Risposta dell'ingegner Giovanni Milani al dottore Carlo Cattaneo/Parte IX
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IX.
Pagina 16.
Aver io colla società e colla Direzione un contratto di locazione e conduzione d’opera che mi rende in faccia alla società ed in faccia alla Direzione irremovibile, che comprende degli obblighi e dei diritti reciproci da doversi rispettare fino a sei mesi dopo che la strada di ferro da Venezia a Milano sia compiuta ed attivata, eccettuato il solo caso in cui la società, per qualsiasi motivo ed in qualunque momento, si dichiarasse disciolta o cessasse dall’impresa, e quindi un contratto tale da non potersi sciogliere se non col compimento dell’opera o colla morte della società e dell’impresa.
Averlo, quantunque gli statuti prescrivessero che l’ingegnere in capo dovesse essere un semplice impiegato e tale che potesse venir rimosso dai direttori.
Pagina 65.
Tirando da tutto questo la giusta conseguenza che bisognava richiamarlo e cassarlo.
Pagine 52, 53.
Poiché, sprezzando i buoni consigli che egli aveva dato pel braccio di Monza (della bontà dei quali abbiamo veduto a lungo nell’antecedente N. VIII), non si aveva avuto l’accorgimento di opporre studii a studii e progetto a progetto, si doveva almeno opporre in tempo lavori a lavori; incominciar l’opera da Milano a Treviglio, sottrarsi con fatti risoluti ad ogni opposizione: ma la Direzione non aver fatto nulla, aver lasciato giacere inonorato il suo privilegio, perchè fatto sta che io aveva poco ardore d’impegnarmi nell’opera
ed invece di attendere a ribassare le mie livellette, e contar bene i miei metri cubi, attendeva a scrivere dissertazioni contro la linea di Bergamo, e a dichiarare ai direttori in cospetto del pubblico ciò che voleva fare, e ciò che non voleva fare.
Pagine 42, 65.
In fine aver io riscosso dal 27 maggio 1837, epoca della mia partenza da Berlino, sino a tutto luglio 1840, un mostruoso onorario, più di lire 88,000.
254.° Prima di tutto mi si permettano alcune parole su quel dispettoso lamento del dottore Cattaneo,
perchè io abbia osato dissertare sulla linea di Bergamo; e dichiarare, in cospetto del pubblico, ai direttori ciò che voleva fare e ciò che non voleva fare.
255.° Stando a quel dispettoso lamento del sullodato dottore, si direbbe, che non sono gli ingegneri quelli che debbono dissertare sulla maggiore o minore opportunità di una linea per una strada di ferro, ma bensì i giornalisti del saper suo, che parlano delle opere degli ingegneri senza intenderle, che ne parlano per empir fogli, e copiando quello che hanno prima detto e stampato gli ingegneri.
Eppure sono gli ingegneri che studiano per tutto le linee, che per tutto scelgono le linee e dissertano sulle linee. I giornali ne parlan dopo, raccogliendo e pubblicando quel che fu fatto, quel che fu detto; e se sono giornalisti, come i più lo sono, di mente, di studio, di coscienza, tentano di avviare al bene ed all’utile l’opinione pubblica; nè mai poi hanno la sciocca pretesa di credersi possessori di un brevetto di privativa per le dissertazioni sulle strade di ferro.
Nel mio caso particolare poi confesso che non so vedere chi potesse aver più diritto di me di dissertare sulla linea di Bergamo e sulla diramazione di Treviglio se io era l’ingegnere in capo dell’impresa; se le parole e le stampe altrui erano contro di me e contro la linea mia; se io era stato il primo a parlare della diramazione da Treviglio a Bergamo; se io aveva studiato i fatti ed il terreno sul luogo con amore della cosa, e non nell’ozio di un gabinetto colla smania di dir male di tutto.
256.° E se debbo starmene al giudizio del dottore Cattaneo, mi par anche di non aver dissertato tanto male, se egli ha poi ripetuto dopo di me, nelle sue dissertazioni, nel giornale di Statistica e nella Rivista (vedi nota al paragrafo 82) quello che io aveva detto prima di lui nella conferenza coi signori Bergamaschi la sera del 28 novembre 1837, e nella mia Memoria a stampa intitolata: Qual linea, ec.
257.° Chi dichiara in cospetto del pubblico, sinceramente, quello che vuol fare e non fare, e fa poi quello che ha dichiarato, esercita, intanto, un diritto suo, poi dà prova di onestà e di franchezza, perchè chiama sulla propria condotta il giudizio del pubblico.
Io poi poteva dire alla Direzione ciò che non voleva fare per altre due buone ragioni:
perchè quello che non voleva fare, e che pur volevasi che io facessi, mi sembrava, e mi sembra ancora, utile ad alcuni pochi, dannoso al pubblico e rovinoso alla società lombardo-veneta, quindi indegno di me, quindi tale che non l’avrei fatto a nessun costo, per nessun rischio;
poi, perchè quello che non voleva fare, aveva il diritto di non farlo per le promesse fattemi, pel mio contratto.
Se il dottore Cattaneo non la intese, e non la intende per questo verso, tanto peggio per lui. Io non ne maraviglio punto. E a quelli poi che mi accusano di ostinazione, di orgoglio, di ambizione, di comando, e che so io, risponderò ora e per sempre, che sarebbe impossibile agli uomini onesti il tenersi nella vita sul retto sentiero, se avessero la debolezza di lasciarsi svolgere da simili vociferazioni: perchè la è un’arte tanto vecchia, quanto è vecchia la malignità umana, quella di disonestare le intenzioni quando si è astretti a confessare, contro voglia, l’onestà dei fatti.
258.° Mi fu offerto in iscritto due volte, e da me fu accettato due volte in iscritto; indi mi fu garantito coi preliminari del contratto, e col contratto
l’incarico di creare una strada di ferro da Venezia a Milano, di tutta e non di una parte, e sicuro del tutto sopra una linea da me scelta, sopra un progetto da me esteso, prima immaginando e compilando il progetto, poscia avendone la suprema direzione l’esecuzione, quando il progetto avesse ottenuto la Sovrana approvazione. (Allegati da A ad H, e da DD ad HH)1
259.° Le offerte mi furono fatte dalla Commissione fondatrice, e da essa io le accettai; i preliminari del contratto furono stipulati dalla Commissione fondatrice, il contratto dalla Direzione della società, e del contratto fan parte i preliminari.
Le offerte sono del 19 aprile 1836, del 15-18 maggio 1837: le accettazioni, del 3 giugno 1836 e del 25 maggio 1837; i preliminari, del 14 agosto 1837; la stipulazione del contratto, del 18 gennaio 1838; ma fu sottoscritto dalla Direzione soltanto il 14-30 settembre 1838, perchè per otto mesi continui il segretario dottore Cattaneo tempestò sempre che si doveva mancare all’offerta di Berlino, agli impegni assunti coi preliminari del contratto, ma non sottoscrivere il contratto.
La Direzione esitò per lungo tempo: anzi nel luglio 1838 i signori direttori Carmagnola e Decio tentarono me in Verona perchè volessi permettere che si facesse una qualche mutazione al contratto mio onde porlo, come essi dicevano, in armonia cogli statuti già sottoposti all’imperiale approvazione; ma mi vi rifiutai. Un ufficio simile, ed a simile effetto diretto, fu fatto in Venezia dai signori direttori Bigaglia e nobile Papadopoli verso il mio amico Pietro Paleocapa, che rifiutò egli pure. In fine la Direzione, vedendo già compiuto il progetto sommario, ed avendolo anzi nelle di lei mani, finì per licenziare, nell’agosto 1838, il segretario dottore Cattaneo, e per sottoscrivere nel settembre successivo il contratto.
260.° Nè le offerte, nè i preliminari del contratto, nè il contratto si riferiscono minimamente agli statuti, che per di più, quando tutti quegli atti furono stipulati, quando quegli impegni furono assunti, non avevano ancora alcuna esistenza legale.
Il progetto degli statuti venne enunciato dalla Commissione fondatrice ai possessori dei certificati interinali d’azioni nella radunanza del 21 agosto 1837.
Innalzato a Sua Maestà, venne restituito alla Direzione il 7 settembre 1838, perchè vi fossero fatte le riforme prescritte dall’imperiale risoluzione 4 luglio 1838.
La riforma definitiva, per parte della Direzione, ebbe luogo il 21 settembre 1838.
L’approvazione Sovrana, il 15 ottobre 1838.
La sottoscrizione e la spedizione dell’aulica Cancelleria riunita, il 26 ottobre 1838.
La comunicazione alla Direzione della società, il 5 dicembre 1838.
E la comunicazione della Direzione all’ufficio tecnico, il 14 dicembre 1838.
Sicché il mio contratto colla Direzione fu sottoscritto dalla Direzione, malgrado gli otto mesi di ritardo dovuti alle mene del dottore Cattaneo, quindici giorni prima che gli statuti della società anonima fossero approvati da Sua Maestà, ossia quindici giorni prima che la società anonima potesse esistere legalmente2
Ventisei giorni prima che gli statuti fossero sottoscritti e spediti dall’aulica Cancelleria riunita.
Sessantacinque giorni prima che l’approvazione Sovrana degli statuti fosse comunicata alla Direzione della strada di ferro.82 |
E due mesi e mezzo prima che questa Sovrana approvazione fosse dalla Direzione comunicata a me.
Oltre tutto questo, che è pure moltissimo, gli statuti furono fatti dalla Commissione fondatrice e dalla Direzione senza il mio concorso, senza che mi si domandasse, o che io offrissi il mio assentimento, e dopo le offerte, dopo i preliminari del contratto, dopo il contratto, sicché, se per essi si potesse menomare o distruggere il valore del contratto mio, ne verrebbe il bel principio di pubblica equità che le cose convenute e stipulate tra due contraenti possono legalmente distruggersi od alterarsi pel fatto di uno solo, per lo scritto di uno dei due, esteso da sè senza il concorso o l’ccettazione dell’altro, e per più, esteso quando più gli fosse piaciuto.
261.° Non si sa dunque vedere qual rapporto legale abbiano gli statuti col contratto mio, e perchè il dottore Cattaneo vi si riferisca e come egli creda che si possa condur a buon fine quel suo bel consiglio, che egli dà alla società (pagina 65), richiamar il mio contratto e di cassarlo; addirittura di cassarlo.
Di queste non se ne fanno più nemmeno in Turchia: ed ove io voglia sostenere quel contratto, per iscioglierlo occorrerà, malgrado i consigli ed i consulti del dottore Cattaneo, l’ingerenza dei tribunali.
262.° Mi fu offerto, e l’offerta fattami non mi si tenne; pure la seconda offerta accettai, e fatto, dalle promesse, sicuro che tutto sarebbe, come io stimava, indispensabile all’esito dell’impresa ed al meglio di essa, corsi da Berlino in Italia. Giuntovi, mi posi animosa all’opera, senza badare a contratti, a condizioni d’interessi.
Vi giunsi il 18 giugno 1837 — i preliminari del contratto furono stipulati il 14 agosto 1837 — contratto fu esteso il 18 gennaio 1838 — e sottoscritto dalla Direzione il 30 settembre 1838, quindici mesi dopo il mio ritorno in Italia.
Si stamparono, e dalla sezione veneta della Direzione, cose non vere e dannose a me, e dopo di avermi chiamato a creare una strada di fèrro da Venezia a Milano, mi si regalò una pubblica patente d’ingegnere di dettagli. Mi lagnai, perchè si trattava d’onore, ma continuai indefesso l’opera intrapresa. Pel ritardo alla sottoscrizione del contratto non mi lagnai nemmeno, e lasciai alla Direzione ben otto mesi di tempo per vincere le ripugnanze del suo segretario dottore Cattaneo.
263.° Spesi due mesi nei concerti colle due Commissioni fondatrici lombarda e veneta, nello stabilire in Verona l’ufficio tecnico, nello scegliere gli ingegneri, offrir loro l’incarico ed unirli, nell’estendere i regolamenti, nel raccogliere e nell’ordinare alcune delle più importanti notizie statistiche.
264.° Il 24 agosto 1837 incominciai il progetto: i lavori geodetici continuarono in un inverno lungo e perverso; pure era compiuto il 22 luglio 1838. Comprendeva e comprende il progetto sommario di tutta l’opera, ed il progetto esecutivo del ponte di Venezia.
265.° Poi fui, per ordine della Direzione, un mese a Milano3; quasi un mese a Venezia4. per assistere la Direzione nella presentazione del progetto, e negli uffici fatti per ottenere che fosse subito sottoposto agli esami; due mesi a Vienna ove il progetto era stato spedito5;
Poi due mesi a Milano6, onde offrire alla Commissione civile e militare lombarda, a cui era stato rimesso per esame, tutti gli schiarimenti occorrenti;83 |
Circa due mesi a Venezia7 per lo stesso ufficio verso la Commissione veneta;
Undici mesi a Vienna8, finché il progetto sostenne l’esame di tutti gli aulici dicasterii civili e militari, e finché Sua Maestà si degnò di approvarlo, e di accordare, in seguito di questa approvazione, alla società lombardo-veneta il richiesto privilegio;
Sedici giorni a Milano per le conferenze tenute dalla Direzione, onde concretare quanto poteva riferirsi al congresso degli azionisti del 30 luglio 18409;
Finalmente diecinove giorni a Venezia pel congresso suddetto10.
266.° Malgrado queste mie lunghe assenze dall’ufficio tecnico, i lavori dell’ufficio tecnico continuarono sempre o fatti da me ove era, o fatti all’ufficio tecnico e diretti da me col mezzo di istruzioni e di rapporti.
All’ufficio tecnico si fecero i progetti esecutivi delle tre sezioni da Milano a Treviglio, da Padova a Mestre, da Mestre a Venezia, e più tardi s’incominciò anche il progetto particolareggiato della diramazione da Treviglio a Bergamo.
Io feci i progetti intieri di tutte le due stazioni principali di Venezia e di Milano, e di tutti i fabbricati in esse occorrenti, facendo sviluppare i disegni dall’ingegnere signor Noale, che aveva chiamato meco a Vienna col permesso della Direzione, e mandandoli poi da Vienna all’ufficio tecnico per le copie dei disegni, per l’estesa dei capitolati d’appalto e dei preventivi.
267.° Anche dopo il congresso del 30 luglio 1840, e sino alla distruzione dell’ufficio tecnico, ho continuato a dirigere i lavori interni dell’ufficio tecnico, ed oltre a questo ho in quel tempo scritte alcune illustrazioni sulla stazione di Venezia, risposto ad alcune ultime difficoltà mosse dal Genio militare sulla costruzione di alcune parti del ponte di Venezia e sulla sua posizione, esteso il capitolato d’appalto del ponte stesso, rivedutone per intiero e da me il preventivo, e fattevi anche alcune modificazioni; finalmente ho fatto il progetto di gran parte della stazione di Mestre, ed anche quello di una fabbrica per quella di Padova.
268.° Quando dunque l’ufficio tecnico fu distrutto per opera dei due signori direttori, nobile Papadopoli e Biffi, erasi fatto nell’ufficio, o da me direttamente, o sotto la mia direzione:
il progetto generale e sommario di tutta la strada;
i progetti paricolareggiati esecutivi del ponte di Venezia; delle sezioni da Milano a Treviglio, da Padova a Mestre, da Mestre a Venezia;
buona parte del progetto particolareggiato della diramazione da Treviglio a Bergamo;
i progetti intieri delle due grandi stazioni di Venezia e di Milano, meno i conti preventivi e i capitolati d’appalto;
quasi tutto il progetto della stazione di Mestre, ed il progetto di una fabbrica, di una tettoia per montare e smontare al coperto per la stazione di Padova.
269.° Quando i signori Bergamaschi stamparono la prima loro Memoria circa alla strada di ferro da Venezia a Milano11, e prima e dopo la conferenza che io ebbi con loro in Milano la sera del 28 novembre 1837, fui eccitato a rispondere, anch’io colle stampe, a quella Memoria.
Risposi del no, dissi, e lo dissi anche alla Direzione, che vi erano interessi generali e interessi particolari: che nostro obbligo era quello di studiare e di difendere gli interessi generali e quelli della società lombardo-veneta; che fin tanto che questi interessi del pubblico e della società non erano ingiustamente lesi, ingiustamente attaccati, noi non dovevamo opporci ad alcuno; e che quanto ai signori Bergamaschi, erano, almeno sino allora, non solo nel loro diritto, ma nel loro obbligo, se si facevano a sostenere ed a difendere gli interessi della città di Bergamo.
Non risposi dunque alla prima Memoria: non alla seconda12, quantunque vi si chiamasser declamazioni, quanto io aveva detto circa al braccio da Treviglio a Bergamo, e lo si nominasse l’ipotetico braccio di Treviglio: non alla terza13, in cui lo si dice il sognato braccio di Treviglio, una assoluta chimera finalmente non a quello che mi apposero e mi fecero dire, per farmi torto, nel loro ricorso umiliato a Sua Maestà, come p. e.:
lo sperticato errore, che sia impossibile, in una linea di circa trenta miglia, vincere col mezzo dei motori ordinarii un’altezza di circa 114 metri;
la necessità in cui erano, di porre in chiaro il procedere poco sincero della opposta parte, e l’impossibilità di tenere l’offerta del braccio di Treviglio tanto in arte come sotto le viste dei mezzi economici;
00e tutto non esser altro che un’ingannevole astuzia onde calmare i concitati clamori.
270.° E non solo non ho risposto a tutto questo, ma quando i signori Bergamaschi ottennero, per l’aulica risoluzione 30 agosto 1839, N. 24845-1853, il permesso di sottoporre all’esame della commissione, prescritta dall’articolo 7.° delle direttive, il loro progetto per una strada di ferro da Bergamo a Monza, avendovi la Direzione della strada lombardo-veneta mosso contro con un ricorso presentato a S. A. I. il Principe Viceré, ho tanto pregato, ho tanto insistito presso la Direzione dicendo e dimostrando, che non avevamo il diritto di opporci, che non conveniva turbare la protezione degli interessi altrui finché gli altri rispettavano quella che noi dovevamo agli interessi a noi affidati, che quel ricorso fu ritirato.
Questo fatto è noto, ma chi ne volesse una prova, potrà raccoglierla dal foglio della Direzione. (Allegato UU1.)
271.° E ciò servirà, intanto, di risposta a quelli che vanno dicendo, che la questione dei signori Bergamaschi si è inasprita per colpa mia, in causa delle stampe mie.
La mia Memoria sopra la linea da Brescia a Milano14 mi fu commessa dalla Direzione in Milano nelle conferenze del giugno 1840.
In tutta quella Memoria, la ricerca più scrupolosa dei signori Bergamaschi, che pure avevano un grande bisogno di sostenere, almeno con una qualche apparenza di verità, quell’esordio delle acerbe e concitanti espressioni dell’ingegnere Milani con cui incominciarono l’ultimo capo del loro nuovo esame; la ricerca più scrupolosa, replico, non poté ritrovarvi che quella frase del paragrafo 65:
Meglio che il molto affaccendarsi di alcuni che mostrano di voler giovare alla provincia ed alla città di Bergamo per giovare a sé,
che non è diretta ad alcuno in particolare, che non è diretta loro, che non dovevano in alcun modo attribuirsi, sicuri del loro amore di patria.
Ma alla quale si attaccarono ad ogni costo per potermi inviare colle stampe quel lungo rimprovero, in cui mi vanno dicendo:
che posi il piede sulla trista arena delle contumelie e delle provocazioni, che tenni uno sconveniente contegno, che scagliai colpi non degni d’onesta contesa, e mi chiamano mente esaltata per offeso amor proprio, uomo intollerante d’ogni opposizione, calpestatore delle persone che non riformidarono di oppormisi; e con quanta giustizia, io me ne appello, non all’autore dello scritto, che non conosco; e che non desidero di conoscere, ma al nobile ed equo sentire di tutti i cittadini di Bergamo.
272.° Bergamo, che dapprima difendeva soltanto i proprii interessi e la sua comunicazione con Milano per Monza, si collegò cogli speculatori di borsa, con quelli che non fanno alcun conto di ciò che possa rendere e non rendere una strada di ferro, ma bensì di quello che si può guadagnare o perdere col commercio delle azioni delle strade di ferro, checché avvenga in seguito dell’esecuzione loro.
Questa alleanza lo trasse dalla difesa all’attacco; si volle minacciare di una concorrenza la società lombardo-veneta, proponendo di costruire una terza strada, cioè una strada da Bergamo a Brescia; poscia, convinti che questo non si otterrebbe dalla Sovrana giustizia, o che questo non basterebbe ad isconfortare la società lombardo-veneta dalla costruzione del tronco di strada da Brescia a Milano, si risolse di far il possibile, perché questo tronco non si facesse.
273.° Così sorse la conferenza di Milano del 1.° aprile 1840, tra la sezione lombarda della Direzione e gli interessati nelle strade di Bergamo e di Monza, rappresentati, in quella conferenza, dai signori Barone Eskeles, nobile de Putzer, e Giulio Sarti. Questi proposero:
la società lombardo-veneta ommettesse definitivamente la costruzione della parte di strada di ferro da Brescia a Milano, accettando in compenso, da chi si facesse alla erezione dell’altra da Brescia a Milano per Bergamo e Monza, una parte dell’introito lordo che ne ricaverebbe;
ove ommetterla non volesse definitivamente, almeno la sospendesse intanto, e così di congresso in congresso, finché l’esperienza avesse dimostrato che si potea costruirla con vantaggio anche dopo l’erezione e la concorrenza dell’altra per la linea di Bergamo e Monza. In poche parole, gli interessati di Bergamo e Monza volevano porsi nei diritti e nei vantaggi della società lombardo-veneta per tutto il tronco da Brescia a Milano, scacciandone addirittura la società lombardo-veneta.
274.° La sezione lombarda soggiunse:
essa non essere la Direzione, ma soltanto una parte della Direzione; poi anche la Direzione intiera non aver mandato per deliberare su cosa di tanta importanza; lo avesse anche, sarebbe sempre intempestivo deliberare in allora, cioè prima del privilegio per la strada da Milano a Venezia, prima di quelli delle due strade da Bergamo a Monza, e da Bergamo a Brescia; non parerle la cosa utile alla propria società, pure ne informerebbe la sezione veneta; rifletterebbero e deciderebbero che far si dovesse su questo proposito a privilegio ottenuto.
275.° Allora successe, agli ultimi di maggio 1840, la proposta in iscritto diretta alla Direzione da alcuni dei signori azionisti viennesi (Allegato VV1), affatto simile a quella verbale dei signori Arnstein ed Eskeles, alla quale la Direzione rispose dolerle, ma non esser più in tempo di aggiunger proposte pel vicino congresso, perché l’avviso, che doveva precederlo di giorni quaranta, era già pubblicato.
276.° La cosa era dunque mutata: Bergamo non si limitava più a difendere i propri i interessi, ma cedendo ai consigli dei suoi alleati minacciava l’utilità pubblica e gli interessi della società lombardo-veneta.
277.° Era dunque nostro dovere il difenderli, ed io mi prestai con tutta l’attività possibile.
Da Vienna, dove era, accelerai i lavori del progetto esecutivo della diramazione da Treviglio a Bergamo; da Vienna informai la Direzione (Allegato XX1.)) che una società di speculatori incettava le azioni nostre; concludendo che io temeva che la cosa potesse essere dannosa all’impresa, e scrivendo anche più diffusamente, in via particolare, al presidente signor Reali:
che quelll’aglomerarsi di molte azioni in poche mani, ed in mani di speculatori, mi destava il sospetto che non si avessero poi i denari al momento in cui fossero per occorrere; e che l’impresa fosse per esser tolta dal dominio e dalla influenza dell’utilità pubplica, e condotta sotto il dominio e sotto l’influenza dei capricci, dei voleri, degli interessi egoisti di alcuni individui.
Mi fu risposto, le azioni acquistarsi per venderle poi all’estero a privilegio ottenuto, e quanto al pagamento non temessi, perché gli acquirenti erano tutti ricchi signori.
Appena ritornato in Italia, rividi i progetti esecutivi delle sezioni da Milano a Treviglio e da Padova a Mestre; dissi alla Direzione, nella conferenza del 2 giugno 1840, che il mezzo migliore per opporsi ai tentativi dei signori Bergamaschi ed alleati, era quello d’incominciare i lavori immediatamente da Milano a Treviglio. Il 5 luglio inviai a quella sezione l’ingegnere operatore signor Bossi, perché assumesse immediatamente la direzione dei lavori, dandogli a questo fine tutte le istruzioni occorrenti (Allegato YY1.) ed indirizzandolo alla sezione lombarda (Allegato ZZ1.); finalmente nel rapporto 24 giugno 1840 (Allegato AA1.), nel quale fui la malaugurosa Cassandra di tutto quello che è poi accaduto in seguito, ho scritto alla Direzione:
« Le arti che usano per intorbidare, e per far danno agli interessi nostri, sono arti vecchie, e così poco ingannevoli che non ingannano che quelli che vogliono lasciarsi ingannare. Noi tutti dunque non ci degneremo nemmeno di confutarle, guarderemo lo scopo a cui si vuol giugnere, e contro questo difenderemo l’opera con tutte le forze nostre. Se ci facessimo ad intercluder loro uno di questi tortuosi cammini, ne studierebbero un altro, studierebbero un altro pretesto di apparenza semi-innocente, verrebbero in campo con un altro cavillo, e non la si finirebbe più. Dobbiamo dire francamente: — "Signori, queste sono maschere, quello che volete con tutti questi giri tortuosi, con tutte queste parole, che suonano una cosa per dirne un’altra, è la nostra linea tra Brescia e Milano; e siccome quello che volete ridonda a danno pubblico ed a scapito della società che noi tuteliamo, e dobbiamo, per mandato, per dovere di coscienza, tutelare, noi vi staremo contro finché sarà possibile difendere e salvare questo bene pubblico e questo interesse della società, contro il quale voi operate; e siccome per giungere a questo santo fine il mezzo più efficace è di dar opera ai lavori della strada di ferro da Milano a Treviglio, e da Treviglio a Bergamo, così vi dichiariamo che, per quanto sta in noi, ben lungi dal sospenderli, come ci chiedete, andiamo anzi ad incominciarli subito, e siamo decisi di proseguirli». —
278.° Ecco quello che ho fatto, ed ecco quello che mi meritò dal dottore Cattaneo l’accusa
«che la Direzione non si sottrasse con fatti risoluti ad ogni opposizione, non fece nulla, lasciò inonorato il suo privilegio, "perchè fatto sta che l’ingegnere aveva poco ardore d’impegnarsi nell’opera".
279.° Il conto preventivo della strada di ferro da Milano a Monza, sopra il quale venne accordato il privilegio al nobile signor de Putzer, sommava a lire austriache 1,680,000.
Questo privilegio fu venduto dal nobile signor de Putzer alla ditta Arnstein ed Eskeles di Vienna, e la ditta Arnstein ed Eskeles pose in commercio, per quella strada, 1200 azioni della somma complessiva di lire austriache 3,600,000.
280.° Oltre ciò si erano diffuse, vendendole a grosso aggio, cinque milioni di lire austriache di promesse di azioni per la strada di ferro da Bergamo a Monza, e se ne erano preparate, e diffuse anche in parte, per altri otto milioni di lire austriache per una strada di ferro da Bergamo a Brescia.
281.° La Sovrana risoluzione 29 giugno 1840 rifiutò il privilegio per la strada da Bergamo a Monza, dichiarando che le attuali circostanze non permettevano di accordarlo.
182.° Allora mancò la baldanza della concorrenza di cui si era minacciata la società lombardo-veneta per astringerla alle già esposte trattative; ma sorse più che mai il bisogno di ottenere che il tronco della strada ferdinandea da Brescia a Milano non si facesse, od almeno si sospendesse per guadagnar tempo, utile intanto all’intento maggiore, a quello, o di condurre la società lombardo-veneta per Bergamo e Monza, di persuaderla a permettere che altri vi andasse, rinunciando essa al proprio diritto sulla linea per Treviglio e Chiari; utile ad ogni modo per tentare di riguadagnar quello che si aveva perduto nella strada da Bergamo a Monza, e nel caso più disperato, utile almeno per non esser obbligati a rimborsar subito i premii riscossi nella vendita delle azioni delle due strade da Brescia a Bergamo, da Bergamo a Monza, e per sostenere il credito delle azioni di Monza.
283°. In questo stato di cose e con queste intenzioni vennero in Venezia, al congresso degli azionisti, i signori Bergamaschi ed i loro alleati, ai quali si erano accostati, se non tutti, gran parte degli speculatori che avevano incettato in Vienna molte delle azioni della strada lombardo-veneta (paragrafo 277).
284.° Prima si cercò di farsi forti di nuovi alleati, poi di trovar con questi un mezzo opportuno a soddisfare possibilmente ai desiderii di tutti i collegati.
Per attirare alleati si ricorse all’antica e perenne fonte delle cieche e misere emulazioni italiane tra città e città, tra provincia e provincia.
Si sparse, nulla importare ai Veneti che la parte di strada di ferro percorrente le provincie lombarde si facesse o non si facesse, si facesse piuttosto in una direzione che in un’altra, piuttosto da questi che da quelli.
Ad essi importare che la parte veneta si facesse, e si facesse presto.
Quindi il meglio, pei Veneti, essere che le cose sul Lombardo almeno si sospendessero; così sarebbero i primi ad aver la strada di ferro; così sarebbero per loro i primi vantaggi, tutta l’attività della società, e forse tutti i cinquanta milioni degli azionisti.
Per ciò i loro voti dover essere per quelli che volevano i lavori, intanto, sospesi nella Lombardia, che volevano, in seguito, che l’impresa attuale si fermasse a Brescia, lasciando andar chi più vuole, e come più vuole, da Brescia a Milano.
285.° Questo era rendere impossibile l’impresa, rovinar Veneti e Lombardi, far danno al pubblico ed agli azionisti; ma i pregiudizii e le passioni vedon corto e vanno a caso, e molti voti veneti piegavano ai desiderii di Bergamo.
286.° Allora credetti dover mio di dire sopra ciò la verità al pubblico ed alla società, e stampai una seconda Memoria sotto il titolo:
"Dietro quali considerazioni generali, topografiche, economiche, tecniche si debba determinare il luogo o luoghi dove giova incominciare i lavori di costruzione della i. r. strada ferdinandea lombardo-veneta per la maggior utilità pubblica, e per la maggiore utilità degli azionisti che imprendono a costruirla".
In essa dimostrai che l’utilità pubblica, quella degli azionisti, la buona disposizione, la economia, la sollecita esecuzione delle opere, esigevano che i lavori s’incominciassero ad ambi gli estremi, procedendo verso Verona e verso Brescia.
Ed anche questa Memoria e questa stampa, spontanee, per quel poco ardore che aveva d’impegnarmi nell’opera, e singolarmente nella parte lombarda, di cui mi accusa la solita sincerità del dottore Cattaneo.
287.° Parlai indarno: l’avvocato signor Castelli propose al congresso degli azionisti: (Allegato BB2.)
S’incominciassero i lavori esclusivamente da Venezia a Mestre, e da Mestre a Padova; si sospendessero in tutta la parte lombarda;
la mia linea, già approvata da Sua Maestà, fosse sottoposta all’esame di una commissione di cinque per tutta la parte che correva da Brescia a Milano, onde vedessero se si dovesse seguirla, se si dovesse preferire ad essa un’altra per Bergamo e Monza;
la Commissione fosse nominata dalla Direzione entro quindici giorni, contando dal congresso; pronunciasse in quattro mesi, contando dalla nomina.
288.° Da Milano a Monza la linea era già occupata; da Monza a Bergamo vi era una domanda preventiva dei signori Bergamaschi, e questo si sapeva dall’avvocato signor Castelli e da tutti gli altri. La società lombardo-veneta, andando a Milano per Bergamo, oltre tutti gli altri danni, avrebbe avuto dunque anche quello di dover comperare (e chi sa a qual prezzo!) la libertà di passaggio da Bergamo a Milano, che le era stata accordata gratis da Sua Maestà.
Non importa; l’espediente parve opportuno a contentar i Veneti, ed a dar tempo ed anche buone speranze a tutti gli altri collegati, sicché la proposizione Castelli fu accettata da 676 voti, e respinta da 230.
289.° Tutti poi sanno, perchè ormai la cosa appartiene alla fama pubblica,
come il presidente signor Reali proponesse, me presente, nel giorno 31 luglio 1840, ai di lui colleghi di dare ai procuratori dei signori Bergamaschi e consorti dieci nomi, affinchè si scegliessero, fra questi, i cinque che loro fossero più aggraditi, al che i di lui colleghi risposero del no;
in qual modo la Direzione abbia conservato in seguito la sua indipendenza nella nomina della Commissione;
chi abbia in questa nomina influito;
a chi siansi fatti aggradire i nominati;
quali persone rispettabili vi siano state escluse dopo che erano stati invitati ad accettare, dopo che avevano accettato, dopo che la loro accettazione era stata resa pubblica colle stampe, e per domanda di chi siano state escluse;
come i quindici giorni della nomina si siano mutati in quattro mesi;
e come la Commissione, dopo di aver pubblicato il suo voto colle stampe il 20 marzo 1841 abbia atteso sino alla fine di giugno, cioè tre interi mesi, prima di pubblicarne i motivi. (Vedi Gazzetta privilegiata di Milano, N. 173, 22 giugno 1841.)
290.° L’impresa aveva cambiato di scopo e di dominio, appunto come io aveva temuto, e come aveva enunciato (paragrafo 277), e quindi erasi resa, se non impossibile, almeno assai incerta la di lei esecuzione. Era caduta sotto il dominio di qualche interesse particolare, ed erasi fatto suo scopo il guadagno di alcuni pochi con danno, a mio avviso, del bene pubblico e degli interessi generali della società.
Ciò che era certo nel mio contratto, e doveva esser certo, diveniva contingente, e poteva mutarsi.
Ed il primo ed unico segno di soddisfazione datomi dalla società per l’opera da me prestatale fu il suo pubblico assentimento alla proposta Castelli.
Per pormi in faccia al contratto mio in quell’identico stato di provvisorietà e di sospensione, in cui eransi poste spontaneamente la società e la Direzione, dichiarai alla Direzione col mio foglio 31 luglio 1840 (Allegato CC2.):
sospendere anche io di prestare l’opera mia alla società finché fosse definitivamente deciso se ciò che mi si era promesso e garantito col contratto mi si manterrebbe, cioè sé sarebbe eseguito per la strada di ferro da Venezia a Milano, e per tutta, il progetto compilato da me e Sovranamente approvato, o quello di un altro.
Della quale mia risoluzione aveva già molto prima, e replicatamente, fatto cenno alla Direzione della società. (Allegato DD2.)
291.° Chi poi avrà, la bontà e la pazienza di leggere, dall’Allegato EE2 sino all’Allegato OO2. il carteggio corso poscia tra la Direzione e me, vedrà che, malgrado quella mia dichiarazione, io continuai a dirigere i lavori interni dell’ufficio tecnico fino alla di lui distruzione;
che questa distruzione fu fatta dai signori direttori Giacomo Biffi e nobile Papadopoli, in onta al mio contratto, in onta alla riserva fattami nell’atto di consegna dell’ufficio suddetto15, ed abusando di quella consegna;
che in fine in quel frattempo ho per ben due volte proposto, o dietro domande della Direzione, per la nobile mediazione di distintissimi personaggi, di riassumere la sospesa suprema direzione dell’opera, ma fino al primo congresso degli azionisti, proposte che furono per ben due volte rifiutate dalla Direzione.
292.° Io assunsi di prestar la mia opera alla società il 27 maggio 1837, partendo da Berlino dietro invito della Commissione fondatrice lombardo-veneta (Allegato EE), e la sospesi il 31 luglio 1840 in causa della proposta Castelli. La ho dunque prestata per trentotto mesi e cinque giorni.
Il contratto 18 gennaio 1838 (Allegato HH) stabilì
il mio onorario annuo (articolo 7.°) in lire austr. 15,000;
l’indennizzo di vitto ed alloggio per ogni giorno fuori di Verona, ma nel Regno lombardo-veneto in lire 18;
e fuori del Regno lombardo-veneto in lire 30;
l’indennizzo di posta, per ogni posta in lire 9.29.
Oltre questo, l’articolo 12. del contratto pattuì che, a progetto compiuto e superiormente approvato, mi sarebbe accordato dalla Direzione un premio condegno.
L’onorario dunque che io ho riscosso pei 38 mesi e cinque giorni in cui prestai l’opera mia alla società, fu di lire austr. 47,701
A questo unendo il premio accordatomi dalla Direzione col foglio 4 giugno 184o (Allegato PP2.) in16,000
La somma totale dell’onorario da ma riscosso è di lire austr. 63,701
E non già di più di 88 mila lire, come scrive il dottore Cattaneo alla pagina 42.
Per giugnere a quella somma di più di 88 mila lire, egli aggiunse all’onorario, senza dirlo:
gli indennizzi di vitto e di alloggio che sommano a lire 19,380; e quelli di posta del valore di lire 8,762.
Sui primi non ho fatto guadagni;
sui secondi ho sempre perduto.
Ed ecco a quali misere discussioni si è ridotti quando la mala ventura porta a contatto di chi falsifica perfino i numeri delle specifiche, e chiama, ingannando il pubblico, onorario gli indennizzi di vitto e di posta.
2g3.° Ma strigniamo le conclusioni di questo articolo.
Per isciogliere il mio contratto occorre qualche cosa di più che lo spicciativo richiamarlo e cassarlo del dottore Cattaneo: occorre invece una o più sentenze dei tribunali.
Quel suo "fatto sta che l’ingegnere aveva poco ardore d’impegnarsi nell’opera" è una vergognosa calunnia degna di lui, perchè non prova quello che afferma, perchè, per un di più, io ho provato il contrario.
L’intiero onorario che io ho riscosso non è di più di 88 mila lire, ma soltanto di lir. 63,701; e se ancora sembrasse mostruoso al dottore Cattaneo, avrà almeno dalla mia condotta imparato, che non vi è mostruosità di onorario che possa spaventare o sedurre un uomo onesto, e farlo esitare un istante a rinunciarvi quando creda in coscienza che il di lui dovere ed il di lui onore lo esigano.
- ↑ Ho dimostrato in una Memoria apposita «Perchè ed a quali condizioni abbia preso parte all’impresa della costruzione di una strada a guide di ferro da Venezia a Milano; perchè e come sia uscito dall’impresa suddetta».
Di questa Memoria ho depositato intanto, e sino dal 26 aprile 1841, una copia negli atti dell’accademia d’agricoltura, commercio ed arti di Verona, di cui ho l’onore di essere socio attivo. - ↑ Codice di commercio: articoli 37, 40, 42, 45. Risoluzione Sovrana 25 febbraio 1837 ed articolo secondo delle relative auliche istruzioni. (Vedi l’opuscolo a stampa intitolato: Strada ferrata da Venezia a Milano, 1.° settembre 1837.).
- ↑ Dal 24 agosto al 22 settembre 1838
- ↑ Dal 24 agosto al 22 settembre 1838
- ↑ Dal 10 novembre i838 all’11 gennaio 1839
- ↑ Dal 24 gennaio al 27 marzo 1839.
- ↑ Dal 7 aprile al a giugno 1839.
- ↑ Dall’11 giugno 1839 al 19 maggio 1840.
- ↑ Dal 29 maggio al 14 giugno 1840.
- ↑ Dal 13 luglio al 1.° agosto 1840.
- ↑ Bergamo, stamperia Crescini 1837.
- ↑ Bergamo, tipi Crescini 1838, pagina 5.
- ↑ Bergamo, tipi Crescini 1838, pagina 14.
- ↑ Qual linea seguir debba da Brescia a Milano, ec. Milano, tipografia Bernardoni 1840.
- ↑ "L’ingegnere Milani protesta di divenire alla presente consegna senza pregiudizio dei diritti che a lui derivano dal contratto 18 gennaio 1838, e cose precedenti il contratto medesimo, e sotto tutte quelle riserve che ha già esternate alla Direzione colla sua lettera del giorno 8 agosto 1840".