Rapisardi e Carducci - Polemica/VIII
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VIII.
Dal Piccolo italiano — Roma, 16 Maggio.
Di certa Critica e di certi Critici
Lo dico subito e senza mezzi termini — la critica, oggi, versa da noi in bruttissime acque e c’è da temere anche di peggio per l’avvenire. La critica ha perso la misura dell’equità, e anzichè ragionare pacatamente, senza nessun premossa da simpatie o antipatie verso chicchessia, nè animata da spiriti di parte, si appassiona e si scalmana, e, divenuta come cieca dalla stizza, sproposita a più non posso.
Il critico, oggi, non vuole scordare per poco il suo partito politico, la sua scuola letteraria, i suoi amici, i suoi nemici, per ricordare soltanto concetto, non il rispetto che si deve all’arte e il dovere che a lui strettamente incombe di essere imparziale, il che, in questo caso, vuol dire essere onesto.
Il critico, oggi, è un polemista, nè più nè meno di un gazzettiere qualunque — si badi però che mi tengo sempre sulle generali e coll’animo rivolto, più che ad altri, ai giovani, nei quali, lo dico con grande rincrescimento, sta il marcio maggiore.
I nostri giovani o adulano o inveiscono. Si fanno un idolo, e dinanzi a quello si prostrano fin giù nella polvere — guai a noi a toccarlo, sia pure per levarvi le ragnatele, guai a noi a discuterlo, sia pure per capirlo maggiormente!
Su quell’idolo non si può alzar lo sguardo che con aria compunta e contrita, di quell’idolo non si può discorrere che in genuflessione e come insegnano coloro che pare lo abbiano in gelosa custodia.
Quando l’idolo si muove, sia pure per iscacciarsi una mosca, i chierichini gridano che ha operato un miracolo; quando poi l’idolo apre bocca, sia pure per fare uno sbadiglio, i chierichini gridano che ha parlato e che, avendo parlato, ha detto grandi cose.
Tutto quello che egli faccia o dica è verissimo, bellissimo, buonissimo.
Da quell’idolo in là non vedono essi più nulla di buono e di rispettabile. E allora dicono che c’è del putrido in Danimarca e, impugnato il piccone, si mettono a demolire spietatamente e pazzamente.
Non è forse così?
Oggi abbiamo in Italia varii uomini veramente illustri — uno di questi il Carducci, gran poeta, gran prosatore, dotto, erudito, profondo.
Del Carducci molti giovani si sono fatti una specie di Dio, e gli stan sempre d’attorno a dirgli le litàne.
Egli un po’ non se ne cura e un po’ li tollera; i maligni dicono che ei li accarezza, ma io non ci credo...
Fra gli adoratori del Carducci primeggia a Bologna un giovine, certo Luigi Lodi, autore di un libretto edito or ora dallo Zanichelli, padrino da un pezzo a questa parte di tante mostruosità letterarie e intolato Lorenzo Stecchetti-ricordi-prose e poesie.
Leggendo, vedrà il mio lettore se non è vero quel che ho detto più innanzi dei giovani.
Il signor Lodi si è proposto di farci conoscere lo Stecchetti, o sia il dottor Olindo Guerrini, prima della pubblicazione dei Postuma e dei Polemica, e lo ha fatto dissotterrando da vari giornali bolognesi prose e poesie di lui e quelle commentando largamente.
Io credo proprio che il signor Lodi abbia reso un cattivo servizio al valente Guerrini; le prose e le poesie di lui che il suo apologista ristampa, era meglio rimanessero eternamente dove si stavano, poichè son davvero una cosa meschina e, piuttosto che accrescere, scemano la fama del poeta romagnolo.
Sono articoletti di giornale, scritti con certo qual garbo e con certo qual brio, non nego, ma ninnoli, veri ninnoli, degni appena di un esordiente o, meglio ancora, di un dilettante.
Invano ci studieremmo di presentire in quelli l’autore della profonda monografia su Cesare Croce!
Sono scrittarelli come se ne fanno tanti e da tutti e che, stampati oggi in un giornale, sono dimani bell’e dimenticati dai lettori, poichè, invece di essere il frutto del tempo e dello studio, lo sono del momento e della spiensieratezza.
Alla fin fine nemmeno il signor Lodi trova che quelli scrittarelli siano lavori d’arte propriamente, dappoichè lascian vedere tutta la fretta onde furono pensati e scritti.
E allora perchè rimetterli fuori? Il signor Lodi dice perchè appaiono da quelli le altitudini, le qualità dell’autore e da quelli si rilevano le felici disposizioni di lui all’ironia sana, reale, che resiste al tempo; ma a me, se debbo dirlo chiaro e tondo, non appare, nè si rileva nulla di tutto ciò.
Soltanto di un autore morto ammetto che si possano raccogliere anche le briciole, ma di un autore vivente credo sia meglio lasciar le briciole sotto la tavola.
Nè maggiore importanza hanno le poesie dello Stecchetti che il signor Lodi ha rintracciato.
Quelle pure sono cose di attualità, mi esprimerò così, e, pubblicate una volta, non c’era nessun bisogno di ripubblicarle oggi poichè, artisticamente parlando, non hanno un valore.
Il signor Lodi ce ne imbadisce varie, tra le quali alcune in vernacolo romagnolo.
Tra le scritte in lingua spiccano una intitolata Mariola alle belle ragazze e un’altra Il 9 gennaio.
La prima è una canzonetta popolare, disinvolta, gaia, ma di argomento futilissimo e di una eleganza molto sospetta, quantunque al signor Lodi sembri una bella cosa, e rimanga a bocca aperta dinanzi a questa strofa comunissima:
Molto popolo correva
Alla chiesa cattedrale,
Dove il diavolo diceva
Messa in camice e piviale,
Tra quattordici abatini
Bianchi rossi e ricciolini.
L’altra è una parodia, molto plebea, del famoso «Cinque Maggio» e non importa nemmen dire che in quella si mette in canzonella il Terzo Napoleone, il quale, guardate voi che dico! fece anche del bene all’Italia.
L’elegantissimo poeta dei Postuma e dei Polemica non ci si sente davvero in quelle poesie diluite diluite, in una delle quali ho perfin trovato un verso sbagliato:
Chiama il suo nemico,
che vorrebbe passare per un settenario.
Da quelle prose e quelle poesie il signor Lodi prende argomento a parlare dei giornaletti ai quali lavorò il Guerrini prima di farsi una riputazione e della vita bolognese di allora, e mirerebbe a provare che solo da Bologna partì il verbo dell’arte nuova e che solo a Bologna havvi una scuola poetica.
Guà! la scuola bolognese, o, meglio chiesa, fuori della quale non v’ha salvazione....
Infatti il signor Lodi non venera, non onora, non stima, non rispetta che Giosuè Carducci e Lorenzo Stecchetti, essi soli grandi!
E di conseguenza Mario Rapisardi non scrive che delle bruttissime e sciocchissime cose, le quali, a giudizio del signor Luigi Lodi, sarebbero le Ricordanze, e inaffia col brodo lungo de’ suoi versoni frugoniani la tomba di Tito Lucrezio Caro; e Felice Cavallotti delle enumerazioni, esercitazioni, versificazioni, ed eruzioni a proposito del caporal Barsanti, il quale, ci assicura il signor Luigi Lodi, non fu punto un eroe.
E, sempre conseguenza, si meraviglia e si ride di coloro che si compiacevano e si esaltavano nella critica del Settembrini e di coloro che coronavano del mistico alloro i versi del Costanzo, che spargevano lacrime di commozione ineffabile sui Bozzetti Militari o sopra l’Amore bendato.
Il signor Lodi è padronissimo di pensarla come meglio gli piace intorno al valore dei nostri autori più simpatici e più stimati, ma crede bastino a demolirli d’un tratto dei perioducci come questi?
Quel cenacolo che fece reputazione di critici al Filippi, al D’Arcais, al Bersezio, che si cibò del lattemiele del Giacosa, coi pasticcini del Farina, colla spuma d’ovo tutta colla di Parigi del Fortis, che diè a intendere di ubbriacarsi collo champagne falsificato, vino d’Asti di seconda qualità, che mussava mercè l’orzo e lo zucchero marcito, delle commedie del signor Ferrari?
La critica del signor Lodi si riduce ad affermare, unicamente ad affermare. Ma con permesso, dove sono le prove? Come vuole il signor Lodi che gli si creda sulla parola?
A me è sempre parso che non basti dire la «tal cosa è brutta» ma che debbasi dimostrare che la è brutta veramente e, fermo nella mia opinione, non trovo un libro serio questo su Lorenzo Stecchetti.
Trovo invece che è un libro scritto con rancore di partito, per dir bene del tale e male del tal altro, schizzante fiele da ogni periodo e denotante una gran verità «che i nostri giovani hanno minor cuore dei vecchi.»
Troppo spesso il Signor Lodi non critica, ma offende, e ciò non parmi ben fatto.
Come puó egli chiamare il Rapisardi un cattivo soggetto sia pure ripetendo le parole di un terzo, del Prof. Carducci?
Io posso ammettere che il Carducci serbi del rancore verso Mario Rapisardi e si dolga di lui con amare parole; ma perchè e a che cosa entra nella deplorevole lite il Signor Luigi Lodi?
Che motivo ha egli a sparlare così del Rapisardi, quando il Rapisardi mai non s’è occupato di lui, signor Lodi, e mai al mondo lo ha conosciuto?
Del resto poi, creda il signor Lodi, non si demolisce tanto facilmente chi si chiama Mario Rapisardi e s’è, come lui, inciso il proprio nome su lavori che rimarranno.
Si potrà non trovar buona la idea animatrice del suo Lucifero, ma non trovar brutta la forma che lo riveste.
Si potrà dire che, come poema, sia slegato nelle sue parti, ma non che le sue parti non siano superbamente belle.
Difendere Mario Rapisardi da futili e insussistenti accuse, consiglia te soltanto da invidia e animosità, credo sia ora lo stesso che combattere i mulini a vento, e perciò passo oltre.
E per la medesima ragione non dico sillaba a prò di Aurelio Costanzo che è, a quel che pare, un novello pruno negli occhi del signor Lodi e forse di qualchedun altro.
Io non son qui a far il Don Chisciotte per nessuno, ma solo a dire che non si fa in questo modo la critica, la piaccia pure a chi v’è interessato, e l’illustre Carducci, per eccesso di bontà, chiami pure fiero e ardito critico il signor Luigi Lodi.
La fierezza e l’arditezza nel libretto su Lorenzo Stecchetti io non le ho trovate che nel dire delle impertinenze a destra e a sinistra.
Non certo nei concetti e nelle indagini.
Il libretto del Signor Lodi non è altro, a chiamar pane il pane, che un insieme di articoli di giornale, scritti con della vivacità, sono il primo a riconoscerlo, ma leggerini molto molto.
E la lingua e lo stile del signor Lodi è pure lingua e stile da giornali.
Basterà che io riporti ancora un periodo perchè il mio lettore mi creda:
«Il Fortis stampò che il Guerrini aveva persuaso i beccai a squartar donne vive, piuttosto che vacche malate e cavalli morti «soltanto» (pag. V.)»
Tale è il libretto del signor Luigi Lodi.
Valeva la pena di parlarne?
Ormai, cosa fatta capo ha.
P. Giovanni Sarti.