Rime varie (Alfieri, 1903)/CCVIII. Parigi sbastigliato/Ode

Ode

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CCVIII. Parigi sbastigliato - Introduzione CCIX. Capitolo ad Andrea Chenier

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PARIGI SBASTIGLIATO.

ODE.

I.


All’armi all’armi, un generoso grido
Fa rintronar di Senna ambe le rive:
All’armi all’armi echeggia
Francia intera dall’uno all’altro lido.
Forse fia che dell’Anglo ampia oste arrive?
No: dalla infame reggia,
Di tradimenti e di viltade nido,
Sotto ammanto di pace esce l’atroce
Seme di guerra. Ecco al macello il segno
Dal capitano indegno
Aspettar la masnada empia feroce
Che all’immensa cittade intorno accampa.
Svizzera compra carne al regio sdegno
Tacita serve; e qual ferale vampa,
Pregna di stragi stassi.
Ahi nube orrenda di esecrati sgherri!
Fia che il popol ti lassi
Ber del suo sangue, e al tuo ferir si atterri.

II.


Ma da ben altra immortal reggia scende
Sovra l’ali dei Fati in atto altera
(Bella e terribil Dea)
Libertà; che da Palla ottien le orrende
Gorgonee serpi, onde la turba fera
Cui già il terror vincea
Freddo immobile sasso inutil rende.
Sacra Diva, che il vile empio di corte
D’un guardo annulli, e il cittadino allumi
Di fiamma tal che ai Numi
Si estima ei pari; ad affrontar la morte
Per la patria verace, o Dea, tu traggi,
Tu sola, a sparger di lor sangue fiumi,
Le magnanime Guardie; in cui tuoi raggi
Tanto penétri addentro,

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Che non più guardie del comun nemico
Ma di Parigi al centro
Franche Guardie si fanno al Franco amico.

III.


Invisibil così pendea sospeso
E su le umíli e su le eccelse teste
Con la rovente spada
L’Angel di morte, anch’ei d’orror compreso.
Dato è il segnal: la cortigiana peste
Fa sì che in bando vada
L’uom che sol regge or dello Stato al peso;
L’uom che libero nato in strania terra,
Servo in Gallia ed in corte a far si venne
Sol per tôr la bipenne
Di man de’ rei, che a scellerata guerra
Vilmente arditi contro il volgo inerme
L’adopran sì, che n’è il servir perenne. —
Ahi stolte al par che inique menti inferme!
Perchè i raggiri impuri
Vostri abbian dato ad un tant’uom il bando,
Sperate voi securi
Starvi omai dietro al mercenario brando? —

IV.


Quali urla sento? infra l’orror di negra
Notte feral quai torbe incese tede
Correr ricorrer veggio?
In men ch’io il dico, ampia cittade intégra
Sossopra è vôlta: ogni uom vendetta chiede:
E il differirla è il peggio.
Spade, aste, ogni arme impugnan tutti: ed egra
Alma non v’ha ch’elmo rimembri o scudo.
Andar, venire, interrogar, giurarsi
Scambievol fè, mostrarsi
A gara ognun d’ogni temenza ignudo,
Rintracciar l’orme del tedesco gregge,
Sovr’esso a furia indomiti scagliarsi,
Altri svenarne, altri fugarne, e legge
A tutti imporre, è un punto.
Pria che in ciel la seconda alba sia sorta
E che al confin sia giunto
L’esul ministro, è tirannia già morta.

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V.


Oltre l’usato il sol sereno sorge
A rischiarar queste beate spiagge;
E spettacol sublime,
Agli occhi miei sì desïato, porge.
Con bella antiqua mescolanza, in sagge
Torme, uno stuolo imprime
Rispetto, in cui la securtà risorge.
Rimiro io fatti i cittadin soldati:
E più strano miracolo ai dì nostri
Fia che in un mi si mostri
Nei regi sgherri a cittadin tornati.
Già insieme tutti, a calda prova ognuno,
Gl’impotenti sfidáro aulici mostri. —
Ma, se matrona non si veste a bruno,
Dei satelliti soli
Non basta il sangue a rammollir lo scettro.
Nè fia che in corte voli
Terror, se non vi appar nobile spettro.

VI.


Loco è in Parigi, che in inferno avría
Pregio più assai: detto è Bastiglia; e dirsi
Me’ dovría Malebolge.
Ampia profonda fossa, ond’è ogni via
Intercetta all’entrar come al fuggirsi,
Per ciascun lato il volge.
Quadro-turrita in mezzo erge la ria
Fronte una rôcca di squallor dipinta:
Atro-bigio è il gran masso. Alta corona
D’empio bronzo che tuona,
Infra gli orridi merli al capo ha cinta:
Del piè sotterra s’incaverna il fondo
Più giù che il fosso, in parte ove non suona
Raggio più omai dell’abitato mondo:
Dalle esterne sue parti,
Fenestre no ma taciti forami
Radi nel sasso ed arti
Barlume dànno a quelle stanze infami.

VII.


Gemma è primiera del regal diadema
Questo albergo di pianto. A guardia un truce
Crociato carceriero

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Stavvi, ripien di crudeltade e tema,
Che di monchi sicarii inutil duce
Dirsi ardisce guerriero. —
Nunzi a costui di volontà suprema
Dei vincitori cittadini, in lieto
E pacifico aspetto, ecco son giunti.
Che indarno ei non impunti
Nel negar l’arme, il prega un sermon queto.
Altro da lui non vuolsi. All’aure il bianco
Segnal di pace, e i caldi preghi aggiunti,
Il rancor di costui dovrían far manco.
Blando e mite ei risponde
Che a ciò s’inoltrin quetamente i pochi.
Giunti appena alle sponde,
Sovr’essi avventa il traditor suoi fuochi.

VIII.


Donde han mai l’ali? qual non visto Nume
Dei respinti al furore ali ministra
Ad inaudito volo?
Ecco sgorgare, impetüoso fiume,
Il gran popol da destra e da sinistra,
Irresistibil stuolo.
Leggieri più che ventilate piume,
Oltre al ponte primier varcati in frotta
Già stanno: ivi urti, e palle, ed urla, e morti,
E morenti, e risorti:
Null’uom sa il come: ecco allentata e rotta
La catena, che in alto ratteneva
L’ultimo ponte. — Oh generosi oh forti
Voi, che sovr’esso, che a stento cadeva,
D’audace slancio ascesi,
Primi sboccar nell’empia rôcca ardiste! —
Lor nomi indarno io chiesi,
Perchè il debito onore a lor si acquiste.

IX.


Ve’ scorrer già la vincitrice piena
Entro alle più riposte erme latébre
Del trïonfato ostello:
Già il ferro ogni empio difensor vi svena.
Già dalle eterne orribili tenèbre
Del lor carcere fello

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Tratti sono alla pura aura serena
I prigionieri miseri innocenti.
Già già afferrato è il castellano iniquo,
Che dell’oprar suo obliquo
Pagherà tosto il fio tra rei tormenti.
Preso esce già fra i cittadini, agli occhi
Del popol tutto, il condottiero antiquo;
Nè dardo avvien che incontro a lui si scocchi:
«Alle Gemonie» grida
Sola una voce della plebe immensa,
Che con feroci strida
Vieppiù sempre d’intorno a lui si addensa.

X.


Cruda, ahi! ma forse necessaria insegna,
Vedeva io poi con gli occhi miei sua testa
Sovra lunga asta infissa
Ir per le vie: nè sola ell’è; chè degna
Compagna un’altra a quella orribil festa
Le viene a paro: è scissa
Questa dal corpo d’uom, che invan s’ingegna,
Urban pretore, di far ire a vuoto
Dei cittadini la guerriera impresa:
E vilmente distesa
Sua tronca salma io ne vedea nel loto.
E i cittadin feri vedea ma giusti
L’alta vendetta lungamente attesa
Sperar compiuta in que’ scemati busti. —
Ahi memorabil giorno!
Atroce, è ver, ma fin di tutte ambasce:
Di libertade adorno
Fia questo il dì che vera Francia nasce.

XI.


Deh! con qual gioia alla sconfitta rôcca
Io volgo il piè! Senza tremare io passo
Dentro all’orrida soglia.
Già di pietade il core mi trabocca
Solo in mirarmi attorno il negro sasso....
Or quai voci alla doglia
Pari saran, se a me descriver tocca
I funesti pensieri, onde la vista
Dell’atre interne carceri mi aggrava?

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Qui (dich’io) lagrimava,
D’arbitrario insanir vittima trista,
La intatta sempre timida Innocenza,
Cui di sua man Calunnia conficcava.
Qui non s’udía di giudice sentenza:
Qui due miseri carmi
Veri o supposti; e qui un sorriso, un guardo,
Un pensier, potean trarmi....
Oh di qual giusto alto furor tutt’ardo!

XII.


A terra, a terra, o scellerata mole:
Infranta cadi, arsa, spianata, in polve. —
A gara ogni uom l’assale;
A gara ogni uom spiccarne un sasso vuole,
E le fere compagini dissolve.
Sparita è già. — Ma quale
Pompa diversa oggi rischiara il sole
Nelle affollate parigine vie?
Ecco inerme e soletto il Franco Giove:
Ei di sua reggia muove,
Ripieno il cor di cittadine pie
Brame, in lui figlie di assoluto invito
Che al venir gli vien fatto in fogge nuove.
Fiede il regale orecchio un non pria udito
Alto e libero Evviva,
Cui non più Re ma Nazïon vi aggiunge
Quella sovrana Diva
Che dai bruti il verace uomo disgiunge.

XIII.


Fra il nobil grido il re procede intanto,
Da Franche armi non compre attornïato,
Vêr la magione urbana.
Di duolo e gioia vario-misto un pianto
Cui da pria ’l pentimento ha in lui destato,
D’ogni uom lo sdegno appiana.
Ma d’ora in poi quello ingigliato ammanto
E a chi ’l porta e a chi ’l dona assai men greve
(Spero) sarà. — Giunto è già il prence: ei giura
Che la orribil congiura,
Ignota a lui, tutta imputar si deve
Ai traditor che in duro error lo han tratto.

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Pago è già il cittadin: già già secura
Torna del re la maestade a patto
Meglio adequato omai:
Già espulsi ha gli empi e richiamato ha il giusto:
Nè a re lo errar più mai
Concede il Nazional Consesso augusto.