Rime (Andreini)/Egloga I
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DAMONE EGLOGA I.
Argomento.
Damone Pastore.
La fortunata Greggia;
Ed ei lieto, e contento
Di sua sorte beàto
Così dicèa del suo tranquillo stato.
Pascete Pecorelle
La verde herbetta, ch’io
lntesserò fra tanto
Di molli giunchi un picciolo canestro
Pascete, satellate,
E cozzando scherzate,
Ch’io mi pasco, e gioisco solo in questa
Sorte, che ’l Ciel m’hà data.
Felice Povertà, vita beata.
A mio piacer me n’ vò securo errando
A le fere, à gli augelli
In vari astuti modi
Tessendo inganni, e frodi.
Talhora stanco in mezo
Giaccio d’un prato al rezo d’una pianta;
E la rustica voce,
E i pastorali detti
Al dolce canto accordo
De i garruli augelletti.
De’ folti boschi hor vò cercando l’ombra,
Ove da un sasso un’onda
Zampilli fresca, e chiara;
Hora d’un fiumicello il mormorìo,
E ’l tremolar di mille frondi, e mille
Al più dolce spirar d’aura benigna
Con mio piacere ascolto;
Ed hor lieto rivolto
A’ bei dipinti colli
Vermiglie fraghe, & odorose io colgo;
E ’n don le porgo poi
Di fiori ornate à la mia Donna amata.
Felice Povertà, vita beàta.
La vaga Pastorella, ch’io tant’amo
Hor in azurra, ed hora
In candidetta vesta
M’appare; e ’n quella, e ’n questa vaga tanto,
Che per ornarle il fianco
Bramar io non saprei più degna spoglia.
Cinge la schietta gola
D’un bel vermiglio, e lucido corallo;
Ma non però vermiglio,
E lucido cotanto,
Ch’à paragon de l’uno, e l’altro labbro
Gli honori suoi non perda.
Ella nel puro fonte
Le pure sue bellezze,
E la natural grazia adorna, e fregia;
E da l’istesso prende
Consiglio come deggia,
E di quai fiori ornar la bionda chioma;
Onde l’azurro al bianco,
O ’l perso al giallo opposto, ò ’nsieme unito
Esca soàue porga
Sol’ à questi occhi miei;
Che di piacer à gli occhi altrui non brama.
Così sol co’ tesori di Natura.
Di Natura i tesori adorna, e terge:
Poi lieta, e vezzosetta
Il mio venire aspetta;
Ed io, ch’altro non bramo
Non già di seta, ò d’ostro il fianco cingo;
Ch’ella ciò non desia:
Ma de la pura lana
Di quell’istessa Greggia,
Che mi dona feconda
I propri figli, e ’l latte sol mi vesto;
E quasi al ballo io me n’andassi adorno
Me n’ vò ratto là dove
Secura ella m’attende;
E sol del suo bel volto
Pasco il digiun del core.
Ella d’un bel rossor segno di gioia
Amorosa s’accende;
Vagheggia vagheggiata.
Felice Povertà, vita beàta.
In duo petti un sol core
Di piacer nutre Amore.
Di piacer tal, che ’n terra
Altro non gli s’agguaglia.
Co’ pomi poi, con le mature ghiande,
E con altre vivande, onde l’Armento
M’è cortese ad ogn’hor domo la fame;
E ne la man viè più, che l’aurea Tazza
A me gradita accolgo l’onda fresca;
Onde acqueto la sete; e sovra l’herba,
O ne l’humil casetta
Chiudo le luci in grembo
De la quiete avventurosa, e grata.
Felice povertà, vita beàta.
Felice è quegli ancora,
Che tutte le Città disprezza, e fugge,
Contento di quel poco, che Natura
Ne’ verdi campi gli apparecchia, e dona ,
E ’n poverello albergo
Rinchiude ogni sua speme.
Questi se da le Nubi oscure scende
Ingiuriosa pioggia
Sì che n’allaghi i campi;
O se da i Monti il vento
Con impeto rivolge
De le più salde piante
Le ritorte radici al Cielo; ò pure
Se grandine importuna
La bionda messe, ò l’immaturo Bacco
Gli invola; il cor non turba;
Che soffre in pace quanto
Van travolgendo le nemiche stelle;
Che d’avarizia ingorda il cieco affetto
Non desta in lui de l’oro
L’ardente infame sete.
Questi non aura popolar, che sempre
Infesta i buoni, e i giusti, avversa prova;
Non lacera costui col fiero dente
L’invidia peste universal del bene;
La vana ambizion non gli è molesta;
De le genti malvage
Non conosce gli errori;
Non è soggetto à le severe leggi
Rigide sempre, e molte volte ingiuste;
Non si cura habitar gli alti palazzi;
Nè procura placar gli eterni Dei
Del suo grave fallir con ricchi doni;
Non di fantasmi la sua mente pasce,
Nè per nuocer altrui parlando mente,
Nè sospetto, ò paura il cor gli ingombra;
Che nulla teme, ò spera
Da propizia Fortuna,
O d’avversa, e sdegnata.
Felice Povertà, vita beata.
Ahi, che ne le Cittadi altere, e grandi
Agitate dal vento del timore
Vanno mai sempre le speranze errando.
Quei vago di litigi à prezzo vende
Bugiarde parolette
Questi d’honor sentendo acuto sprone
(D’honor, che spesso il cieco vulgo dona
A chi meno lo stima, e n’è men degno)
Il Mondo scorre ambizioso, ed erra.
Questi in accumular ricchezze suda;
Poi ne fà ne l’erario ampia conserva;
Indi la mente è serva
Di quell’oro di cui
Guardiano è ’l patron più che signore.
Quegli à Principe serve,
Che non gradisce, ò cura
Servitù, nobiltà, saper, ò fede.
Quegli combatte il Regno.
Questi la Monarchìa brama del Mondo;
E perde il cibo, e ’l sonno
Machinando ad ogn’hor congiure, e frodi.
Felice dunque io sono
Ben mille volte, sì perch’io son tale,
Si perche ancor conosco
La mia felicitade;
Vivendo in quella guisa
Ne la qual visse quella prima etate,
Quando habitar gli Dei la selva, e ’l colle.
Nel cui tempo tranquillo, ed al Ciel caro
Non premevano i legni audaci l’onde
Di vele armati, ò pur di remi; alhora
Cinte di forti mura,
O di profonde fosse
Non eran le Cittadi;
Nè coperti d’acciar cruda tenzone
Facean gli huomini fieri,
Ne d’human sangue si spargèa la terra.
Non era l’uso ancora
Di por nei vasi d’or misto col vino
L’atro mortal veleno.
Non divideva i campi
Termine alcun; che ’l desiderio ingordo
Di posseder non accendèa veruno.
Non furto alhor, non l’altrui casta Donna
Impudico amator bramar solèa.
Non sostenèa la terra
Del grave aratro ancor le crude offese;
Ma benigna porgèa
Da se medesma il cibo.
Davan le ricche piante
I lor dolci tesori
Senza coltura à’ semplici Pastori.
Le grotte erano alberghi
Securi de le genti;
Ch’à gli altrui danni alcuno
Di fraude non havèa la mente armata.
Felice Povertà, vita beàta.
Non rodèa l’odio, ò l’ira,
Od altro morbo rìo
L’anime semplicette.
Non era il men possente ingiusta preda
Del più forte, ò più rèo;
E di ragione in vece
Non s’usava la forza, e ’l ferro ignudo;
Ma pensava ciascun come potesse
Giovar al suo vicino.
O dolce etade andata.
Felice Povertà, vita beàta.
Pasciute Pecorelle andiamo à l’ombra;
Che ’l Sol varcato di meriggio il segno
Co’ veloci destrier corre à l’occaso.
Ivi gustar il fonte,
Ivi ruminar l’herbe, ivi posarvi
Potrete, fin che ’n Mare.
Egli raccolga in uno il giorno, e i rài.
Andiamo, che finita
E l’opra incominciata.
Felice Povertà, vita beàta.