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volto, più che ad altri, ai giovani, nei quali, lo dico con grande rincrescimento, sta il marcio maggiore.

I nostri giovani o adulano o inveiscono. Si fanno un idolo, e dinanzi a quello si prostrano fin giù nella polvere — guai a noi a toccarlo, sia pure per levarvi le ragnatele, guai a noi a discuterlo, sia pure per capirlo maggiormente!

Su quell’idolo non si può alzar lo sguardo che con aria compunta e contrita, di quell’idolo non si può discorrere che in genuflessione e come insegnano coloro che pare lo abbiano in gelosa custodia.

Quando l’idolo si muove, sia pure per iscacciarsi una mosca, i chierichini gridano che ha operato un miracolo; quando poi l’idolo apre bocca, sia pure per fare uno sbadiglio, i chierichini gridano che ha parlato e che, avendo parlato, ha detto grandi cose.

Tutto quello che egli faccia o dica è verissimo, bellissino, buonissimo.

Da quell’idolo in là non vedono essi più nulla di buono e di rispettabile. E allora dicono che c’è del putrido in Danimarca e, impugnato