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276.° La cosa era dunque mutata: Bergamo non si limitava più a difendere i propri i interessi, ma cedendo ai consigli dei suoi alleati minacciava l’utilità pubblica e gli interessi della società lombardo-veneta.

277.° Era dunque nostro dovere il difenderli, ed io mi prestai con tutta l’attività possibile.

Da Vienna, dove era, accelerai i lavori del progetto esecutivo della diramazione da Treviglio a Bergamo; da Vienna informai la Direzione (Allegato XX1.)) che una società di speculatori incettava le azioni nostre; concludendo che io temeva che la cosa potesse essere dannosa all’impresa, e scrivendo anche più diffusamente, in via particolare, al presidente signor Reali:

che quelll’aglomerarsi di molte azioni in poche mani, ed in mani di speculatori, mi destava il sospetto che non si avessero poi i denari al momento in cui fossero per occorrere; e che l’impresa fosse per esser tolta dal dominio e dalla influenza dell’utilità pubplica, e condotta sotto il dominio e sotto l’influenza dei capricci, dei voleri, degli interessi egoisti di alcuni individui.

Mi fu risposto, le azioni acquistarsi per venderle poi all’estero a privilegio ottenuto, e quanto al pagamento non temessi, perché gli acquirenti erano tutti ricchi signori.

Appena ritornato in Italia, rividi i progetti esecutivi delle sezioni da Milano a Treviglio e da Padova a Mestre; dissi alla Direzione, nella conferenza del 2 giugno 1840, che il mezzo migliore per opporsi ai tentativi dei signori Bergamaschi ed alleati, era quello d’incominciare i lavori immediatamente da Milano a Treviglio. Il 5 luglio inviai a quella sezione l’ingegnere operatore signor Bossi, perché assumesse immediatamente la direzione dei lavori, dandogli a questo fine tutte le istruzioni occorrenti (Allegato YY1.) ed indirizzandolo alla sezione lombarda (Allegato ZZ1.); finalmente nel rapporto 24 giugno 1840 (Allegato AA1.), nel quale fui la malaugurosa Cassandra di tutto quello che è poi accaduto in seguito, ho scritto alla Direzione:

« Le arti che usano per intorbidare, e per far danno agli interessi nostri, sono arti vecchie, e così poco ingannevoli che non ingannano che quelli che vogliono lasciarsi ingannare. Noi tutti dunque non ci degneremo nemmeno di confutarle, guarderemo lo scopo a cui si vuol giugnere, e contro questo difenderemo l’opera con tutte le forze nostre. Se ci facessimo ad intercluder loro uno di questi tortuosi cammini, ne studierebbero un altro, studierebbero un altro pretesto di apparenza semi-innocente, verrebbero in campo con un altro cavillo, e non la si finirebbe più. Dobbiamo dire francamente: — "Signori, queste sono maschere, quello che volete con tutti questi giri tortuosi, con tutte queste parole, che suonano una cosa per dirne un’altra, è la nostra linea tra Brescia e Milano; e siccome quello che volete ridonda a danno pubblico ed a scapito della società che noi tuteliamo, e dobbiamo, per mandato, per dovere di coscienza, tutelare, noi vi staremo contro finché sarà possibile difendere e salvare questo bene pubblico e questo interesse della società, contro il quale voi operate; e siccome per giungere a questo santo fine il mezzo più efficace è di dar opera ai lavori della strada di ferro da Milano a Treviglio, e da Treviglio a Bergamo, così vi dichiariamo che, per quanto sta in noi, ben lungi dal sospenderli, come ci chiedete, andiamo anzi ad incominciarli subito, e siamo decisi di proseguirli». —

278.° Ecco quello che ho fatto, ed ecco quello che mi meritò dal dottore Cattaneo l’accusa

«che la Direzione non si sottrasse con fatti risoluti ad ogni opposizione, non fece nulla, lasciò inonorato il suo privilegio,