Prose campestri/Vos sapere et solos ajo bene vivere

 

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Quod latet arcana non enarrabile fibra Pane egeo
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Vos saper et solos ajo bene vivere, quorum
Conspicitur nitidis fundata pecunia villis.

Orazio ep. xv, lib. i


Nelle più colte nazioni fu sempre studio di moda quello delle cose della campagna. La Grecia diede i suoi autori Geoponici, il Lazio i suoi de re rustica, questo scrittori d’Egloghe, d’Idillj quella; e tali scritti dettati erano in gran parte dall’amore del ritiro campestre. Quanti avanzi di antiche delizie nel distretto Romano, che sono ancora delizie agli occhi de’ curiosi e degl’intendenti! Chi non ricerca a Tivoli le ville di Adriano, di Mecenate, di Manlio Vopisco, che verdeggia ancora, quasi direi, ne’ versi di Stazio: quelle di Munazio Planco, di Sallustio Crispo, di Cajo Cassio, di Quintilio Varo, di Marco Lepido e di quella Cintia, che dee l’immortalità del nome ai versi del suo Properzio, forse non men [p. 40 modifica]caldo amante, ch’esser lo veggiamo poeta caldo? Chi veder non vuole a Grotta Ferrata le poche reliquie della Toscolana di Cicerone, che in oltre avea la Formiana, la Cumana, la Pozzuolana e la Pompejana di tutte più celebre per gran portico e bosco, e quasi dalle questioni Accademiche consecrata? E quella di Orazio nella Sabina? E quella di Catullo fuor della porta Valeria? Lascio quella di Marziale, le due del giovane Plinio, le tante di Seneca, e d’altri, che lunghissimo sarebbe il citar solamente; per non dir di Lucullo, che passò gran parte della vita tra i villerecci diletti, scrivendo i commentarj delle sue guerre, tornato che fu vincitore dall’Asia, e coltivando il ciliegio, che recato n’avea, parte la più innocente e più bella del suo trionfo. Al risorger delle lettere, e delle arti questo genio ancora rinacque: ma benchè descritto si trovi non volgar giardino nella terza Giornata del Decamerone, e meglio [p. 41 modifica]si cominciasse ad abbellir le ville nel quattrocento, sembra nondimeno che prima tra le moderne più signorili fosse quella di Bagnaja presso Viterbo, cominciata nell’anno 1511, e da Francesco Gambara Cardinale a fine condotta. Poi sorse in Tivoli la famosa villa Estense, ed appresso le altre che sono a Roma, o poco fuori di Roma. Ma gl’Italiani, a dir vero, non sembrano al presente far conto grande di questi piaceri eruditi e tranquilli; ed avvenne anche in ciò, che promosso sia meglio dalle altre nazioni quel che da noi fu a loro insegnato. In Francia certo, e in Germania non è unicamente per raccoglier l’entrate e riscontrar le partite col Castaldo, che si va in campagna; a nulla dire dell’Inghilterra, che ci offre anche in questo un’immagine della Romana grandezza, e creò un nuovo genere in que’ suoi Parchi, a imitazion de’ quali quel solo abbiamo in Italia, ch’io sappia, del Senator Lomellini nel Genovesato; genere per altro non così nuovo [p. 42 modifica]secondo alcuni, che non si praticasse già nella Cina.1 È degno d’osservazione il vedere nella maggior civile raffinatezza più grande l’amore della solitudine e della villa. Certo se gli uomini nascessero ancora e vivesser ne’ campi, molto men viva sarebbe l’impressione in lor fatta da uno spettacolo, che nella stessa continuazion sua perderebbe della sua forza. Ma quanto più s’allontanano dalla natura, e ristretti nelle città si fabbricano i bisogni più inutili, e dietro ai più falsi beni si struggono, tanto più, quella di tempo in tempo a sè richiamandoli, risvegliasi in loro una invincibile [p. 43 modifica]necessità di respirar l’aria aperta, di riposar gli occhi su la verdura, e di godere di quella pace, che le cure cittadinesche rendon più desiderabile e più gradita. La stessa coltura della mente fa scoprire, o gustar meglio molte bellezze, che inosservate si rimarrebbero, o non degnamente assaporate nella primitiva rozzezza. Mi piace questo ruscello, m’innamora quel prato; ma certamente i versi di quello spirito raro d’Orazio, i versi di quell’incomparabile anima di Virgilio mi fan mormorare più dolcemente il ruscello, mi fan verdeggiare il prato più frescamente. E diciamo anche, che il prato e il ruscello ci rendono alla lor volta più belli ancora i versi d’Orazio e Virgilio: come i paeselli dipinti c’insegnano a gustar meglio gli originali, e gli originali con debita ricompensa i paeselli dipinti. Certo io perderei molto ne’ miei diletti campestri, s’ogni rimembranza io perdessi della città. Sia pur meco la memoria del [p. 44 modifica]seliciato di quelle strade, e della polvere che ingombra quell’atmosfera, quando io premo

L’erbetta verde, e i fior di color mille,

e beo quest’aria pura e balsamica; meco la memoria di quelle case uniformi e triste, che i raggi ripercuotono del Sol cocente, quando veggo questi dipinti colli, onde l’aure più fresche son ripercosse; dello strepito de’ cocchi e della moltitudine, quando sento mugghiar la valle, o belar la collina, il canto dell’usignolo melanconico, o quel dell’allegra contadinella. Che dirò di quegli spettacoli teatrali, l’insufficienza dei quali è abbastanza provata dalla disattenzione di chi v’interviene, non che dalla forma de’ teatri stessi al conversare ordinati più che ad altra cosa? Che dirò di quelle adunanze, di frivolezza piene e d’insipidità, o composte d’uomini che son fatti per fuggirsi l’un l’altro, ed ove il timor d’offendere l’altrui opinione ti soffoca le parole in gola e i pensieri? Ah vai bene assai più un’ora, una [p. 45 modifica]sola ora che tu venga, o Bertóla, o Pompei, o Pellegrini, a passar meco nel mio ritiro: una sola ora, ma che lascia nel mio cuore quelle vibrazioni, che non si fermano così presto; che lascia nella mente mia quelle idee, di cui io seguo a pascermi lungo tempo. È vero che non è mia questa casa, nè questi campi. Li possederò dunque senza destare l’invidia altrui, e non per questo li possederò meno, non conoscendo io miglior proprietà che quella dell’uso; e quello, che ci appartiene più, non essendo quasi mai ciò, che più ci diletta. Ma non solamente questa casa, e i campi circonvicini, dirò miei anche gli oggetti più lontani, che a formar concorrono quella scena mirabile, di cui godo. Ma tu nè mieti, nè vendemmj su que’ terreni lontani. Sì: ma non è egli meglio, che quelle ricolte e vendemmie si facciano da chi forse ha più bisogni, o più desiderj di me, a cui intanto non trema l’anima in petto, quando veggo addensarsi su [p. 46 modifica]que’ terreni le tempestose nuvole lampeggianti, o almen sento solamente il dolor della compassione, che ha sempre qualche cosa di dolce, non quello del minacciato interesse, che sol composto è d’amaro? Certamente tanto bella è una campagna, quanto il Sole vi percuote sopra. Quando il cielo è di nubi coperto, tutti gli oggetti sembran confusi, e come sopra il piano medesimo: esca il Sole, e vedrai tosto profondarsi le valli, ergersi le colline, distaccarsi le rupi e indorarsi qua e là de’ prati il verde e de’ boschi; mentre saettando la viva luce que’ torrenti e que’ rivi, che prima non si vedeano, pare che facciali uscire allor dalla terra, e che non solamente gl’illumini, ma li produca. I tuoi campi abbisognan dunque del Sole, non solamente per esser fertili, ma ancora per parer belli. Ma se goder non sai, che di ciò che è veramente tuo, ti converrà dunque, per godere della campagna, comperare il Sole? E pure io intesi dire da molti, che la villa non piace a loro, [p. 47 modifica]se non quanto stanno nelle lor terre. È questo il discorso dell’avarizia, o della stupidità? Dell’una e dell’altra: poichè costoro così volentieri si trovano tra le risaje d’una pianura uniforme e morta, come in cima della più fresca e più ridente collina. O Natura, che pur creasti quest’anime, perdona a lor quel metallo, di cui li creasti. Ma son veramente nel Mondo anime così dure, che la tua beltà, o Natura, punto non le commuova? Se agli uomini tutti l’occhio tu fabbrichi di maniera ch’entri dolcemente in esso il verde e l’azzurro dell’immensa tua veste, perchè non volesti una pari relazion generare tra il senso interiore, e sè stessa, tra il lor cuore, e la bellezza tua? Trista cosa a pensare, che il piano ed il colle, le selve e l’acque, i fiori e le rupi abbiano a passare inutilmente innanzi agli occhi d’un uomo vivo: ch’egli non sia mai desto, quando nasce il sole, e desto egli dorma, quando tramonta; e che a lui non piaccia la Luna, se non perchè gli scusa una lampada; [p. 48 modifica]e niente a lui dica, mai niente, la stelleggiata volta notturna. Poco avido di que’ beni, dietro cui sospirano tanti, io pago sarò, che tu m’abbia, o Natura, conformato in guisa, ch’io possa... non dico dipingerti: perchè quale è la fantasia che a ciò basti? o qual linguaggio ha parole così fresche, così colorate, così lucide, che se ne contenti la fantasia? ma ch’io possa ammirare, e sentir nel fondo dell’anima la sacra e non esprimibile tua beltà.

Note

  1. Vidi solamente alcuni anni appresso bel giardino Inglese a Caserta. Altri ne ha ora l’Italia, che sono più o meno secondo la maniera Inglese; ma io conosco sol quello de’ Picinardi non lungi di Cremona, ove non so che cosa io abbia ammirato più, se la bellezza del giardino medesimo, o l’ospitalità degli amabili suoi signori, di cui par nobile fratrum con tutta verità si può dire.