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Risposi del no, dissi, e lo dissi anche alla Direzione, che vi erano interessi generali e interessi particolari: che nostro obbligo era quello di studiare e di difendere gli interessi generali e quelli della società lombardo-veneta; che fin tanto che questi interessi del pubblico e della società non erano ingiustamente lesi, ingiustamente attaccati, noi non dovevamo opporci ad alcuno; e che quanto ai signori Bergamaschi, erano, almeno sino allora, non solo nel loro diritto, ma nel loro obbligo, se si facevano a sostenere ed a difendere gli interessi della città di Bergamo.
Non risposi dunque alla prima Memoria: non alla seconda1, quantunque vi si chiamasser declamazioni, quanto io aveva detto circa al braccio da Treviglio a Bergamo, e lo si nominasse l’ipotetico braccio di Treviglio: non alla terza2, in cui lo si dice il sognato braccio di Treviglio, una assoluta chimera finalmente non a quello che mi apposero e mi fecero dire, per farmi torto, nel loro ricorso umiliato a Sua Maestà, come p. e.:
lo sperticato errore, che sia impossibile, in una linea di circa trenta miglia, vincere col mezzo dei motori ordinarii un’altezza di circa 114 metri;
la necessità in cui erano, di porre in chiaro il procedere poco sincero della opposta parte, e l’impossibilità di tenere l’offerta del braccio di Treviglio tanto in arte come sotto le viste dei mezzi economici;
00e tutto non esser altro che un’ingannevole astuzia onde calmare i concitati clamori.
270.° E non solo non ho risposto a tutto questo, ma quando i signori Bergamaschi ottennero, per l’aulica risoluzione 30 agosto 1839, N. 24845-1853, il permesso di sottoporre all’esame della commissione, prescritta dall’articolo 7.° delle direttive, il loro progetto per una strada di ferro da Bergamo a Monza, avendovi la Direzione della strada lombardo-veneta mosso contro con un ricorso presentato a S. A. I. il Principe Viceré, ho tanto pregato, ho tanto insistito presso la Direzione dicendo e dimostrando, che non avevamo il diritto di opporci, che non conveniva turbare la protezione degli interessi altrui finché gli altri rispettavano quella che noi dovevamo agli interessi a noi affidati, che quel ricorso fu ritirato.
Questo fatto è noto, ma chi ne volesse una prova, potrà raccoglierla dal foglio della Direzione. (Allegato UU1.)
271.° E ciò servirà, intanto, di risposta a quelli che vanno dicendo, che la questione dei signori Bergamaschi si è inasprita per colpa mia, in causa delle stampe mie.
La mia Memoria sopra la linea da Brescia a Milano3 mi fu commessa dalla Direzione in Milano nelle conferenze del giugno 1840.
In tutta quella Memoria, la ricerca più scrupolosa dei signori Bergamaschi, che pure avevano un grande bisogno di sostenere, almeno con una qualche apparenza di verità, quell’esordio delle acerbe e concitanti espressioni dell’ingegnere Milani con cui incominciarono l’ultimo capo del loro nuovo esame; la ricerca più scrupolosa, replico, non poté ritrovarvi che quella frase del paragrafo 65:
Meglio che il molto affaccendarsi di alcuni che mostrano di voler giovare alla provincia ed alla città di Bergamo per giovare a sé,
che non è diretta ad alcuno in particolare, che non è diretta loro, che non dovevano in alcun modo attribuirsi, sicuri del loro amore di patria.