Rime (Andreini)/In morte dell'istessa
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IN MORTE DELL’ISTESSA.
Desta cantando, e chiama
L’ Agricoltor con replicata voce,
Perche ritorni à le fatiche usate;
Com’è di suo costume
Ei si riveste; e del securo albergo
Uscendo, ad un, ad un i fidi cani
Per nome chiama, e piglia il curvo aratro,
Perche mugghino ancor gli stanchi Buoi
Sotto l’antico giogo; onde la Terra
Nuove ferite nel suo sen riceva.
Alhor qual Sole d’atra nube cinto
Non sò se bella più che afflitta, e mesta
Avvolta in negra benda Hielle mia
Uscìo fuor di suo albergo, e gli occhi molli
Dal lungo pianto, in un soàve giro
Dopo un caldo sospiro
Al Ciel rivolse, e di color di rose
Vide, che non havèa la guancia aspersa
L’Aurora; nè di fiori adorno il crine;
Ma tutta di pallor dipinta, e smorta
Parèa, ch’à tutto suo poter celasse
Trà le caliginose nubi il viso.
Talche la bella Hielle
Hor queste cose, hor quelle
Mirando, mentre pur de gli occhi fuore
Versava humor di doglia,
E dal seno trahèa sospir di foco
Aperse i bei rubini, e ’n questi accenti
La lingua sciolse. O Genitrice amata
Come al tuo dipartir cangiate sono
Tutte le humane cose. Ecco non riede
Primavera ridente, ecco i sassosi
Monti d’algente neve il mento, e ’l dorso
Hanno coperto, e le pinose teste
Cariche son di brine;
E solo ortiche, e spine
Si veggon per li campi; i Colli ameni
Son’ anch’essì d’horror tutti ripieni;
E gli augelletti sovra i secchi rami
Stannosi muti; ecco le pecchie i fiori
Non ritrovando per le piagge apriche,
Onde farsi di mele i corpi gravi
Sparse vanno, e lor celle
Lasciano in abbandono. ecco la Greggia
Và ssenza guida errando,
E par dica belando
Nisida è morta, ecco non miri i pesci
Più guizzare, ò scherzar per le chiar’onde;
Nè si veggon le Ninfe
Guidar leggiadre amorosette danze;
Ma scinte, e con le chiome
Incolte, e sparse al vento
Lascian cader il mento
Sopra il lacero seno.
Ecco d’affanni pieno
L’avaro zappator invan si lagna
De’ suoi sparsi sudor; poiche la Terra
Niega de l’aurea messe,
Il solito tributo;
Perche de la tua morte men dolente
Non è di quel, che fosse alhora, quando
La rapita Proserpina piangèa.
O Genitrice amata
Quel latte, che mi desti
Hora ti rendo intanto
Amarissimo pianto,
E questo, e del tuo corpo, e del mio core
Sepolcro havrà da me lagrime, e fiori
Finche d’unirmi teco il Ciel benigno
In grazia mi conceda.
Intanto ò cara Madre
Fruisci quella pace, che n’hai tolta.
Godi mia Genitrice
Amata viva, & honorata morta.