi di studio: il microscopio e le manipolazioni tecniche del materiale. Alla fine del secolo XVII il microscopio semplice aprì un nuovo mondo di minuti esseri viventi, quali si vedono con un ingrandimento di circa 30-50 diametri. Venne poi, è vero, utilizzato un ingrandimento maggiore, ma questo, sebbene rivelasse organismi ancora più minuti, non mostrava nessuno ulteriore dettaglio riconoscibile in quelli già veduti; non solo, ma rendeva possibili concezioni così false della struttura da far descrivere l’umile spermatozoo con forma e conformazione umane. Tuttavia esso permise una certa percezione della fine struttura degli organismi superiori; e, alla fine di questo primo periodo di circa 130 anni, dobbiamo il primo riconoscimento della cellula come l’unità di struttura, per lo meno nelle piante.
L’introduzione del microscopio composto negli ultimi tempi di questo primo periodo apportò qualche vantaggio, quale un campo visivo più esteso e un ingrandimento alquanto più forte; ma in realtà non permise d’utilizzare effettivamente degli ingrandimenti più forti e di riconoscere dettagli degni di fede fino a che le aberrazioni cromatiche non furono corrette da Amici e da Lister. Questo perfezionamento fu applicato durante la prima metà del secolo XIX da pochi costruttori di grande abilità, e diede modo ai ricercatori di riconoscere che il contenuto delle cellule è la vera unità vivente, — progresso decisivo nella nostra conoscenza dovuto a Dujardin e Von Mohl, Schleiden e Schwann. Ma mentre le minute cellule viventi dei protisti, e le parti di organismi più complessi, ma delle stesse microscopiche dimensioni, potevano essere studiate bene, si trovò invece che, nel preparare i minuti frammenti degli organismi più elevati, quali si richiedono perchè sia possibile il loro esame al microscopio composto, avevano luogo dei cambiamenti, capricciosi e variabili, e che specialmente andava perduta la trasparenza delle sostanze viventi, e con essa quelle leggere differenze di rifrangenza per le quali arriviamo a distinguere una struttura nella cellula vivente isolata.
Fu solo nel terzo quarto del secolo scorso che, per via di tentativi, furono trovati dei mezzi di «fissare» in maniera definita e costante il tessuto da esaminare, e di renderlo trasparente mediante imbibizione di particolari sostanze, nel mentre che le differenze di rifrangenza sono state rimpiazzate da differenze dell’affinità elettiva delle varie parti del tessuto verso particolari colori. Verso la fine del terzo quarto del secolo l’introduzione generale degli obbiettivi ad immersione costituì un ulteriore progresso1. Verso quell’epoca Fol descrisse per la prima volta i fenomeni essenziali che hanno luogo nella cellula e nel nucleo durante la divisione cellulare ordinaria. Egli scriveva: «Ad ambo i lati di questo residuo del nucleo si mostrano degli accumuli di plasma, i cui granuli fittamente raccolti si dispongono secondo due figure a forma di stelle e di astri regolari. I raggi di questi astri sono costituiti perciò da file di granuli, disposti l’un dietro l’altro in direzione rettilinea. Parecchie di tali linee vanno da una stella o da uno dei centri di attrazione all’altro centro seguendo una linea ad arco. L’immagine complessiva è estremamente chiara e ricorda vivamente il modo di disporsi della limatura di ferro intorno ai due poli di un magnete...... Io mi attengo interamente alla teoria del Sachs secondo la quale la divisione ha luogo grazie all’esistenza di punti centrali di attrazione, e non per ragioni teoretiche, ma perchè ho veduto questi centri di attrazione».
Nelle pagine seguenti ci proponiamo di ricercare, per quanto è possibile, le forze che entrano in giuoco durante la divisione cellulare mitotica ordinaria, o, come di solito vien detta, della divisione per cariocinesi, e di distinguere le loro rispettive azioni negli stadii successivi del processo. In tal guisa ci proveremo ad indicare l’estensione e il valore delle nostre conoscenze attuali, e le lacune che debbono ancora esser colmate.
Con le poche figure, concesseci in queste pagine, non è facile poter dare un’immagine chiara dei fenomeni della divisione cellulare mitotica neppure alle più colte tra le persone colte che non siano già al corrente della cosa. Però le grandi linee del processo sono date dalla maggior parte dei trattati elementari di Biologia o di Fisiologia, e si trovano anche in molte opere semipopolari. Per conseguenza assumiamo che il lettore possegga una conoscenza generale del soggetto.
Avanti le ricerche di Fol tutto quello che si sapeva dei cambiamenti presentati dal nucleo e dal citoplasma era che il nucleo diventava indistinto, che una peculiare struttura a forma di manubrio si stendeva lungo l’asse della cellula, che due nuovi nuclei apparivano rispettivamente ad ogni estremità di questa figura e che la cellula si divideva perpendicolarmente all’asse. Ma in una dozzina di anni la maggior parte dei fatti che noi siamo per esaminare sono stati assodati in tutti i loro tratti essenziali e combinati in uno schema praticamente completo.
Durante la vita della cellula ossia nel corso del suo funzionamento, fra la sua formazione e la sua divisione finale, il nucleo, nella sua condizione funzionale — frequentemente chiamata «di riposo» — ha la seguente struttura (Fig. 1, A): dentro la parete nucleare sta un sottile straterello di protoplasma («nucleoplasma», «linina») che si continua con un reticolo della medesima sostanza, che sembra trovarsi in movimento più o meno continuo. Questo plasma si colora poco intensamente, se pure non si colora affatto, coi colori basici, ed è perciò chiamato «acromatico», ma in esso stanno dei granuli intensamente colorabili, chiamati «sostanza cromatica» o «cromatina». Oltre di queste sostanze troviamo nel nucleo una o più gocce sferiche di sostanza colorabile, libera nel succo nucleare, o addossata ad un filo del reticolo di linina: questa è il «nucleolo», che sembra non essere altro che una riserva di cromatina, che sarà disciolta e ridepositata quando sarà necessario.
All’avvicinarsi della divisione — all’epoca cioè che possiamo considerare come quella della maturità o dell’età adulta Fig. 1 della cellula e del nucleo — i granuli di cromatina crescono di grandezza, diventando approssimativamente uniformi e uniformemente distribuiti lungo i filamenti acromatici. Questi filamenti perdono ora le loro irregolari anastomosi e la loro tessitura reticolare, assumendo la forma di un filamento continuo rientrante in sè stesso, il quale ben presto si spezza in un certo numero di pezzi detti «cromosomi». Il reticolo però può risolversi nei cromosomi senza passare per lo stadio a filamento unico continuo o stadio di gomitolo (Fig. 1, B-D). Le
condizioni fisiche che determinano queste trasformazioni ci sfuggono completamente, e noi possiamo soltanto paragonare la formazione dei cromosomi alla segmentazione trasversale di altre strutture viventi di forma allungata. I fenomeni susseguenti consistono nell’ingrandimento dei granuli di cromatina che compongono i cromosomi, e nella loro scissione in due: essi diventano ovali, si strozzano nel mezzo e si dividono in due granuli sferici. Il piano di divisione dei granuli è perpendicolare all’asse traverso del cromosomo. Questa scissione dei granuli ha luogo senza dubbio nelle medesime condizioni che determinano la divisione di cellule affatto sferiche, p. es., quelle di un micrococcus, o dei granuli di clorofilla, ecc. La sostanza acromatica dei cromosomi sembra concentrarsi attorno ai granuli, così che il filamento diventa moniliforme, a guisa di un rosario, salvo che ogni grano è rappresentato da una coppia di grani: per parlare esattamente troviamo due coroncine parallele unite da una stretta striscia intermedia di sostanza acromatica, in guisa che una sezione fatta attraverso un paio di grani collaterali ha la figura di un . Noi possiamo attribuire con una certa attendibilità questa parziale scissione del cromosomo all’attrazione esercitata con uguale intensità da ogni granulo di cromatina sulla circostante acromatina; e la persistenza della striscia riuniente longitudinale alla vischiosità dell’acromatina che controbilancia esattamente l’apparente repulsione dei granuli. Questi ultimi hanno adesso terminato l’opera loro e apparentemente si dissolvono nel cromosomo, che diventa uniformemente colorabile, sebbene può ritenere un contorno irregolare dovuto alla precedente struttura a rosario. L’accrescimento e la finale risoluzione dei granuli di cromatina è un argomento per rigettare l’ipotesi ch’essi rappresentino qualcosa di simile alle entità viventi o «unità fisiologiche» di Hebert Spencer, o agli «idii» di Weismann, se dobbiamo dare qualche importanza a ciò che vediamo con i nostri occhi e con l’aiuto dei metodi migliori, il solo genere di prove di cui disponiamo.Ciascun filamento è adesso parzialmente fesso per il lungo in due cromosomi figli, ed è probabile che le zone successive, da un’estremità all’altra di ciascuno dei cromosomi figli, siano identiche alle zone corrispondenti dell’altro; e che ciascuna zona abbia le sue proprie qualità che devono essere trasmesse all’uno o all’altro dei nuclei figli. Se questo è il caso, e se è di primaria importanza nella divisione cellulare che ogni porzione di linina debba essere trasmessa in parti assolutamente equivalenti alle due cellule figlie, la funzione dei granuli di cromatina sarebbe posta in chiaro, poichè, per usare la terminologia degli scolastici, la loro «causa finale» è di effettuare questa bipartizione. In effetti è difficile immaginare quali altri mezzi potrebbero risolvere un così difficile problema fisico quale è la fenditura longitudinale di un filamento vischioso. Il completamento di questa divisione, e la ripartizione delle due metà sorelle di ogni cromosomo fra le due cellule figlie sono compiuti poi per mezzo dell’azione dinamica del campo cellulare.
Il «campo cellulare» nella sua forma più completa si trova in talune crittogame e nei metazoi (Fig. 1, E). La sua sezione piana è, come fu notato dal Fol, la stessa di quello di due poli magnetici opposti o di segno contrario, com’è materializzato dall’introduzione della limatura di ferro; ma noi dobbiamo tener presente che in un campo magnetico completo vi è molto di più di quanto la limatura non mostri, poichè, come si dimostra in ogni trattato sul magnetismo, il campo cellulare nello spazio può essere rappresentato dalla rotazione di questa sezione piana attorno al suo asse longitudinale. La nostra migliore comparazione è quella di due conduttori portanti delle cariche di elettricità statica eguali e di segno contrario, sospesi in un medium dielettrico dentro un involucro cavo conduttore di forma sferoidale. In un campo così fatto le linee di forza hanno la medesima distribuzione che hanno nelle figure mitotiche: alcune passano da un conduttore all’altro divergendo verso l’equatore in modo da formare un fuso, altre irradiano dai conduttori terminando nella superficie interna dell’involucro, costituendo due aster polari. I conduttori con le cariche rappresentano i centrosomi. Se il medio dielettrico, in così fatto campo, fosse uniforme, le linee di forza sarebbero invisibili; la loro distribuzione potendo esser resa manifesta solo introducendovi delle sostanze di diversa permeabilità elettrica (capacità specifica d’induzione), le quali al tempo stesso devono modificare la distribuzione delle linee di forza. Così il cammino di un raggio di luce è invisibile quand’esso attraversa un medio otticamente omogeneo; e le particelle della polvere dell’aria che rivelano il passaggio dei raggi solari nell’aria, disperdono ed alterano la traiettoria di quei raggi. Alla stessa guisa, quando adoperiamo la polvere magnetica per dimostrare la posizione delle linee di forza magnetiche dobbiamo tener presente che per la sua presenza essa altera questa posizione.
In questi campi fisici usiamo sospendere delle particelle di polvere onde rendere il campo visibile; per il magnetismo, ferro o magnetite; per l’elettricità dei fili di seta, cristalli di solfato di chinina od anche particelle conduttrici (la cui permeabilità è praticamente infinita), sospese in un liquido di minore permeabilità quale la trementina, ecc. Le catene materiali formate da queste particelle hanno dei caratteri particolari dipendenti in gran parte dalla vischiosità del medium, beninteso fino a che le intensità del campo rimangono inalterate. Io le ho chiamate «catene di forza» per distinguerle dalle «linee di forza», che sono mere astrazioni geometriche. Evidentemente i filamenti che costituiscono il fuso e gli aster nel campo mitotico sono da considerare come catene di forza. Essi hanno il carattere di dielettrici flessibili isolati di elevata permeabilità, ossia di cattivi conduttori. Possiamo chiamarli induttori flessibili, un termine che si raccomanderà ad ogni elettricista. La forza che produce la figura mitotica del campo cellulare è stata da noi altrove denominata «forza mitocinetica», o in breve «mitocinetismo».
Il campo cellulare è limitato dall’Hautschicht, o strato periferico, rappresentante l’involucro cavo conduttore, che agisce similmente ad uno schermo perfetto; poichè campi cellulari adiacenti non hanno alcuna influenza orientatrice direttiva l’uno sull’altro. Il protoplasma esteriore si comporta come se esso, e le sue vacuole, globuli grassosi, ecc., fossero mitocineticamente omogenei. Ma il citoplasma internamente all’Hautschicht si è trasformato in un fuso di fili e in fibre raggianti, le quali, passando attraverso al plasma intermedio, terminano, come potrebbe inferirsi a priori per ragioni teoriche, nell’Hautschicht penetrandovi in direzione radiale. Il mezzo intermedio del fuso sembra essere un liquido molto vischioso. Per un lato assai importante le catene cellulari differiscono da quelle inorganiche: esse non sono formate unicamente mediante separazione, ma spesso crescono a partire dai centrosomi. Per tutti gli altri rispetti essi hanno le medesime proprietà. Nella cellula sembra spesso che la regione del fuso sia separata dal citoplasma periferico «omogeneo» da uno strato delimitante di plasma che ha la proprietà di essere semipermeabile all’osmosi, similmente alle membrane vacuolari di De Vries, e alla stessa Hautschicht: noi chiamiamo questo strato il «mantello».
Talune volte i raggi degli aster non arrivano all’Hautschicht ma terminano nelle pareti divisorie fra gli alveoli del citoplasma: in questo caso essi esercitano una trazione su di quelle ed allungano le loro maglie. D’altro canto là ove essi metton capo ai centrosomi la loro terminazione è brusca e gli alveoli del centrosoma non mostrano alcun segno di deformazione che indichi una trazione. Ciò indica chiaramente che la parete del centrosoma è molto elastica e funziona come uno schermo, e che inoltre la turgescenza del suo contenuto è abbastanza forte da resistere alla trazione, e forse ancora che tutte le trazioni esercitate tutto attorno sul centrosoma si fanno equilibrio, almeno nella maggior parte dei casi.
Una volta costituitasi, la figura mitotica può crescere, i suoi centrosomi allontanarsi l’uno dall’altro vincendo la tensione del fuso (Fig. 1, B-F); talune volte tuttavia le forze antagoniste possono riuscire a tirar fuori dal centrosoma una specie di bozza ovale, con i suoi alveoli allungati nella direzione della trazione. Véjdowsky e Mrázek han mostrato squisitamente questo fenomeno nelle loro figure e nei preparati della segmentazione dell’uovo fecondato del verme d’acqua dolce Rhynchelmis, ove i centrosomi assumono la forma di un 8 con l’ovale più piccolo rivolto verso il fuso2.
In questo caso una sola conclusione è possibile: che i centrosomi, costituiti come sono di una sostanza vischiosa, assumono questa forma in conseguenza delle trazioni antagoniste: la trazione meccanica del fuso e quella del citoplasma periferico; e che la figura è dovuta alla vischiosità del contenuto del centrosoma e all’esistenza di una parete contrattile ed elastica. L’allontanamento dei centrosomi può essere aiutato, o, in taluni casi, determinato, dalla turgescenza della cavità del mantello, sebbene non penso che questo si possa applicare al Rhynchelmis; questa supposizione certamente spiega la forma panciuta del fuso dopo l’allontanamento dei centrosomi, come per es. nell’endosperma di Caltha. L’inanità dei tentativi di spiegare tutti i complessi fenomeni della divisione cellulare mediante una sola forza è adesso ovvia.
Nelle divisioni «meiotiche» che han luogo nel processo di «maturazione» dell’uovo e di spermatogenesi dei Metazoi, e nella formazione delle spore delle piante a fiori (fanerogame) e delle archegoniate (muschi, felci, gimnosperme), i cromosomi che passano all’equatore sono non solamente sdoppiati ma quadrupli; poichè oltre ad avere la fenditura longitudinale (a questo momento di solito impercettibile) essi consistono di due segmenti irregolari uniti dalla sostanza acromatica solamente alle due estremità, od occasionalmente da un ponte plasmatico nel mezzo. Adesso si susseguono due divisioni dette di maturazione. Nella prima di queste, detta divisione eterotipica, all’equatore del fuso la divisione principale si accentua e i segmenti accoppiati divergono fra loro per quanto è possibile, formando un anello se le congiunture sono alle estremità dei segmenti, o un X o un H se esiste il ponte transverso mediano. In questo 1° fuso la divisione principale vien completata; e man mano che i V divergenti si avvicinano ai poli la scissione trasversa già iniziata si accentua ma non viene ancora completata. Nella divisione successiva la scissione, preparata da così lungo tempo, si compie, così che questa divisione, acconciamente chiamata «omeotipica» avviene col meccanismo solito. È ovvio che tanto per la divisione meiotica che per la divisione ordinaria il campo mitocinetico fornisce una spiegazione adeguata. La formazione dei cromosomi quadrupli della divisione meiotica è adesso studiata da parecchi lati da competenti osservatori, e la convergenza delle vedute ci fa sperare di ottenere i dati per una soluzione definitiva.
Abbiamo veduto come il campo cellulare compie un così rimarchevole risultato quale è la fenditura longitudinale di un filamento vischioso. Non conosciamo alcun meccanismo capace di compiere ciò se non una forza duale che agisca nel modo che abbiamo descritto; e possiamo perciò inferire che la funzione o la «causa finale» dei complessi fenomeni della divisione cellulare mitotica sia appunto l’esecuzione di questo compito. Un’ulteriore deduzione, già riferita, è la funzione puramente fisica della cromatina, l’impregnazione del protoplasma con una sostanza di elevata permeabilità alla forza, in guisa da mutarlo in un induttore. Giacchè la sostanza acromatica è deficiente nei nodi dove stanno inclusi i granuli di cromatina, ove noi dovessimo annettere qualche significato da un punto di vista morfologico alla struttura a rosario dei cromosomi primitivi, dovremmo riguardare gl’internodi tra i granuli, come rappresentanti gli «idi», se pure gli idi esistono. Boveri ha dato il suo autorevole appoggio a questa veduta emessa la prima volta da noi nel 1898.
È importante notare che, nell’accrescimento del fuso, alcune delle sue fibre possono non andare da un polo all’altro, ma terminare ai cromosomi; però queste fibre brevi non sono costanti, mentre quelle complete non mancano mai. Su queste ultime i cromosomi scivolano come su dei fili metallici, ma le fibre brevi si riducono a nulla quando i cromosomi figli sui quali esse terminano, si avvicinano ai centrosomi. Così esse danno l’illusione di essere delle fibre muscolari che tirino i cromosomi verso i poli; mentre in realtà la loro azione è totalmente differente.
Il nucleo figlio è ricostituito dai cromosomi raccolti a ciascun polo nel modo seguente (Fig. 2, H): ogni cromosomo figlio si gonfia e diventa vacuolato, e può assumere subito la forma di un nucleo in riposo, e poscia tutti questi nuclei formati da cromosomi singoli si fondono per la confluenza delle loro pareti in un nucleo reticolato del tipo originario; la fusione potendo aver luogo fin dall’inizio della vacuolizzazione dei cromosomi. Nella maggior parte dei casi qualsiasi traccia della multiplicità originaria di formazione si perde, salvo che una nuova divisione sopravviene rapidamente dopo il completamento della prima.
La polarizzazione della cellula, dipendente dal mitocinetismo scompare ben presto: una costrizione equatoriale appare nello strato periferico, nell’Hautschicht, la quale approfondendosi separa le due cellule figlie: durante questo processo le fibre del fuso diventano lasse, e di solito tosto si fondono nell’ordinario citoplasma. Il processo si vede meglio nelle due cellule figlie dell’uovo fecondato, ove le cellule possono arrotondarsi indipendentemente l’una dall’altra; ivi, come per parecchie generazioni cellulari consecutive le giovani cellule occupano, prese insieme, uno spazio molto più piccolo della loro progenitrice, ossia dell’uovo non segmentato, contraendosi per l’escrezione di un liquido acquoso. Potremmo attribuire la constrizione e la bipartizione del corpo cellulare ad una concentrazione attorno ai nuclei figli, agenti come due poli dello stesso segno, se non fosse che un simile solco equatoriale occorre anche nelle cellule in divisione dei tessuti vegetali, dove la nuova superficie divisoria non può non rimanere piana e dove non ha luogo alcuna contrazione. Comunque sia qui la forza è totalmente differente dal mitocinetismo. Sembra dunque che le forze utilizzate dalle cellule embrionali dei metazoi e quelle utilizzate dalle cellule delle piante differiscano le une dalle altre o per la loro natura o per il modo di applicazione; ma che lo stesso fine — divisione del citoplasma — sia raggiunto per vie differenti.
Nella precedente analisi, mentre abbiamo seguito le trasformazioni dei cromosomi, abbiamo intenzionalmente passato sotto silenzio quelle del campo citoplasmatico, ciò che però non affetta menomamente lo studio del campo cellulare attivo: ci occuperemo adesso di questo soggetto. In primo luogo abbiamo notato che non tutto il plasma cellulare è mitocineticamente eterogeneo: il citoplasma periferico è omogeneo e risponde solamente per via indiretta e mediata alla forza mitocinetica, ossia per mezzo della trazione meccanica dei raggi dell’aster; esso ha la medesima permeabilità dei granuli in esso contenuti e del liquido dei suoi alveoli. Il rimanente citoplasma, quello cioè che, sotto quest’azione, si trasforma nel campo cellulare, deve essere di natura alquanto diversa. Ciò per la prima volta fu mostrato da Boveri che diede ad esso il nome di «archoplasma»; il nome «kinoplasma» dello Strasburger è, come crediamo, posteriore, ed ha un significato più ampio. Questo archoplasma si distingue spesso nelle cellule in riposo dei metazoi come una piccola massa ovoidale di plasma adiacente alla membrana nucleare, e che di buon’ora assume la forma di una figura mitotica in miniatura, con un paio di centrosomi, ognuno contenente il suo granulo centrale o «centriolo», e circondato dalla sua corona di raggi, e riunito al suo compagno mediante un fuso centrale. Man mano che il nucleo matura per la mitosi, questo fuso cresce a spese dell’adiacente citoplasma o delle riserve in questo contenuto: questa ultima fonte di accrescimento è specialmente appariscente nelle cellule embrionali, dove i granuli vitellini scompaiono man mano che l’archoplasma si accresce. Quando la parete nucleare si dissolve, la massa archoplasmatica è abbastanza grande perchè il contenuto del nucleo possa essere ricevuto all’equatore.
Le varie fasi dell’accrescimento dell’archoplasma sono bene mostrate nel Rhynchelmis, dove la parete del centrosoma originario scompare, e il suo contenuto, prima alveolare, diventa decisamente raggiato, mandando fuori delle ramificazioni radiali simili ai pseudopodi di un Eliozoo, ben addentro nel citoplasma indifferenziato. Ma questo cambiamento non si estende al di dentro verso il centro: poichè prima che le basi dei raggi possano raggiungere il centriolo, appare ad una breve distanza un nuovo involucro che limita un nuovo centrosoma, che cresce e conserva il suo carattere alveolare. Noi possiamo considerare questo accrescimento del centrosoma e dell’astrosfera esterna e dei suoi raggi come il campo di una forza semplice centrata, ben distinto dal campo mitocinetico che presenta una dualità di centri. Se questo modo di accrescimento del centrosoma si applica a tutte le cellule dei metazoi è molto incerto.
Nelle piante superiori mancano i centrosomi: le estremità del fuso convergono in un punto, o in una regione mal differenziata del citoplasma, di estensione variabile e talune volte così ampia che il fuso prende la forma di un barile o anche di un cilindro. Negli organi vegetativi l’archoplasma è dapprima visibile sotto forma di un paio di masse ovoidali a due poli opposti del nucleo, e il fuso è chiaramente visibile solo quando scompare la membrana nucleare: la massa polare della cellula figlia scompare durante lo stadio di riposo. Nelle divisioni meiotiche delle piante superiori il processo è differente. Attorno al nucleo si vedono delle differenziazioni filamentose del citoplasma, dapprima radiali, ma in seguito tangenziali; questi filamenti si riuniscono in fasci che convergono verso i due poli della cellula, e quando la parete nucleare scompare essi hanno la forma di fusi situati fianco a fianco e paralleli. I punti terminali dei fusi adiacenti allora si avvicinano l’uno all’altro lateralmente fino a che alla fine si fondono in un fuso unico munito di estremità ben appuntite. Il processo complessivo è qui di difficilissima interpretazione noi dobbiamo astenerci dal fare sia pure un tentativo di spiegazione. Anche qui è ovvio che la forza che avvicina le estremità «dello stesso segno» dei fusi di catene di forze dev’essere distinta dalla forza duale che trova la sua espressione nel fuso medesimo.
Nelle cellule vegetali l’archoplasma sembra formarsi ex novo ad ogni divisione; nelle cellule dei metazoi, dove il centrosoma persiste, esso si riproduce così: il centriolo si divide, ed attorno a ciascuno dei centrioli appare un nuovo centrosoma, con una corona di raggi divergenti e unito al suo fratello per mezzo di un fuso. Così fin dalla prima loro formazione i centrosomi posseggono ciò che nella terminologia elettrica possiamo chiamare delle cariche eguali e di segno contrario. Ora noi non conosciamo alcun fenomeno fisico analogo a questa polarizzazione in senso opposto che entra in iscena nella separazione di corpi praticamente identici4.
Con ciò abbiamo seguito il giuoco delle forze nella divisione cellulare attraverso le sue fasi successive, messo in azione volta a volta in un ordine determinato.
Possiamo raggruppare queste forze in categorie separate:
Se la cariocinesi fosse stata conosciuta verso il 1870 non vi sarebbe stata alcuna scuola antivitalistica fra i fisiologi dell’ultimo quarto del secolo XIX.
È stata nostra cura di mostrare le enormi lacune delle nostre conoscenze: non deve essere dimenticato che tanto più intensamente s’irradia la luce che noi apportiamo nell’esplorazione della natura, tanto più tenebrose saranno le profondità ove la luce non giunge.
- Università di Cork (Irlanda).
Note
- ↑ Verso il 1880 fu introdotta l’immersione omogenea da Stephenson, Abbe e Zeiss, e poco tempo dopo i due ultimi resero più completa la correzione delle aberrazioni cromatiche dovute alla dispersione, mediante l’introduzione dei sistemi apocromatici.
Questi due passi hanno perfezionato il microscopio fino ai limiti della possibilità teorica; ma queste ultime aggiunte ai nostri mezzi di studio non hanno rivelato nulla che abbia importanza per il presente articolo; perchè lo studio dettagliato della formazione e della risoluzione dei cromosomi esorbita dal suo scopo. - ↑ Grazie alla cortesia del prof. Véjdowsky ho avuto l’opportunità di vedere parecchi dei preparati figurati da lui stesso e dal dott. Mrázek, e posso fare testimonianza della assoluta accuratezza delle loro figure singolarmente elaborate (Arch. f. mikr. Anat.; vol. LXII, 1903).
- ↑ La signora Marcella Boveri ha fatto una interessantissima osservazione concernente alcune divisioni in cui, se ci è permesso di esprimerci in modo poco corretto, il gruppo equatoriale di cromosomi si forma più vicino ad uno dei poli: ella trova che tutti quanti i cromosomi si muovono verso questo polo; ma che man mano che vi si avvicinano, la repulsione tra le due metà di ciascun cromosomo si accresce tanto da completare la fenditura, e i cromosomi figli, affatto indipendenti e raddoppiati di numero, raggiungono quel polo ove formano un unico nucleo figlio dotato d’un numero di cromosomi doppio del normale, che è poi perpetuato nelle divisioni successive. È ad un processo di questo genere, forse, che noi dobbiamo ascrivere il numero completo di cromosomi nei nuclei degli embrioni «merogonici».
- ↑ Ma una lievissima differenza del carattere della superficie o della composizione fra due conduttori isolati che si tocchino è sufficiente a determinare un campo elettrostatico fra di loro quando vengano separati.