Rivista di Scienza - Vol. I/Il carattere delle leggi economiche
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | La fisiologia vegetale nei suoi rapporti con le altre scienze | Questions pédagogiques: L'enseignement secondaire | ► |
IL CARATTERE
DELLE LEGGI ECONOMICHE.
Fin dai tempi più antichi la parola «legge» ha avuto tre significati differenti. Da principio si riferiva soltanto a ciò che viene stabilito dall’uomo e poi al contrario si usò per indicare ciò che è indipendente dalla volontà dell’uomo. Così si parlava di leges duodecim tàbularum e nello stesso tempo di leges natura. E la contraddizione tra questi due significati trovava la spiegazione con l’intervento di un terzo significato intermedio, per il quale la legge si considerava come l’emanazione di un ente supremo, che dettava delle leges divina. Per gli stoici, infatti, natura e divinità erano la stessa cosa, onde lo leggi divine erano anche leggi di natura. E la concordanza tra naturale e divino continua anche nelle epoche successivo, finche nel secolo XVII, dando un concetto nuovo ad un’espressione vecchia, si comincia a parlare di leggi naturali, che agiscono automaticamente, che non sono sottomesse a variazioni e che si applicano alla fisica e alla matematica1. Nel procedimento storico, dunque, dalle leggi emanate dall’uomo si risale alle leggi emanate da Dio, e quando l’involucro teologico sparisce, le leggi divine divengono leggi naturali, a cui necessariamente è sottomesso l’intero universo, onde l’idea di legge scientifica non è che una derivazione dal significato di legge nel senso di misura legislativa, giacché osservando che un fatto si riproduce invariabilmente nelle stesse circostanze e accompagna in modo inevitabile certi altri fatti, compariamo subito questa concordanza ad un atto che sarebbe stato prescritto in antecipazione e per sempre, a un ordine che sarebbe stato imposto alla natura delle cose da una potenza superiore e le diamo il nome di legge2.
La legge scientifica non esprime semplicemente una verità generale, che sia valida senza eccezioni, come quando si dice che la somma degli angoli di un triangolo è eguale a due retti; non indica solo una uniformità osservata in ogni caso nelle manifestazioni della realtà, come quando si dice che l’oro pesa 19 ½ volte l’ugual volume d’acqua, che gli uccelli fanno uova, o che i pesci respirano con le branchie; non denota la successione regolare di fenomeni simili, come quando si parla dell’alternarsi del giorno e della notte, dell’estate e dell’inverno, del flusso e del riflusso; e non significa neanche la semplice connessione costante tra causa ed effetto, perchè quando io affermo che l’acqua ha un dato punto di congelazione e di ebullizione, che l’uomo senza aria o senza alimento muore, accenno non a leggi, di cui così se ne potrebbero fare a milioni, ma solo a casi singoli di effetti risultanti da cause più generali. E sono appunto queste cause più generali e primarie che la legge vuole ricercare. Così quando dico che il caldo aumenta e il freddo diminuisce il volume dei corpi, alludo ad una causa prima e mi trovo di fronte ad una legge, perchè non mi riferisco più a semplici manifestazioni concrete, ma a forze operanti in un dato modo. Ora gli effetti costanti di forze sono l’oggetto proprio della legge scientifica; così ad esempio è una legge scientifica che tutti i corpi si attraggono in ragione diretta della loro massa e in ragione inversa del quadrato della loro distanza.
E questo concetto di legge, ricavato dai processi della natura inorganica, si applica ai fenomeni biologici, di quanto derivano da forze che producono la vita, si applica alle leggi psicologiche e sociali, in quanto derivano da forze psichiche agenti sugl’individui o sulle masse, e si applica anche alle leggi economiche, in quanto derivano da forze psichiche indirizzate allo scopo di soddisfare i bisogni umani secondo il principio del minimo mezzo3. Difatti il fenomeno economico sorge dall’opposizione tra i bisogni infiniti dell’uomo e i mezzi limitati che esso ha a sua disposizione e che non può raggiungere se non con uno sforzo. La soddisfazione dei bisogni è un piacere, lo sforzo è un dolore. Ottenere la massima soddisfazione col minimo sforzo è il criterio fondamentale che guida l’uomo nelle sue azioni economiche, le quali sono sottomesse a leggi, che scaturiscono da quel criterio o dalle forze psichiche a cui esso è subordinato.
La circostanza che il concetto di legge fu da prima ricavato dai processi della natura inorganica influì grandemente sul modo d’intendere le leggi economiche. Quando nel secolo XVIII si cominciò a trattare scientificamente l’Economia politica, si diffondeva l’idea che quelle leggi naturali, che Newton aveva riscontrate nella meccanica celeste, dovevano esistere anche in altri campi del mondo fisico e potevano trovare applicazione anche nel mondo morale, tanto più dato il concetto materialistico e puramente meccanico che si aveva allora dei fenomeni psicologici. I Fisiocrati parlano di un «ordine naturale» nella società civile, Adamo Smith allude spesso alla natura come forza dirigente nelle azioni economiche, e più tardi Bastiat contrappone l’organizzazione naturale dell’economia sociale, quale risulta dalla lotta d’interessi tra gl’individui, all’organizzazione artificiale, che viene propugnata dai socialisti delle varie scuole.
Per gli economisti classici i fenomeni economici sono sottomessi a leggi naturali, perchè hanno come unico movente l’interesse personale, che veniva considerato come una forza costante e sempre esistita, come una forza perfettamente simile alle forze naturali, che operano nell’universo materiale, onde il mondo fisico ed il mondo morale si ritenevano solo quali manifestazioni separate delle stesse leggi di natura. Da questa esagerazione si passa successivamente ad un’altra esagerazione in senso opposto con la scuola storica, che si limita a raccoglier fatti senza arrischiarsi a risalire alle loro leggi, o che riguarda queste leggi come dipendenti sempre dalla volontà degl’individui. «Ci sono delle concatenazioni di fenomeni, dice il Laveleye, che noi chiamiamo leggi naturali, come la gravitazione; ci sono altre leggi invece che emanano dalla volontà degli uomini, come il codice civile, la costituzione, la legge elettorale ecc. Si tratta di sapere se le leggi e i fenomeni economici sono della prima o della seconda specie. Della prima, dice l’ortodossia per mezzo di Courcelle-Seneuil poichè «queste leggi sono indipendenti dalla volontà degl’individui, proprio come quelle che regolano la circolazione del sangue». Della seconda, rispondono i socialisti della cattedra, poichè la produzione, la repartizione e il consumo sono regolati dalla volontà degli individui e dalle prescrizioni del legislatore. La grande differenza è che nelle leggi naturali le forze operanti sfuggono alla nostra azione, mentre nei fenomeni economici la forza in giuoco è quella dell’uomo, e l’uomo è un agente libero, che può esser modificato nel suo fondo stesso e a maggior ragione nelle sue manifestazioni esteriori da idee, da credenze, da leggi, da istituzioni4.
Ma se, ammettendo delle leggi naturali nel campo economico, si veniva a dare all’Economia Politica un rigore ed un’esattezza, a cui essa assolutamente non può aspirare5, d’altro lato, considerando le leggi economiche come equivalenti alle misure legislative stabilite dall’uomo, si veniva a rinunziare ad ogni possibilità di avere una scienza dei fenomeni economici. Ora che questi sieno sottomessi a leggi, non può esser messo in dubbio da alcuno, ma non è vero che le leggi economiche abbiano gli stessi caratteri delle leggi di natura.
Le leggi di natura sono leggi che valgono assolutamente e senza eccezioni per tutto ciò che è materia, che regolano dall’eternità, immutate e immutabili, i processi fisici dell’universo, e che non concedono libertà o indipendenza a tutto ciò che è sottoposto ad esse. Le leggi economiche, invece, si riferiscono ad esseri liberi e dotati di ragione, che hanno la possibilità di scegliere tra più fini ugualmente realizzabili; esprimono la tendenza, che hanno in generale certe forze psichiche a produrre dati effetti; non valgono per tutti gli nomini, nè per tutti i luoghi, nè per tutti i tempi; non sono assolute, inecezionabili, eterne. Certo anche l’economia sociale deve prendere in considerazione le leggi naturali del mondo fisico, perchè al loro impero soggiace l’organismo umano e perchè esse dominano la natura esterna, che tanta influenza esercita sull’attività economica; ma queste leggi, per quanto importanti sieno per l’economia sociale, non sono leggi economiche, sono e rimangono leggi naturali, di cui l’attività economica non può a meno di tenere il massimo conto 6.
È vero che tanto le leggi di natura quanto le leggi economiche esprimono una tendenza, che costantemente influisce sui fenomeni, indicano ciò che avverrebbe in assenza di cause disturbanti, che impediscono o modificano l’azione della causa principale presa a studiare. Ma nelle leggi economiche le condizioni determinanti i fenomeni sono più soggette a cambiamenti che non nelle leggi di natura, ed in queste, oltre a ciò, si può trovare un’espressione numerica per il grado di forza, con cui opera la tendenza o con cui agiscono le cause disturbanti. Così la legge di gravitazione esprime, non solo il fatto generale dell’attrazione reciproca di tutta la materia, non solo l’affermazione vaga che l’influenza diminuisce a misura che la distanza aumenta, ma ci dice anche la misura numerica esatta con cui ha luogo quella diminuzione. E il chimico, oltre essere in grado di descrivere il genere di reazione, che avverrà tra certe sostanze poste in date condizioni, può darci in precedenza una determinazione quantitativa delle proporzioni esatte con cui i diversi elementi si riuniranno nella formazione del composto risultante. Ora a questo punto di perfezione non possono mai giungere le leggi economiche, perchè le forze psichiche non si pesano, nè si misurano come gli elementi e le forze del mondo materiale, e non consentono per ciò una perfetta precisione o una accuratezza numerica. Così quando l’economista studia la diminuzione continua dei profitti, a misura che la popolazione e la ricchezza aumentano, non può prevedere tutte le cause, che si opporranno a quella diminuzione, nè può dirci a che punto preciso essa dovrà arrestarsi, perchè questo punto dipende dalla maggiore o minore intensità del desiderio di accumulazione, il quale varia secondo gl’individui e secondo i paesi7; e quando dice che i salari tendono a pareggiarsi tra luoghi anche distanti, non può stabilire quale differenza è necessaria perchè il lavoro emigri là dove è più rimunerato, nè può determinare esattamente in che modo l’attaccamento alla patria e l’amore della famiglia distoglieranno l’operaio dall’abbandonare il luogo natìo, ad onta che i guadagni vi sieno minori. Se però queste considerazioni ci suggeriscono di non pretender troppo dalle leggi economiche e soprattutto di non equipararle alle leggi di natura, sarebbe assurdo il concludere da ciò che i fenomeni economici non sono sottomessi a leggi, come sarebbe assurdo il negare la verità dei due principi summenzionati, che i profitti tendono a ribassare e che i salari tendono a pareggiarsi in assenza di cause disturbanti8.
Poichè le leggi economiche esprimono, non ciò che avviene effettivamente, ma ciò che tende ad avvenire in assenza di cause disturbanti, si suol dire che esse sono leggi ipotetiche. Ma una legge ipotetica, in questo significato speciale, non è per ciò immaginaria o in opposizione al corso reale delle cose. Le leggi di causa possono essere considerate come ipotetiche da un certo punto di vista, mentre da un altro punto di vista sono indubbiamente categoriche, perchè affermano categoricamente in che modo operano certe cause. E quantunque una causa possa essere in qualche maniera contrastata da altre cause più potenti, che agiscono in direzione opposta, essa non per tanto continuerà ad esercitare la sua influenza caratteristica e modificherà in conseguenza il resultato finale. Nessuno suppone che la legge di gravità cessi di operare, quando un pallone s’innalza nell’aria e l’acqua sale in una pompa. E lo stesso si può dire di una legge economica. L’aumento nella domanda di una merce, ad esempio, può aver luogo insieme ad un aumento nell’offerta e lasciare invariato il prezzo o anche farlo diminuire; ma ciò non toglie che l’effetto della domanda accresciuta sia per sè stesso un aumento di prezzo. La riduzione nella quantità di moneta circolante tende a provocare un ribasso generale dei prezzi; ma questo non significa che ogni qual volta diminuisce di quantità la moneta circolante in un paese i prezzi calino, o che sempre il secondo fenomeno sia l’effetto del primo, giacchè la causa in questione non è l’unica che può influire sul livello dei prezzi e perchè l’effetto di essa può esser contrastato da cause agenti in opposta direzione o esagerato da cause agenti nella stessa direzione. Ma se ciò è vero, è vero altresì che, dove la causa in questione è presente, esercita la sua influenza in accordo alla legge summenzionata e contribuisce a determinare l’effetto prodotto. E per ciò la legge, quantunque ipotetica, si riferisce a manifestazioni reali ed esprime una connessione veramente esistente fra due fenomeni economici9.
Le leggi economiche indicano in che modo l’uomo agirà in date circostanze o quale condotta egli seguirà per obbedire all’impulso di certi motivi, che nella maggior parte dei casi possono essere espressi in prezzi monetari. Così quando si dice che una emissione eccessiva di carta moneta a corso forzato provoca l’esportazione di moneta metallica, si ammette che l’aumento dei prezzi, determinato da questa soverchia emissione, spinge i commercianti nazionali a far venire merci di fuori a minor prezzo, pagandole con metalli preziosi, e che questi vengono esportati anche dai banchieri, perchè all’interno tutti preferiscono servirsi nei pagamenti della carta deprezzata. Ogni legge economica, dunque, è basata sopra un interesse, che spinge gli uomini ad una data azione. Quando, ad esempio, si afferma che non può esistere che un solo prezzo per una merce nello stesso luogo e nello stesso tempo, si allude all’interesse che hanno tutti di comprar la merce da chi la vende a meno, abbandonando chi la vende a più. Ma l’effetto che provocherà questo interesse sulle azioni economiche, non è sempre esattamente prevedibile, o non è prevedibile ugualmente bene in tutte le circostanze, o non si sa se potrà manifestarsi più presto o più tardi, nè con quale intensità10. E in tali casi le leggi economiche non possono raggiungere un grado troppo elevato di precisione, mentre di altri casi i fatti possono non obbedire ad esse, sia perchè molti individui non conoscono il loro interesse, sia perchè non abbiano il modo di seguirne l’impulso per ostacoli frapposti dalla morale, dallo stato ecc.
Che i fenomeni economici sono sottomessi a leggi è una idea che si trova vagamente e implicitamente affermata anche negli scrittori più antichi: così Aristotile ci dà un esempio di quelle che oggi si chiamerebbero leggi di evoluzione, quando ci parla dei tre stadi che l’economia ha attraversato con la economia domestica senza scambi, con l’economia avente un embrione di divisione del lavoro e scambi in natura, e con la crematistica che mira, più che alla soddisfazione dei bisogni, al lucro e all’accumulazione. Ma il concetto di legge economica, come rapporto costante tra certe cause primarie e certi effetti, non poteva sorgere se non dopo il medio evo, quando la scomparsa della teologia scolastica aveva sostituito alle causae finales delle causae efficientes per spiegare i fenomeni dell’universo. Dalle scienze fisiche, come abbiamo già accennato, l’idea si propagò alle scienze morali: Hobbes parla di leggi politiche del corpo sociale e Locke indaga le leggi psicologiche dell’associazione d’idee, dell’astrazione e della memoria. Fin dal secolo XVI si trova ripetuto il principio «that bad money drives out good», sebbene non sia ancora chiamato col nome di legge; e Locke, che ha dei buoni accenni sui principî dell’offerta e della domanda e della gravitazione dei salari verso le spese di mantenimento, adopra per il primo l’espressione di legge quando parla di rules and laws of value11. Hume avanti di cominciare a trattare del commercio, della moneta, dell’interesse e della bilancia commerciale, dice come siano importanti i principî generali sopra questi argomenti, «quei principî generali, che, se giusti e sani, devono sempre prevalere nel corso generale delle cose, quantunque possano non esser validi nei casi particolari»12. Anche Smith parla sempre di principî, quando vuol significare verità generali, e non di leggi. Malthus, invece, chiama legge il principio di popolazione, ma usa la parola in senso fisico; e la retorica di Burke che dichiara leggi di natura e per ciò leggi di Dio le «leggi del commercio», non può considerarsi come linguaggio da economista. Forse il primo uso del termine, da parte di un economista, nel significato che si dà ora all’espressione legge economica, si trova nell’opuscolo di Ricardo High price of Bullion, pubblicato nel 1810, dove dice che l’oro e l’argento obbediscono alle stesse leggi che valgono per ogni altra specie di merce13. Successivamente Ricardo stesso parla delle leggi del valore, della rendita, dei salari e dei profitti, e il termine si trova ripetuto poi anche dagli altri economisti.
Le leggi economiche possono riguardare i fenomeni della ricchezza nel modo con cui essi si presentano in certe condizioni, o possono riguardarli nel modo in cui queste stesse condizioni variano in lunghi periodi di tempo, insieme ai cambiamenti economici che ne risultano. Nel primo caso si parla di leggi economiche statiche, nel secondo di leggi economiche dinamiche. Le leggi che presiedono alla distribuzione del reddito nazionale in rendita, salari, interesse e profitto, sono leggi statiche; le leggi, che considerano quale influenza esercita il progresso economico su questi redditi, o la tendenza che essi hanno a crescere o calare nel corso della loro evoluzione, sono leggi dinamiche. I due termini veramente non sono molto appropriati, perchè le leggi statiche considerano gli effetti di particolari cambiamenti, come, ad esempio, cambiamenti nella domanda, nel costo di produzione, nella quantità di moneta circolante; e d’altronde il mondo economico, anche in un dato stadio della società, è in perpetuo movimento: prezzi, salari, profitti, sistemi monetari, tariffe ecc. cambiano continuamente e l’Economia politica non può fare a meno d’investigare le relazioni reciproche di questi cambiamenti. Ma ad onta di ciò la distinzione tra leggi statiche e leggi dinamiche è assai importante, in quanto queste ultime considerano i fenomeni economici nella loro evoluzione, valendosi principalmente del metodo storico e contribuendo alla formazione di nuove leggi statiche14.
Le leggi statiche possono essere di tre specie: 1° leggi che danno la semplice formula descrittiva del modo di manifestarsi di certi fenomeni; 2° leggi che esprimono la regolare connessione di differenti fenomeni quale risulta dall’esperienza; 3º leggi di causa, che danno la motivazione logica dei fatti.
Le prime non possono valere per loro stesse come espressione di una necessità e l’affermano solo nel presupposto che la manifestazione costante dipenda da cause costanti; le seconde accennano ad una connessione causale, ma devono essere spiegate e ricondotte a proprie leggi di causa, e per distinguerle da queste ultime si chiamano leggi empiriche. Quanto alle leggi della terza specie, in esse all’espressione dei fatti osservati, contenuti nelle leggi delle due prime categorie, si aggiunge un concetto che non è dato dall’osservazione reale, ma che sembra appropriato per riunire certi fatti esistenti in regolare rapporto, risalendo ai moventi delle azioni economiche, o ai principî psicologici da cui esse derivano. Nelle leggi di causa, dunque, ha sempre una grande importanza la deduzione, perchè quand’anche esse sono scoperte col metodo induttivo, non possono spiegarci i fatti, se non considerandoli come la conseguenza di un motivo esistente, incluso in una proposizione generale, onde ogni spiegazione è nella sua essenza soprattutto deduzione15.
Sarebbe impossibile fare un’enumerazione delle leggi economiche di carattere dinamico, perchè di qualunque fenomeno si può studiare l’evoluzione, considerandolo non solo nel suo stato presente, ma anche nel passato e nel futuro. Esempi di leggi dinamiche si hanno nella successione degli elementi produttivi con la prevalenza prima della natura, poi del lavoro e poi del capitale; nella tendenza della industria in grande a sostituirsi a quella in piccolo; nelle forme che attraversa lo scambio con l’economia naturale, l’economia monetaria e l’economia di credito; nei rapporti che successivamente intercedono tra produzione e consumo con l’economia di famiglia, l’economia di città e l’economia sociale; nel crescere della rendita fondiaria con l’aumento della popolazione; nel ribasso dei profitti e nel rialzo dei salari col progresso economico. E sarebbe del pari impossibile fare una enumerazione delle leggi economiche empiriche, che descrivono il modo di manifestarsi di certi fenomeni o la loro semplice connessione, perchè anche qui ci si trova di fronte ad un numero infinito di fatti, che sono in rapporto tra loro e di cui l’osservazione giornaliera ci offre di continuo nuovi esempi. Qualunque generalizzazione tratta dall’esperienza specifica dà luogo a leggi empiriche; e sono tali, ad esempio, quella della divisione del lavoro, della superiorità della produzione in grande, della produttività dei vari agenti produttivi, dell’incremento del capitale, dell’aumento della popolazione, della applicabilità delle varie specie d’imprese ai singoli rami di produzione. Ma invece tra le leggi di causa è facile rilevare quelle che sono più importanti e che più di frequente vengono prese in considerazione nel formare le leggi derivate.
Ecco un elenco di alcune tra le leggi più fondamentali, su cui si basano le teorie economiche:
1) Legge del minimo mezzo, che spinge l’uomo a cercare in ogni caso la massima soddisfazione possibile impiegando il minimo sforzo possibile.
2) Legge dell’utilità decrescente, per la quale ognuno attribuisce un’utilità sempre minore ai beni, a misura che ne ha a sua disposizione in quantità sempre maggiore.
3) Legge della saziabilità dei bisogni; è un altro modo di esprimere la legge precedente, perchè i beni procurano una soddisfazione sempre minore col rivolgerli in maggior quantità ad appagare lo stesso bisogno.
4) Legge della subordinazione dei bisogni, che il Banfield esprime dicendo che la soddisfazione dei bisogni inferiori crea il desiderio di soddisfare bisogni più elevati e che il Senior modifica, affermando che i nostri desideri mirano alla diversità più che alla quantità.
5) Legge della domanda: il prezzo che sono disposti a pagare i compratori per ogni dato bene diminuisce col crescere della quantità offerta.
6) Legge del costo: nei beni aumentabili liberamente il valore normale tende a stabilirsi verso il costo minimo, nei beni aumentabili a costo crescente verso il costo massimo, necessario per soddisfare la domanda.
7) Legge dell’offerta: il prezzo che possono percepire i venditori dipende dall’intensità della domanda.
8) Legge d’indifferenza, ossia che nello stesso luogo e tempo non vi possono essere due prezzi per la medesima merce.
9) Legge di sostituzione: quando vi sono più metodi per ottenere lo stesso risultato, sarà sempre preferito il meno costoso.
10) Legge della produttività decrescente, che sorge dalla necessità di ricorrere ad agenti inferiori di produzione, o al loro uso in circostanze meno vantaggiose, quando si deve estendere la produzione.
11) Legge della produttività crescente, che risulta dai vantaggi derivanti da una migliore organizzazione industriale, a misura che si estende l’offerta di un dato prodotto.
12) Legge della produttività costante, che si ha quando l’aumento dell’ offerta fa crescere in esatta proporzione il costo, perchè le due leggi della produttività decrescente e della produttività crescente si contrabbilanciano nei loro effetti.
13) Legge di popolazione, che nasce dal rapporto tra la possibilità di moltiplicarsi della razza umana e la possibilità di accrescimento dei mezzi di sussistenza che le sono indispensabili16.
Con la riunione di una o più di queste leggi elementari si formano poi quelle leggi più complesse o quelle teorie, che valgono a spiegare i fenomeni della vita reale. La teoria della rendita fondiaria, ad esempio, è la risultante delle seguenti leggi:
1) L’aumento della popolazione fa crescer la domanda di prodotti agrari (legge 13);
2) L’offerta di essi non si può aumentare se non a spese sempre maggiori (legge 10);
3) non ci possono esser due prezzi per la stessa merce (legge 8);
4) essendo i prodotti agrari beni aumentabili a costo crescente, il loro valore è dato dal costo più alto necessario per soddisfare la domanda (legge 6);
5) i terreni che danno prodotti ad un costo minore saranno preferiti (legge 1 e legge 9) dagli agricoltori, i quali potranno pagare al proprietario tutto il vantaggio, che risulta dalla differenza dei due costi, sotto forma di rendita.
Da questa legge statica si passa poi ad una legge dinamica, quando si asserisce che aumentando la popolazione si deve spingere la coltivazione a terre più lontane e meno fertili, o impiegare più capitale con minor reddito sulle stesse terre, promuovendo il rialzo continuo nei prezzi dei prodotti agrari, allorchè esso non sia contrastato dagli effetti dei progressi tecnici (legge 11).
Ma se nel procedimento logico prima vengono le leggi elementari, poi le leggi più complesse e poi i fenomeni a cui esse si riferiscono, nella realtà è quasi sempre l’osservazione dei fatti quella che ha la precedenza: da essa si formano le teorie e con un ulteriore progresso scientifico le teorie si decompongono nelle leggi elementari, che rappresentano i primi principî dei fenomeni. Ciò è accaduto anche nella teoria della rendita, a cui abbiamo ora accennato, la quale, essendo una delle dottrine più astratte dell’Economia politica, sembrerebbe dovesse essere uscita dalla mente di un pensatore più che dall’osservazione dei fatti reali.
In Adamo Smith non si trova traccia di questa teoria, nella forma che ha assunto ai nostri giorni; essa sorge verso il 1813, insieme a tante altre dottrine, che scaturiscono dall’esperienza dell’Inghilterra durante il periodo delle guerre napoleoniche. Verso quell’anno, nelle condizioni economiche della Gran Brettagna, due cose non potevano fare a meno di colpire anche il più superficiale osservatore: l’alto prezzo del grano, e il miglioramento e l’estensione delle culture. Quanto al primo fenomeno, basti il notare che, mentre dal 1711 al 1794 il prezzo del grano non era stato mai superiore a 60 scell. e 5 ¼ den. il quarter, esso si trova a 92 scell. a S. Michele del 1795, a 177 scell. all’Annunciazione del 1801, e non scende mai sotto ai 96 scell. dal 1808 al 1813. Non è ugualmente facile il dimostrare con cifre il miglioramento e l’estendersi delle coltivazioni, che risultano però in modo inoppugnabile dalla divisione dei campi comuni, dall’assegnazione di terre incolte a piccoli proprietari e dal numero grandissimo di nuove «enclosures». L’aumento dei prezzi aveva fatto estendere la coltivazione a terre inferiori; e col ritorno alla pace sorse gravissima la questione dei rimedi da opporsi all’aumento delle importazioni di grano dall’estero, che avrebbero provocato un ribasso dei prezzi, la rovina degli affittuari, la diminuzione delle rendite e il ristringimento delle colture. La questione fu dibattuta in giornali, in opuscoli e in inchieste parlamentari, e dai fatti raccolti in 20 anni di osservazioni risultò strettissima la connessione tra l’aumento della popolazione e della ricchezza del paese da un lato, e la coltivazione di terre inferiori con la diminuzione del prodotto spettante al proprietario dall’altro lato; onde non è niente strano che qualche economista abbia generalizzato questi fatti, arrivando alla conclusione che l’aumento della popolazione e della ricchezza rende necessario il ricorso ad un’agricoltura più costosa o meno produttiva. È appunto osservando ciò che accadeva allora che West dice: «Nel progresso della coltivazione i prodotti della terra si ottengono in modo sempre più costoso, o in altre parole il rapporto fra il prodotto netto e il prodotto lordo della terra va continuamente diminuendo». E Malthus: «Le macchine che producono grano e materie greggie sono doni della natura e non opera dell’uomo; e noi troviamo per esperienza che questi doni hanno differenti qualità e caratteri. Le terre più fertili di un paese, quelle che, come le macchine migliori nell’industria, danno il maggior prodotto con meno lavoro e capitale, non sono mai sufficienti a provvedere alla domanda effettiva di una popolazione crescente. Il prezzo delle derrate agrarie, per ciò, aumenta naturalmente finchè non è alto abbastanza per compensare il costo necessario ad averle dalle macchine inferiori e con processi più costosi; e siccome non ci possono essere due prezzi per il grano della stessa qualità, tutte le altre macchine, che agiscono con meno spesa, danno una rendita in proporzione della loro bontà». Da questo alla formulazione della teoria come si trova in Ricardo era breve il passo, ed egli non fa che riassumere magistralmente i principî generali che scaturiscono dai fatti del ventennio precedente. Perfino la modificazione, che subisce la teoria dopo Ricardo, quando non si parla più di una produttività decrescente inevitabile, ma di una tendenza verso questa produttività decrescente contrastata dai progressi tecnici, è dovuta all’esperienza degli anni successivi al triste periodo della guerra e all’osservazione di nuovi fatti raccolti in un paese giovane come gli Stati Uniti d’America, che davano luogo ad una interpretazione più ottimista, di cui per il primo si fece propugnatore il Carey17.
Come si formino le leggi economiche, ricavandole dai fatti osservati, e come si modifichino col presentarsi di nuovi fatti, possiamo dimostrare ancor meglio con un altro esempio, in cui la legge economica ha risentito le conseguenze della sua formazione storica. Alludiamo alla legge scientifica che regola la circolazione fiduciaria, esposta anch’essa per la prima volta da Ricardo, il quale la trasse dall’osservazione dei fenomeni bancari in periodo di circolazione a corso forzoso e non riuscì a liberarla da questo peccato d’origine. Quando nel 1809 era più ardente in Inghilterra la discussione sulle cause dell’aggio dell’oro, Ricardo scrisse il suo famoso opuscolo, in cui dimostrava che l’aggio dipendeva dalle soverchie emissioni della Banca d’Inghilterra e formulava la teoria quantitativa, secondo la quale i biglietti dovevano aumentare o diminuire di valore col calare o col crescere delle emissioni. Da questo principio si trasse la conseguenza che le banche avevano la possibilità di estendere o di restringere la circolazione fiduciaria, e che estendendola potevano influire sui prezzi, aiutare la speculazione e aggravare le crisi commerciali; da questo principio sorse l’atto di Peel del 1844, che regola anche ora le emissioni della Banca d’Inghilterra e che la obbliga a non allargarle al di là di un dato limite, se non con una riserva perfettamente equivalente al valore dei biglietti emessi. Ma il principio stesso è basato sopra osservazioni fatte in circostanze eccezionali e non è valido per una circolazione fiduciaria convertibile18. Infatti le osservazioni posteriori hanno dimostrato che, data la convertibilità dei biglietti, essi non possono mai rimanere in circolazione in quantità superiore ai bisogni, perchè la quantità esuberante tornerebbe alla banca, in parte sotto forma di depositi e in estinzione di cambiali, e in parte per aver oro da mandare all’estero in pagamento delle importazioni accresciutesi in seguito all’inevitabile aumento dei prezzi dipendente dalla esuberante circolazione. L’impossibilità per le banche di eccedere nelle emissioni, che è diventato ormai un principio acquisito e indiscutibiie della scienza, è ricavato da osservazioni più complete ed esatte, là dove la convertibilità dei biglietti è perfettamente garantita. S’intende, però, che quando manca questa condizione, torna ad esser vera la teoria quantitativa di Ricardo. L’abbiamo visto in Italia dopo il 1887, allorchè le banche di emissione sospesero il baratto: prive di questo freno e di questo controllo, abusarono delle emissioni, se ne servirono per favorire la speculazione e furono trascinate disastrosamente nella crisi che colpì il nostro paese. Sicchè in Inghilterra un principio scientifico, ricavato da condizioni anormali, è stato messo a base dell’ordinamento di una circolazione sana, ponendole dei vincoli, di cui potebbe benissimo e con suo vero vantaggio fare a meno, mentre in Italia si è applicato il principio ricavato dalle condizioni normali ad una circolazione che non aveva più i freni naturali e che doveva necessariamente dar luogo ai più gravi abusi.
Talvolta le modificazioni che subiscono le leggi economiche non dipendono da osservazioni posteriori più complete ed esatte, ma da fatti impreveduti che si presentano in seguito e che in alcuni casi alterano del tutto dei principi prima ritenuti come verità inconcusse. Molte leggi si potrebbero citare che hanno cessato di essere vere ai nostri giorni, come ad esempio: che i salari tendono sempre ad accostarsi al limite minimo dato dalle spese di mantenimento della classe lavoratrice, che l’aumento del prezzo del grano fa diminuire il numero dei matrimoni, che le crisi economiche producono un accrescimento nella mortalità. La prima legge è stata distrutta dallo sviluppo dello organizzazioni operaie, che hanno permesso ai lavoratori di rafforzare la loro posizione di fronte al capitale e di ottenere un aumento di salari al di sopra del minimo delle sussistenze. La seconda legge, che alcuni scrittori seguitano tuttora a ripetere, non trova più applicazioni da quando il miglioramento nelle condizioni economiche delle classi lavoratrici dà ad esse la possibilità di consacrare una parte più piccola dei loro guadagni all’aquisto di derrate alimentari, onde il rincaro di queste derrate, che del resto è diventato molto meno sensibile per effetto dello sviluppo dei trasporti, non fa più diminuire il numero dei matrimoni. Quanto alla terza legge, i sussidi che molte associazioni operaie danno ai propri membri disoccupati, hanno impedito che la mortalità crescesse ad ogni crisi economica, come avveniva nella prima metà del secolo XIX, allorchè una crisi si rispecchiava sulle cifre della mortalità stessa in modo più disastroso di un’epidemia.
E appunto perchè non sappiamo tutti i mutamenti che possono avvenire nelle infinite condizioni che influiscono sull’evoluzione dell’economia sociale, molto spesso succede che falliscano le previsioni basate su leggi economiche. Così Senior s’ingannò quando prevedeva che la riduzione della giornata di lavoro avrebbe condotto l’industria inglese alla rovina, perchè non s’immaginava neanche che il lavoro sarebbe diventato più efficace con una giornata meno lunga; e s’ingannò pure il Marx quando prevedeva che le condizioni degli operai si sarebbero sempre più peggiorate e avrebbero provocato una catastrofe nell’economia capitalistica, perchè non pensò che gli operai, organizzandosi e associandosi, avrebbero ottenuto un miglioramento più immediato delle loro condizioni. Ma da ciò sarebbe assurdo il concludere che sieno impossibili le previsioni nel campo economico, giacchè in esso esistono ormai tante leggi così sicure e così ben accertate, da permetterci di dire in precedenza che cosa avverrà in date circostanze. Così si potrà prevedere senza fallo che ogni qual volta s’introdurrà il corso forzoso in un paese i metalli preziosi emigreranno; che il rialzo del saggio di sconto sarà sempre un mezzo efficace per rimediare ad una crisi monetaria, ma che non potrà servire a far affluire l’oro dall’estero in una crisi di credito; che quando diminuirà il traffico i mezzi di trasporto meno progrediti o meno perfetti verranno necessariamente ad essere preferiti; che un aumento di salari, ottenuto con la violenza in un’industria, in cui i profitti sono ridotti al minimo, non potrà esser duraturo.
Una previsione, che concerne il nostro paese e che può farsi fin d’ora, basandosi su leggi economiche, è che le ordinazioni eccessive di materiale ferroviario, a cui il nostro governo ha dovuto ricorrere in questi mesi, per non avervi pensato prima, condurranno fatalmente tra qualche anno ad una crisi industriale di una certa gravità. Infatti le parecchie centinaia di milioni, che si spendono ora per accrescere gli impianti di linee e di stazioni e per aumentare la dotazione di macchine, di vagoni e di carri, daranno un’espansione insolita a tante imprese, che avranno bisogno di più ingenti capitali e di un maggior numero di operai, mentre poi molti di questi capitali si troveranno ad essere inoperosi e molti di questi lavoratori saranno licenziati, allorchè la produzione ritornerà alle sue condizioni normali. E questo fenomeno si estenderà anche ad altre industrie, che nulla hanno a che fare colle ferrovie, perchè le ordinazioni di materiale ferroviario fatte all’estero saranno, in base alla legge dei valori internazionali, pagate in fin dei conti con l’esportazione di nostri prodotti, la quale verrà a mancare quando avremo ricevuto questo materialo e cesseremo dall’ordinarne dell’altro.
Ma poichè ci si potrebbe obbiettare che in questa previsione manca il controllo del fatto realmente avvenuto, vogliamo citare l’esempio di una previsione fondata ugualmente su leggi economiche e ormai realizzatasi del tutto. Quando si cominciò a parlare nel 1902 del Trust oceanico, ideato dall’americano Morgan, la più viva commozione si diffuse tra gli uomini di affari, nel mondo politico, sui giornali e nel pubblico in generale. Alcuni temevano che la Gran Brettagna venisse a mancare, per l’azione del trust, di quella grande quantità di derrate alimentari che riceve di fuori; altri temevano che l’Europa fosse innondata di prodotti americani portati dalle navi del trust a prezzi bassissimi; ed altri, infine, temevano che il commercio mondiale fosse costretto, per opera del trust, a pagare dei noli oltremodo elevati pei trasporti marittimi. Ma fu allora dimostrato, sulla scorta di criteri scientifici, che questi timori erano in contraddizione fra loro e si elidevano a vicenda. «Se, infatti, si disse, il trust rifiutasse di fornire all’Inghilterra il grano e le altre derrate alimentari di cui abbisogna, rinunzierebbe al trasporto di un prodotto americano e ai noli che vi potrebbe percepire; se volesse portare in Europa i prodotti degli Stati Uniti con tariffe bassissime, non guadagnerebbe più e diventerebbe del tutto inutile la coalizione di tante navi sotto un unico sindacato; e se riuscisse ad imporro dei noli eccezionalmente elevati, avrebbe interesse a trasportare la maggior quantità di derrate alimentari e non favorirebbe per nulla le altre industrie americane». Ma per imporre dei noli eccezionalmente elevati, il trust oceanico avrebbe dovuto limitare l’offerta di tonnellaggio navale; ora, com’è possibile limitare questa offerta in una impresa, che funziona sul mare libero, che non può farsi protegger da dazi, che non può impedire agli altri di costruire navi quante vogliano, che deve aspettarsi da ogni parte concorrenti temibili? E per ciò si concludeva che se il trust oceanico «si prefiggerà per iscopo di ridurre le spese d’esercizio nella navigazione, di dare maggiore stabilità ai noli e di mantenerli sempre ad un livello rimunerativo, potrà prosperare e non sarà dannoso per nessuno; ma se vorrà diventar dannoso, aspirando al monopolio dei trasporti marittimi e rincarando troppo il prezzo di essi, avrà una vita breve e sarà presto costretto a soccombere»19. Come questa previsione si sia realizzata interamente appena un paio d’anni dopo, col completo insuccesso dell’impresa, che tanti timori aveva suscitati, è cosa a tutti nota e su cui ci sembra inutile insistere. Ma ci preme di far notare, però, che la possibilità stessa di queste previsioni dimostra la verità delle leggi economiche, le quali sono leggi abbastanza rigorose, che gettano una vivida luce sui fatti della vita reale e che possono servire di guida efficacissima nella condotta degli uomini.
Camillo Supino |
Note
- ↑ F. J. Neumann - Wirtschaftliche Gesetze nach früherer und jetziger Auffassung, nei Jahrbücher für Nationalökonomie. Jena, 1898, p. 3-4.
- ↑ A. Franck - Dictionnaire des sciences philosophiques. Paris, 1875, p. 974.
- ↑ G. Rümelin - Reden und Aufsätze. Tübingen, 1875, p. 2-9.
- ↑ E. De Laveleye - Les lois naturelles et l’objet de l’Économie politique. Paris, 1888, p. 10.
- ↑ Molto giustamente distingue il Menger le leggi di natura dalle leggi psicologiche, sociali ed economiche, secondo la specie dei fenomeni a cui si riferiscono, e soggiunge che non si può parlare di leggi naturali economiche, giacchè le leggi di natura concernono soltanto i fenomeni naturali. — C. Menger - Untersuchungen über die Methode der Socialwissenschaften. Leipzig, 1883, p. 243-4.
- ↑ G. Schoenberg - Handbuch der Politischen Oekonomie. Tübingen, 1882, vol. i, p. 16-17. — Franck, op. cit., p. 975.
- ↑ J. E. Cairnes - The Character and Logical Method of Political Economy. London, 1875, p. 108-14. — J. Bonar - Philosophy and Political Economy. London, 1893, p. 194.
- ↑ Contro questa opinione, da me già sostenuta nella prima edizione dei miei Principi di Economia Politica (Napoli, 1904), è insorto il professor Emilio Cossa in una sua prolusione fatta all’Università di Messina e pubblicata nel Giornale degli Economisti (Febbraio 1904), in cui asserisce che non esiste questa «pretesa inferiorità delle leggi dell’ordine economico in confronto a quelle dell’ordine fisico». Ma mi è impossibile rispondere alle di lui critiche, che invece di essere fondate sopra argomentazioni, sono presentate, ripetendo parola per parola le mie frasi in senso inverso, e cioè negando dove io affermo e affermando dove io nego. Aspetterò a convertirmi quando il prof. Cossa potrà dimostrarmi che le leggi, a cui sono sottomessi esseri intelligenti e liberi, non differiscono per nulla da quelle che prevalgono negli agenti ciechi del mondo esterno, o quando potrà dimostrarmi che l’Economia politica è in grado di prevedere il giorno preciso dello scoppio di una crisi economica, come l’Astronomia prevede, fino al minuto secondo, il momento in cui si manifesterà un eclissi.
- ↑ J. N. Keynes - The Scope and Method of Political Economy. London, 1891, p. 207-9.
- ↑ A. Marshall - Principles of Economics. London, 1890, p. 36-7. — N. G. Pierson - Trattato di Economia Politica. Torino, 1905, vol. I, p. 24-32.
- ↑ Neumann, art. cit., p. 1-2 e 8-12.
- ↑ D. Hume - Essays. London. Standard Edition, p. 149-50.
- ↑ Bonar, op. cit., p. 195-96.
- ↑ Keynes, op. cit., p. 140-2.
- ↑ C. Sigwart - Logik. Freiburg i. B., 1878, vol. II, p. 444 e 459. — W. Wundt - Logik. Stuttgart, 1883, vol. II, p. 25-26.
- ↑ R. H. Inglis Palgrave - Dictionary of Political Economy. London. 1894-99, vol. II, p. 582-84. — Neumann, art. cit., p. 17-18.
- ↑ E. Cannan - History of the theories of Production and Distribution in English Political Economy from 1776 to 1848. London, 1893, p. 147-82.
- ↑ A. Wagner - Die Geld- und Credittheorie der Peel’schen Bankacte. Wien, 1862, p. 37-85.
- ↑ C. Supino - Il trust oceanico, nella Rivista Marittima. Giugno 1902.