Atto I

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Personaggi Atto II
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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Rinaldo, Armelinda, seguito.

Rinaldo. Valorosi compagni, eccoci alfine

Ritornati alla patria. Oh quanta gloria
Per noi s’accresce al bel Francese regno!
Oggi vedremo il nostro Re. Qui deve
Carlo venir: Carlo terror de’ forti,
Amor de’ giusti, della Francia onore,
E d’Europa e del mondo arbitro e Sire,
Sì, qui verrà. Bella fortuna, amici,
Aver le lodi dell’eroica impresa
Di bocca stessa dell’eroe maggiore
Ch’abbia la terra! Principessa, il pianto
Tergete ormai: non è la vostra sorte

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Infelice cotanto: avrete solo

Cangiato cielo, e non fortuna: in Carlo
Avrete un regio padre, in me un amico,
In Clarice mia moglie una compagna,
Tutti impegnati a rendervi contenta.
Serenatevi ormai.
Armelinda.   Prode Rinaldo,
Molto vi deggio, il so: le mie catene
Voi rendete leggiere; in Carlo io spero
Un re clemente; nella Francia io trovo
Il giardin della terra: ma due pegni
Cari troppo al cuor mio lasciai fra l’armi:
L’uno è il mio genitor, l’altro è il germano.
Rinaldo. Li rivedrete in breve. A lor lasciai
E vita, e libertà; sapete voi
S’era in mia man l’avergli o schiavi, o estinti.
Rispettai il loro grado: alle proposte
Di pace m’arrestai: voi trasportata
Da soverchio valore, e in poter giunta
Dell’armi vincitrici, io guidai meco
Sol per ostaggio; della pace i patti
Carlo soscriverà: voi tornerete
Consolata e felice al patrio regno.
Armelinda. M’affido in voi: tanta virtù comprendo
Dal vostro cuor, che il diffidar sarebbe
Troppa ingiustizia. Ov’è la vostra sposa?
Conoscerla vorrei, vorrei prestarle
Quell’omaggio1 che merta una consorte
Dell’illustre Rinaldo.
Rinaldo.   Ella dovrebbe
Tardar non molto ad incontrarci. E quegli
Che vedete colà sovra quel colle
Il mio povero albergo. Sin dai primi
Francesi re della seconda stirpe,

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Donato fu di Mont’Albano il forte

Agli avi miei. Povero è il sito, è vero:
Ma pure è mio; vostro sarà sin tanto
Degnerete gradir l’offerta umile.
Avvisata è Clarice: io nel Castello
Entrar non vo’, poichè a momenti attendo
Quivi il mio Re. (si cala il ponte
Armelinda.   Veggio calare il ponte...
Vien ella forse?
Rinaldo.   Ah! Sì, vien la mia sposa,
E seco il caro figlio. O dolci oggetti
Del tenero amor mio! Tutto mi sento,
Tutto il sangue in tumulto. Ah! si raffreni
L’impeto della gioia: anche l’affetto,
Benchè giusto e innocente, ha i suoi confini.
Armelinda. (Che sublime parlar! Merta Rinaldo
Della terra l’impero). (a parte
Rinaldo.   Ad incontrarla
Permettete ch’io vada.
(Escono dalla porta Clarice e Ruggiero: Rinaldo va ad incontrarli.
Armelinda.   È giusto: andate.
Infelice Armelinda! A qual destino
Mi preservano i Dei? La patria, il padre,
E quant’altro lasciai, non è l’estrema
Delle perdite mie: perduto ho il core.
Rinaldo mel rapì: ma pur degg’io
Dissimular cotanto ardore. E vano
Il lusingarsi: egli è marito; adora
La fedele consorte: a me non resta,
Che un avanzo infelice di virtude
Per coprir il mio fuoco: i Dei pietosi
Non mi rendano cieca: a poco a poco
Sento che la virtù vado perdendo.

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SCENA II.

Clarice, Ruggiero e detti.

Clarice. Adorato consorte, alfine il cielo,

Pietoso ai voti miei, pur mi concede
Rivedervi, abbracciarvi.
Rinaldo.   Oh sposa! Oh figlio!
Cari pegni diletti: oh qual risento
Insolito piacer nel rivedervi!
Ruggiero. Padre e signor, donatemi il contento
Ch’io vi baci la mano.
Rinaldo.   Prendi, Ruggiero,
Prendi, dell’alma mia parte più cara,
Vieni al mio seno.
Armelinda.   (Oh tenerezza!)
Clarice.   Io deggio
Dirlo in faccia di lui: figlio più saggio
Sperar non si potria.
Rinaldo.   Caro, quai furo
Gli studi tuoi?
Ruggiero. Da che partiste, io tutte
Scorsi le vie dei mondo a parte a parte
Su lineati fogli: appresi i tempi
In epoche a partir: le sacre storie
Unir colle profane: i nomi tutti
Rammentar degli eroi: serbar dei fatti
Più illustri il tempo; e della Francia nostra
L’origine, le guerre, i re, le leggi,
Sopra tutto osservai. Oh quante volte,
Fra gli eroi delle Gallie, i nomi illustri
Trovai degli avi nostri! Oh quanto in seno
Piacer destommi il rammentar qual sangue
Scorre nelle mie vene!
Rinaldo.   Ah, no, mio figlio,

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No, non t’insuperbir degli altrui merti;

Cerca solo imitarli: a te di scorno
Sarian quegli avi illustri, allor che indegno
Ti rendessi di loro. I tuoi natali
Son della sorte un dono: a te s’aspetta
Farti maggior colle tue gesta: io t’apro
Il sentier della gloria; un dì potrai
Forse di me più franco e più felice,
Trovar la meta, se può darsi in terra
Verace gloria tra fallaci oggetti.
Principessa, è questa2 (ad Armelinda
La sposa mia, la vostra serva; in essa (a Clarice
Riverite, Clarice, un germe illustre
Del gran Re di Marocco.
Clarice.   A voi s’inchina,
Donna regal... (mentre si umilia, Armelinda la trattiene
Armelinda.   Cotanto non s’abbassi
Di Rinaldo la moglie: a me sol basta
Il titolo d’amica; e nel mio stato,
Quanto posso sperar, l’affetto vostro.
Ruggiero. Padre? Perchè di Francia3
Questa donna infedel l’aure respira?
Rinaldo. Francia è madre pietosa: ella di Roma
Serba il prisco costume; accoglie in seno
Anco i nemici, e cittadini i rende.
Clarice. Sposo, potrò sperar d’avervi meco
Più che un sol dì? Cotesta vostra gloria,
Quanto pianto mi costa!
Rinaldo.   Ho di bisogno
Di riposo e quiete4: il mio Castello
Con voi spero godermi, in fin che rieda
La novella stagion: quando il permetta
Il nostro Re.
Clarice.   Saria troppo indiscreto,

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Se ciò ancor vi negasse.

Rinaldo.   Ed io sarei,
Ricusando ubbidirlo, un reo vassallo.
Clarice. Dunque pel vostro Re sarete ingrato
Colla moglie che v’ama?
Rinaldo.   Io prima fui
Suddito, che marito.
Clarice.   E che sperate
Da tanta fedeltà? Bastante appena
Questa sarà per rintuzzar le insidie
Degli inimici vostri.
Rinaldo.   Un cuor fedele
Degli inganni non teme.
Clarice.   I Maganzesi
Han saputo altre volte gl’innocenti
Opprimere pur troppo.
Rinaldo.   E che degg’io
Perciò temer?
Clarice.   Che tanta gloria offenda
Gli occhi invidiosi.
Rinaldo.   A me però sol basta
Che gli occhi del mio Re scorgano il vero.
Clarice. Si potriano abbagliar.
Rinaldo.   Da chi?
Clarice.   Dagli empi
Nemici vostri.
Rinaldo.   Ah! Perchè mai volete
Femminile timor seguir voi sempre?
Temer di tutto è il maggior mal che puote
L’uomo soffrir.
Clarice.   E il non temer di nulla,
Spesso è il male maggior che l’uomo opprime
Ruggiero. I consigli di donna ognor non sono
Da sprezzarsi egualmente. Io lessi, o padre,
Che femmina talor predisse il vero.

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Rinaldo. Fu caso, e non virtù. So quanto saggia

Siate, Clarice; io v’amo; in voi rispetto
Il vostro sangue, il merto vostro; il veggio,
Che affetto è quel che mi vorria men forte:
Ma l’affetto mi piace insino a tanto
Che oscurar la mia gloria ei non procuri.
Armelinda. (Sensi d’anima grande!) (a parte
Ruggiero.   Amor sì forte
Per la gloria non ebbe un Alessandro,
Un Cesare, un Augusto, un Costantino.

SCENA III.

Orlando e detti.

Orlando. Rinaldo, amico, ad incontrarvi io vengo,

Per darvi un nuovo testimon di vera,
Di costante amicizia.
Rinaldo.   Alle mie braccia
Venite, amico: io non potea bramarmi
Gioia maggior.
Orlando.   Sa il ciel quanto mi duole
Il dovervi recar nuove funeste.
Rinaldo. Funeste! A chi?
Orlando.   Funeste a voi.
Rinaldo.   Nel giorno
Ch’io torno vincitor?
Orlando.   Tanto ha potuto
L’invidia oprar, che la vittoria vostra
Tradimento apparisce.
Rinaldo.   Io credo, amico,
Difficil cosa l’oscurar le mie
Felicissime imprese.
Orlando.   E pur vi giunse
L’arte de’ Maganzesi.
Clarice.   Ah! non lo dissi,

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Che terribili son? (a Rinaldo

Rinaldo.   Tacete: io fido
Nella virtù di Carlo.
Orlando.   Egli a momenti
Per punirvi verrà.
Rinaldo.   Ma di qual fallo?
Orlando. D’aver coll’African segreti patti.
Rinaldo. Pubblici sono i nostri patti. Ho meco
La sua figlia in ostaggio: eccola.
Orlando.   Il sanno
Che Armelinda è con voi, ma di ciò pure
Siete aggravato. Uditemi: (si dice
Che ne siete invaghito). (piano a Rinaldo
Rinaldo.   Ah scellerati!
E Carlo il crede?
Orlando.   Non lo so. Fra poco
A voi verrà. Non vi consiglio, amico,
D’attenderlo sul campo: egli potrebbe
Forse precipitar contro di voi
Qualche strano comando. Entro al Castello
Ritiratevi, udite in qual maniera
Vuol favellarvi: se vi chiama amico,
Fidatevi di lui; ma s’ei minaccia,
Guardatevi per or dal primo sdegno:
Vi scolperete poi; ma non vi vegga
La nemica nazion gemer fra lacci.
Clarice. Saggio è, amico, il consiglio. Andiam, Rinaldo,
Difenderanvi dall’inique trame
I soldati, le guardie, il sito e il cielo.
Rinaldo. No, no, qui vo’ restar: sa il Re di Francia
Qual sia la fede mia, sa quanto vaglia
Il mio braccio per lui: può la malizia
De’ Maganzesi denigrar mia fama
Presso i stolidi sì, non presso Carlo,
Saggio e giusto monarca.

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Orlando.   Il primo esempio

Sareste voi d’un innocente oppresso?
Rinaldo. Sotto impero tiran potrei temerlo.
Orlando. E un uomo il Re; puote ingannarsi.
Rinaldo.   Ho prove
Della regia virtù del mio Signore.
Orlando. Amico, non sprezzate il mio consiglio.
Rinaldo. Veggo l’affetto vostro, e ne son grato.
Orlando. Inutil vi sarà, se noi curate.
Rinaldo. Sempre mi gioverà l’amor d’Orlando.
Orlando. Addio. Carlo m’attende. Il Ciel secondi
La magnanima idea del vostro cuore.
Clarice. Deh, non ci abbandonate. (ad Orlando
Orlando.   Io feci quanto (a Clarice
L’amicizia potea. L’affetto vostro
L’opra compisca.
Clarice.   (Oh sventurato affetto!) (a parte
Armelinda. Signor, che intesi? In questa guisa il merto
Si compensa fra voi? Se il Re mio padre
Avesse un capitano a voi simile,
Che non faria per ingrandirlo? In premio
Della vostra vittoria, or si minaccia
Di rovinarvi? E voi servir volete
Un monarca sì ingiusto?
Rinaldo.   Ah no, cotanto
Non v’avanzate. Rispettate il nome
Del gran Re delle Gallie: egli è incapace
D’esser ingrato; penerà fors’anco
Nel sentirmi accusar: ma un Re non deve
Per tutto ciò che ad un vassallo ei debba,
La giustizia5 obliar. Perch’io sia degno
Del suo regio favor, porrà in confronto
Delle calunnie altrui la mia innocenza.
Clarice. Vi figurate un re qual lo vorreste:

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Ma sì facil non è che tal sia sempre.

Deh, ponetevi in salvo: avrete tempo
Meglio così di rilevar qual sia
Con voi codesto re.
Rinaldo.   No, non mi trovi
Effeminato in coniugali amplessi.
Ite. Voi nel castello, e tu, Ruggiero,
Segui la madre.
Ruggiero.   Oh Dio! Deh, non vogliate
Che mi stacchi da voi: bramo presente
Esser anch’io del nostro Re all’aspetto.
Padre, chi sa qual de’ nemici vostri
Esser potrà l’ardir?
Rinaldo.   Che far vorresti
Contro i nemici miei?
Ruggiero.   Mostrar ch’io sono
Degno figlio di voi. Di Carlo in faccia
Sostener l’onor vostro; e s’uopo fosse,
Con la spada provar...
Rinaldo.   Frena cotesto
Sconsigliato valor. Del Re l’aspetto
Non sai ch’è sagro? Ei rappresenta in terra
La potenza de’ numi. Ah non fia mai,
Per qualunque ragion, mio caro figlio,
Che alla regia Maestà scemi il rispetto:
Vanne, e m’attendi; e voi, saggia Clarice,
Moderate il cordoglio; itene, in breve
Sarò con voi.
Clarice.   Lo voglia il ciel, ma temo.
Andiamo, figlio mio, così comanda
Il signor nostro: andiam; sa Dio, Ruggiero,
Se lo vedrem mai più. (s’invia al Castello
Ruggiero.   Povera madre!
Mi fa pietà! Frenar non posso il pianto.
Rinaldo. Ruggiero? Olà, che fai?

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Ruggiero.   Nulla, signore.

Non piango già: so ch’è viltade il pianto.
Soffrirò con costanza, e ad ogni evento
Rammenterò che vostro figlio sono. (segue la madre
Rinaldo. Principessa, voi pur seguir potete
L’orme della mia sposa. Al vostro grado
Convenevol non è cotesto campo.
Itene, se v’aggrada.
Armelinda.   Il piacer vostro
Solo desio. V’attenderò. Vi salvi
Pietoso il Ciel. (Pietoso il Ciel difenda
Da violenza maggior l’affetto mio). (a parte
(segue Clarice e Ruggiero
Rinaldo. Ecco qual sempre fu, qual esser suole
Coll’uomo il mondo: egli i maggior piaceri
D’amarezza condisce, acciò di lui
Troppo il mortal non s’invaghisca, e pensi
Che altrove sono i stabili perfetti
Sospirati piaceri: ella del mondo
Arte però non è; ma di chi il fece,
Di chi lo regge, di chi l’uom dirige
Per l’eterna beata unica gloria.
Io dunque, che sperar non posso in terra
Piena felicità, dovrò stupirmi
Di sventure improvvise? Ah, no! La sorte
Opri a suo senno, io sarò sempre eguale
Nello stato felice e nell’avverso.
Intrepido il mio cuor... Ma che rimiro?
Giunge il perfido Gano: io so qual cuore
Chiuda nel seno, e pur rassembra in volto
Pietoso, umil. Quanto s’inganna l’uomo
Che giudizio d’altrui forma dal volto!

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SCENA IV.

Gano e detti.

Gano. Ah! Signor, perchè mai vedervi io deggio

Prima d’ogni altro in sì funesto giorno?
Io, che tanto vi stimo e tanto v’amo,
Malgrado al mio dolor, deggio recarvi
L’annuncio rio. Povero Duce! Oh quanto
Duolmi del caso vostro!
Rinaldo.   Se mi amate,
Più sospeso così non mi tenete,
Ditemi il mio destin.
Gano.   Deh, non s’offenda
Della nostra amicizia il bel candore,
Se del nostro Monarca adempio il cenno.
Carlo vi vuol prigion; vuol che la spada
Ponete in le mie man.
Rinaldo.   Non vi lagnate,
Se ricuso ubbidir cotesto cenno:
A Carlo solo io cederò la spada.
Gano. Forse indegno son io del vostro brando?
Rinaldo. Di me, del sangue mio Gano è signore;
Ma del mio onor non v’è chi possa in terra
Usar arbitrio.
Gano.   Un difensore avrete
In me dell’onor vostro: il regio impero
Eseguite, Rinaldo; indi fidate
Nell’amor mio.
Rinaldo.   Sperai del vostro amore
Più sollecite prove. Un vero amico
Dissuaso averebbe6 il suo Monarca
D’oltraggiar l’innocenza. Ed egli chiede
La spada mia! Dunque son reo! Ma come,
Senza volermi udir, reo mi condanna?

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Deh, se amico mi siete, a’ miei nemici

Ponetemi in confronto. Il Re m’ascolti;
Se sarò reo, mi punirà.
Gano.   Ma quando
A punirvi comincia, io creder deggio
Che certo il Re sia delle colpe vostre:
Rimproverarlo d’ingiustizia adunque
Mi consigliate? Irriterei piuttosto
Contro voi, contro me, del Re lo sdegno.
Rinaldo. Ma qual colpa commisi? Di che mai
Carlo mi crede reo?
Gano.   Nol so: codesto
È cenno suo, non del consiglio. In petto
Egli serba l’arcano.
Rinaldo.   E pur non suole
Della sorte dispor de’ Capitemi,
Che in Consiglio di guerra.
Gano.   Ei questa volta
L’ordine sovvertì. Su via, Rinaldo,
Mostratevi ubbidiente, e non tardate
La spada a consegnar.
Rinaldo.   Sperate invano,
Ch’io la consegni a voi. (risoluto
Gano.   Oh! se sapeste
Qual sia l’ordine ch’ebbi, ardito meno
Vi mirerei.
Rinaldo.   Spiegate, eseguite7
Il comando del Re.
Gano.   Dovrò la forza
Con voi usar.
Rinaldo.   Sì, quella forza usate,
Che v'inspira il coraggio: io la ragione
Userò in mia difesa.
Gano.   Io venni solo

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Per usarvi rispetto: ho però meco

I soldati del Re poco lontani.
Rinaldo. Son soldati del Re questi pur anco,
Ma sono avvezzi a pugnar meco.
Gano.   Intendo.
Capo de’ sollevati e de’ ribelli
Vi dichiarate. È questi forse il colpo
Preveduto da Carlo.
Rinaldo.   Il vostro ingegno
Può prevalersi della mia sventura
Per accrescer calunnie. Io però fido
Nel Cielo, e nel mio Re.
Gano.   (Giunge il Monarca.
Opportuno è l’incontro). (a parte) O quella spada
Cedetemi, o ch’io stesso il più crudele
Sarò nemico vostro. (Gano impugna la spada
Rinaldo.   Io la difendo
Con tutto il mio valor. (Rinaldo impugna la spada
Gano. Venite, amici,
Eseguite il comando. (escono i satelliti di Gano
Rinaldo.   Soccorrete,
Fedeli, il Duce vostro8.
(vanno per attaccarsi, e nel mentre esce Carlo

SCENA V.

Carlo con guardie, Florante e detti.

Carlo.   Olà, fermate.

Rinaldo. Ah! Sire, son tradito.
Gano.   (Il traditore (sottovoce a Carlo
È Rinaldo, signor. Col ferro in mano
Miratelo alla testa de’ ribelli.

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Non conosce altro Re che il suo valore;

Disprezza i cenni vostri, e baldanzoso
Sin nel cuor della Francia osa e minaccia).
Rinaldo. Signor, se m’udirete...9
Carlo. A me tosto la spada.
Rinaldo.   Eccola. Io questo
Solo bramai; la spada di Rinaldo
Non si deve che al Re.
(porge riverente la spada a Carlo
Carlo.   Superbo! E voi, (a’ soldati
Da lui sedotti, e voi, sudditi infidi,
Deponete quelle armi; io vo’ distrutta
La sospetta milizia; gli uffizialii
Privo del grado, e i semplici soldati
Reclutati e divisi in altre squadre,
Siano tenuti in condizion di schiavi;
Gano, consegno a voi delle armi nostre
Il supremo comando.
Gano.   Un tanto onore
Troppo eccede, Signor.
Rinaldo.   Sì, troppo eccede
L’ingiustissima sorte a pro d’un empio.
Ah! Sire, voi togliete a me tal fregio
Per darlo a Gano? E delle mie vittorie
Codesto il premio?
Carlo.   Olà! Cotanto audace
Non favelli al suo Re, chi il regio sdegno
Provocar non desia.
Rinaldo.   Ma per pietade
Ascoltatemi almeno.
Carlo.   Ad altro tempo
V’ascolterò. Non son tiranno. I rei
Piacemi udir, pria di punirli.
Rinaldo.   Intanto

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Punito io son, pria che ascoltato.

Carlo.   Il torvi
Dalle mani la spada, è un porre in salvo
La vita mia, non un punirvi. A tanti
Delitti vostri, convenevol pena
Saria la morte: io la sospendo, e voglio
Udirvi pria. Tempo vi do a scolparvi
Sino a dimani.
Rinaldo.   Io scolperommi adesso,
Se il permettete: è inutil questo tempo
Alla chiara innocenza.
Carlo.   Io non ricuso
D’ascoltarvi pur or.
Florante.   (Prendiamo tempo). (piano a Gano
Gano. Sire, meglio sarà che l’ascoltiate
Con Consiglio di guerra: è a voi ben nota
La legge militar.
Carlo.   Sì, sì; le tende
Qui s’erigano adunque, e qui riposo
Prendano le milizie. A voi, Fiorante,
Dell’insegna regal degno custode,
Consegno il prigionier.
Florante.   Sarà mia cura
Di custodirlo.
Rinaldo.   In peggior man la sorte
Porre non mi potea.
Carlo.   Duce, venite. (a Gano
Vo’ l’esercito tutto in mia presenza
Veder schierato; ad uno ad uno i’ voglio10
Veder in faccia i miei soldati; a nome
Li farete chiamar: vecchi o imperfetti
Sian riformati, e i disertori esclusi,
Che chi apprese a tradir, non è mai fido.
(parte Carlo, e Gano lo siegue

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Florante. Infelice Rinaldo! Oh quanto mai

Duolmi il vostro destino.
Rinaldo.   Risparmiate
Questa inutil pietà.
Florante.   So che per voi
Inutile è ciascun; che l’innocenza
È una bella difesa; pur talvolta
L’innocenza è tradita. Io vi prometto
Nel Consiglio di guerra il mio favore.
Rinaldo. Siete voi pur del gran Consiglio?
Florante.   In grazia
Della regia clemenza.
Rinaldo.   E qual è il grado,
Che vi porge l’accesso?
Florante.   Io son di Francia
Duca Pari creato; io custodisco
La cornetta real.
Rinaldo.   Povera insegna!
Florante. Strano forse vi sembra?
Rinaldo.   E non è strano,
Che ingiustamente opri la sorte?
Florante.   Al certo
Ingiustissima fu, qualor l’invitto
Signor di Mont’Albano, il gran Rinaldo
Cotanto oppresse, e sollevò sovra esso
Gano e Fiorante. I! vostro eroico cuore
Faccia uno sforzo, e tolleri con pace
Quest’ingiuria del fato.
Rinaldo.   Sì, costante
Soffrirò mie sventure; il mio coraggio
Apprendete voi pur: d’esempio forse
Saravvi un dì; ma non avrete in petto
Bastante cor per imitarlo.
Florante.   E pure
Degli antichi Romani affatto spenta

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La memoria non è: vive in Rinaldo

L’esempio degli eroi.
Rinaldo.   Cotesti scherni
Non soffrirei, se la mia spada avessi,
Maganzese indiscreto: ancor fra lacci
Saprò farmi temer11. L’odiosa stirpe
Poco trionferà: scoprirà Carlo
I tradimenti e i traditori12. Il fiore
De’ guerrieri francesi ha da ubbidire
Due codardi?
Florante.   Tacete: ormai son stanco
Di tollerar l’audacia vostra.
Rinaldo.   Io prima
Morirò che tacer.
Florante.   Guidate, amici, (a’ suoi soldati
Alla mia tenda il prigionier.
Rinaldo.   Superbo!
Sempre non riderai. Suol la fortuna
Opprimer cieca e l’innocente e il reo;
Ma l’innocente alfin risorge illeso;
Ma del reo le cadute eterne sono.
(parte Rinaldo, condotto dalle guardie
Florante. Frema pur l’orgoglioso: abbiam trovato
La via d’annichilarlo. A che non giunge
L’arte del simular? Carlo si fida
Interamente a noi; son del Consiglio
La maggior parte amici nostri. In breve
Cadrà Rinaldo, e sulle sue cadute
Fabbricherem la sorte nostra. Il mondo
Loda sempre i felici: non si lagni
Del suo destin, chi migliorar noi tenta;
Che degli audaci è sol fortuna amica.


Fine dell’Atto Primo.

  1. Nelle antiche stampe: Quel omaggio.
  2. Così il testo.
  3. Un settenario.
  4. Così si legge nel testo.
  5. Nelle vecchie stampe, forse per una distrazione dell’autore, c’è soltanto Giustizia.
  6. Nel testo: avrebbe.
  7. Così le antiche edizioni. In quelle del decimonono è stampato: Spiegate ed eseguite.
  8. Aggiungo le virgole che mancano nelle varie stampe, perchè Rinaldo parla certamente al proprio seguito.
  9. Abbiamo qui un settenario.
  10. Nelle antiche stampe: il voglio.
  11. Nelle vecchie stampe c’è la virgola.
  12. Anche qui c’è la virgola.