Prediche volgari/Predica VIII

Predica VIII

../Predica VII ../Predica IX IncludiIntestazione 15 luglio 2024 75% Cristianesimo

Predica VII Predica IX


[p. 191 modifica]

VIII.

In questa ottava predica (tratta) come l'uomo
de' rafrenare la lingua

Draco iste quem formasti ad illudendum ei: omnia ad te expectant (Ubi supra). Questo drago, questa maledetta bestia, dice David, la quale tu, o Idio, hai formata perchè noi ce ne facciamo beffe; non di meno noi pure aspettiamo la grazia da te. A le grazie stamane.

Tu hai ne’ due dì precedenti inteso1 tre divisioni di quello che s’è potuto dire di questo maledetto dracone del detrattore: prima della sua velenosa condizione; draco iste, e vedesti la sua malizia e la sua superbia e la sua crudeltà. Nel dì di ieri vedesti la sua condizione, e come era fatto; dove vedesti sette teste con sette malignità. Ogi aviamo a vedere il resto. Draco iste quem formasti ad illudendum eiecc. Doh! ode pur David in un altro luogo, parlando pure di questo maladetto dracone, che è in aiutamento del detrattore2: Tu confirmasti in virtute tua mare ed confregisti capita draconis: dedisti eis escam populi Ethipum. Doh, ode parlare, che Idio ti benedica!— Tu hai confirmato il mare, cioè la mente gattiva in tua virtù: (doh, tu non odi!) confirmerai el mare, cioè sarà confirmato nella tua virtù. Contrivisti, confregisti capita draconis; tu romparai el capo a questi draconi; sai, del dracone d’ieri, e daralo a’ diavoli. Dedisti [p. 192 modifica]eis escam, a’ diavoli a mangiarlo. Meglio, hai tu a memoria quello che è detto in Daniello all’ultimo capitolo, quando era là Nabucodonosr, e inde nel paese era un dracone il qual faceva una grande uccisione d’uomini col suo veleno? E Daniello disse così: Rex, da mihi potestatem et interficiam draconem sine baculo et ense. Et dixit rex: do. Qui congregavit montem picis et adipis et capillorum 3 ecc. Dice Daniello: — O re, dammi potestà, ed io amazarò questo dracone. E ’l re li diè la potestà. — E che modo tenne? Doh! odelo e intendelo bene. Elli aragunò uno monte di pece et uno monticello di sevo et un poca di borra4, cioè di molti peli di molte ragioni, dove potremo dire che ebbe de’ capelli delle code delle donne; ebe code d’asini e d’ogni ragione peli che egli potè avere, e mescolò insieme tutte queste cose, e di questa brodata5 fece una grande brigata di pallottole6, le quali come l’ebbe fatte, ellisi fece incontra al dracone, e piglia queste pallottole, e a una a una tutte le gittò in boca al dracone. Piglia l’una, piglia l’atra, tanto che lil de’ tutte mangiare7, e tanta fu la quantità delle pallottole, che s’empì sì il corpo, che elli crepò. A proposito, sai chi è il dracone velenoso? E’ il detrattore che sempre avelena col fiato delle sue parole. Chi è daniello? E’ l’anima buona, la quale è detratta dal detrattore. E che fa questa anima buona, che fa? Ella piglia pece nera e sevo bianco, l’arme del Comuno di [p. 193 modifica]Siena, 8 e piglia peli, e mescola queste cose insieme e fanne la brodata, e poi ne fa le pallottole. Che significa la pece? L’umiltà. E il sevo? carità del prossimo. E’ peli? Il cognoscimento e lo intelletto di se medesimo e di Dio.E fatte queste, e’ fecene dieci. Doh! ode queste dieci pallotte, le quali so’ sufficienti a fare morire ogni maladetto dracone velenoso, cioè detrattore, che con queste pallotte il farai crepare, stando lui colla bocca aperta, colla sua malizia contro il buono. Hai veduto che prese pece, sevo e peli, l’ fecene pallotte. Ode et impara queste dieci pallotte, e pigliale a cinque e cinque.

La prima pallotta che ti conviene avere si è, che quando uno t’ha detratto, che tu consideri che Idio è di sopra, il quale giudica in verità e a drittura, e non giudica sicondo quello che dice il detrattore. Imperò che Idio vede, sa e cognosce ogni nostra operazione, e secondo l’opere nostre saremo giudicati.

Siconda pallotta. Debbi pensare che chi ti detrae, t’aita a fare considerare il mondo, che in esso non ci è niuna cosa stabile, e non ci è niuna cosa buona9, che di là non sia migliore.

Terza pallotta. Fà che tu celi e occulti tutti i tuoi beni; anco che il detrattore il quale t’ha invidia, nol sappi; imperò che, sapendolo lui, per la sua iniquità ti viene a detrarre, e però ogni tuo bene fa’ che li sia occulto.

Quarta pallotta. Considera che tu hai a èssare giudicato da Dio e non dal mondo; e però non ti curare di colui il quale t’ha detratto.

Quinta pallotta che ti conviene avere si è, che tu [p. 194 modifica]abbi pietà del detrattore; imperò che elli sta in peccato mortale; e prega Idio ch’elli si ravegga, acciò che elli n’esca. E hai le prime cinque. Tòlle l’altre cinque.

La prima palletta. Il detrattore ti fa tornare a casa, cioè pensare in quello che già pecasti10.

Siconda. Elli ti fa per li tempi avvenire èssare più cauto e più prudente che non se’ stato per lo passato.

Terza pallotta. Ti conviene considerare che tu non ti curi che sia mormorato di te; imperò che tu se’ peccatore, e sai che di Cristo fu mormorato e detratto, il quale mai non fece alcun peccato.

Quarta pallotta. Non ti curare perchè elli sia detto male di te: fallo per amore di Dio. Se tu dici: — io non posso fare altro; — io ti rispondo che elli sarà tuo danno. Tu il potrai fare, se tu vorrai.

Quinto, dico, che cor uno grande animo non ti curi e fa poca stima di quello che di te s’è detto.

Doh! poniamo in sodo il nostro dire. Se colui il quale è detratto si vorrà riparare in questi modi ch’io ti ho detto, elli è soffiziente a campare sè e anco il detrattore. E se farà l’oposito, cioè adoparà le malizie che si tirano dietro questi vizî del detrattore, elli è soffiziente a guastare Siena e tutta Toscana, come le virtù so’ soffizienti a raconciarla. Rivedele tutte a una a una.

Prima, dico, pensa che con tutto che tu sia detratto, Idio è di sopra e vede la tua coscenzia; e però pensa in quel ch’io ti dirò. Che dice colui? Dice così e così. O elli è vero o no.11 Se elli non è vero, dico che io [p. 195 modifica]non me ne curo; imperò che io non l’ho fatto; ma io ho ben fatto il tal male e ’l tale,12 e conosco che Idio mi punirà del male ch’io ho fatto, e non di questo. E però non pensare a questo che tu non hai fatto, ma sì a quello. Doh! ode di santo francesco quello che elli disse una volta, pensando lui di questo mondo, vedendoci molti mormoratori. Disse: — O che è quello ch’io sento? Io sento che ’l mondo tiene quello che non è vero: elli tiene che colui che è buono, è tenuto gattivo, e che il gattivo è tenuto buono. Elli non tiene il vero. — E però non tenere col mondo: tiene con Dio, imperò che Idio è quello il quale tiene la drittura. Elli è quello il quale giudica drittamente colui che è buono e colui che è gattivo. Inde Job a xvj cap.: Ecce Deus testis meus in coelis est, et consolator meus habitat in excelsis.13. E Gregorio anco spondendo questa parola: Qui habet testimonium in excelsis, non debet curare quem detrahit in terris: — Chi ha el testimonio in cielo, non si debba curare di colui il quale il ditraie qui in terra. — Similmente anco Giovanni ne la Canonica sua,14 parlando di questo testimonio nel quinto cap. dice: Tres sunt qui testimonium dant in coelo; scilicet Pater, Filius et Spiritus Sanctus, et hi tres unum sunt; ut in ore duorum vel trium stet omne verbum15. Dice [p. 196 modifica]che tre sònno i testimoni che noi aviamo in cielo, cioè il Padre, ’l Figliuolo e lo Spirito Santo. — El padre colla sua potenzia, el Figliuolo colla sua sapienzia, lo Spirito Santo colla sua clemenzia uniti tutti e tre, e quali sònno uno Idio, il quale ha queste tre infinite potenzie, e con esse remunera l’anima, sicondo che ella ha meritato nell’operazione sua. Non più di questo: O, o, o, aspetta, aspetta; doh! aspetta un poco, ch’elli m’occorre un detto di Gregorio a nostro proposito, a xi cap.Inter verba laudantium et vituperantium semper ad mentem recurrendum est, et si bonum quod de nohis dicitur, honum non invenitur, est magnae tristitiae dolore convertendum; si autem malum quod de nobis dicitar, in nobis non invenitur, magno gaudio exaltandum est. Impara questo stamane, che per certo elli è molto utile. Ode il remedio che Gregorio t’insegna. Dice che quando è detto male di te, così quando è detto bene dell’uno e dell’altro, dice se è detto male, corre dentro da te16, e guarda se tu ve ’l vedi: o, o. E se tu ve’l vedi, u, u, u, male sta. Simile se è detto di te bene, anco ricorre alla tua buttiga della tua coscienzia, e miravi dentro; e se non ve ’l vedi tale bene, oimè oimè oimè! O io so’ tenuto buono, e non so’, oimè, quanto va male questa cosa! imperò che Idio non mi giudica sicondo ch’io so’ tenuto, ma sicondo ch’io so’. Così, dico, se è detto male di te, e tu non hai fatto tal male, fa’ che mai tu non te ne curi. Se pure tu l’udissi, sai che fa’, dà un salto e dì: — questo peccato non feci io mai, — e in questo modo farai crepare il dracone. Che [p. 197 modifica]sciocheza sarà la tua, (se) non hai fatto il male17, nè hai voglia di farlo, che tu te ne curi per le parole d’un gattivo! Et io ti dico che tu dovaresti godere, poichè tu non l’hai fatto. Ove Pavolo quello che disse per colui che è buono e è stato detratto: Gloria nostra haec est, testimonium conscientiae nostrae. O tu che fai bene et è detratto di te, non te ne curare; imperò che tu hai il testimonio in cielo, cioè Idio, il quale conoscie la verità, et anco hai con teco medesimo il testimonio della tua coscienzia; che sai e cognosci che colui non dice la verità. E però non te ne curare, che Idio è con teco, il quale sta colla verità, e lassa andare colui che ha detto male di te, che ’l diavolo è con lui. Lui infine n’anderà piangiendo, e tu te ne va’ cantando e danzando. E basti il primo.18

Sicondo remedio non meno bello che ’l primo. Il detrattore t’aita a dispregiare el mondo, imperò che per quello cognosci che ’l mondo non tiene la verità; il quale sempre con quelle cose che ci so’, ci tirano19 a dannazione. Non vedi tu quando tu hai stato, che elli ti inducie a superbia, e quando tu hai robba, ti inducie ad avarizia, e quando tu hai fama, ti inducie a vanagloria, e quando onori a superbia? Questi sono li oncini del mondo, i quali oncini sempre si tirano in giù, imperò che avendo delle cose del mondo, il mondo ti tira ad sè. E però, volendo tu di queste cose del mondo, benchè tu non abbi avute, dico che tu stai male. Doh! piglia [p. 198 modifica]l’essempro che n’hai avuto. Benchè tu n’abbia voglia, no li cercare20. Non vedi tu, quando tu hai il fanciullo che latta, e tu madre per farlo divezare e tu poni l’amaro col dolcie, che tu vi poni suso talvolta un poco d’assenzio?21 E come il fanciullo vuole sùggiare, et elli sente l’amaro22; e come il sente, subito torcie il viso dalla poccia, e fa tpu, tpu, tpu, e sputa fuore, perchè il truova amaro; e piccolo piccolo comincia a sentire dell’amaro del mondo. E come tu odi del fanciullo, così è di tutti noi; avendo delle cose dolci, elli ci è di molto amaro con esse. Vedi quanti pericoli ci so’ in queste delizie; quanti scandoli i quali si può dire che sieno i morsi del mondo! E quando tu il considererai, e tu dirai: — O mondo traditore, io non ti credo più; — avendo tu veduto costui grande et alto, ora essere piccolo e basso; colui era rico, ora è pòvaro, e così non ci è niuna cosa stabile. Doh! crede come in ogni cosa il mondo t’inganna. Come tu il vedi nelle grandi cose, così è simile nelle piccole. E vedene l’essempro, o donna che hai el marito ghiotto. Talvolta essendo ghiotto il tuo marito, è vago de’ buoni bocconi, o talvolta vuole la lasagna23 bene grassa. Che fa egli? Se ne va al becaio, e torrà un bello pezzo di vitella grassa, e comprala; e poi se ne va alla casa, e dice alla donna: — fa’ ch’io abbia un poco di buona lasagnia. — Et ella così [p. 199 modifica]fa. fatta che ella ha questa lasagna, et ella fa la scudella; e, posta in tavola, per isciaura avviene che al primo boccone che ’l ghiotto si mette in bocca, elli s’abatte a una mosca che v’era cascata dentro. Come elli l’ha trovata al primo, elli la fa levare via. O, o, o, io t’intendo a proposito. Quanti so’ stati di coloro che si sò ritrovati in grande altezza, poi so’ venuti in bassezza! Quanti si so’ ritrovati in grandissimi diletti, e con tutto che ellino abino di queste cose, pure quando che sia elli ci cade la mosca; imperò che tu non trovarai mai niuno boccone di questo mondo che sia netto. Doh! vediamo se io dico il vero. Tu vedi, e questo è spesso spesso, quando la donna va a marito, ella va vestita ornata, pettinata, pelata e lisciata. Aspetta! Alla suociara t’arraccomando! Ella è piena d’adornezza; ella ha e’ dindoli; ella ha le ghirlandarelle in capo24, l’anella d’oro; ella è tutta adornata. E giógne alla casa del marito, et è stata poco poco, e la suociara l’accusa al marito: — così e così fa la tua donna; elli mi dicie, ella vuole èssare la madonna della casa, e vuole fare a suo modo d’ogni cosa, e non a mio per certo. — Elli è vero quello proverbio che dice: viene asino di montagna, e caccia cavallo di stalla. Là dove ella si credeva d’essere aitata, riverita et amata, et ella si comincia a méttare nimicizia. O dov’è quel bel tempo che tu avevi? Poco è durato: caduto c’è la mosca. Io ti dico che elli non ci è del buono in questo mondo. Doh! vuo’ lo meglio vedere? Ècci niuna qui fra voi che sia contenta, [p. 200 modifica]o niuno che sia contento? Ècci niuno che abi avuto niun bene, che non vi sia caduta la mosca? Io non ne trovai mai niuna nè niuno, che non avesse di questi morsi del mondo. Questi so’ i morsi del mondo; e però non ci avere fede, chè elli è traditore. Se è uno buono, elli s’acostarà più tosto a Dio che al mondo, dicendo: — io cognosco che ’l mondo non è d’averci fede, imperò che elli è pieno di falsità; che promette bene, e attiene male. — E però si fugono quanto possono da esso, e accostansi a Dio; de’ quali dice Gregorio: Mala quae non hinc compellunt, cogunt nos cogitare et adhaerere Deo: — E’ mali che ci cacciano di qui, ci sforzano di pensare e di acostarci a Dio. Guarda, guarda nell’Esodo, a csp. xij, di questo populo il quale voleva stare nei diletti del mondo, et in fine piacque a Dio che elli fusse stampeggiato25 d’Egitto, perchè servisse a Dio, e con tutto ciò mormorarono. Simile fa il detrattore; sempre mormora di ciò che si fa, pensando sempre d’avere a stare in questo mondo, il quale elli ama sopra tutte l’altre cose. A’ quali dice Giovanni nella Canonica sua: Nolite diligere mundum, neque ea quae in mundo sunt26: — Non voliate amare il mondo, nè niuna cosa che sia in lui; — imperò che nè in lui nè in niuna cosa non ci è nè pace nè vera consolazione.

Terzo rimedio e modo che tu hai contra al detrattore si è, che elli t’è lecito d’occultare il bene che tu [p. 201 modifica]hai, acciò che tu levi la cagione della invidia che elli ti porta invidia, elli ti detrarrà e farà quello peccato. Se elli nol fa, elli non ti detrarrà, imperò che non sapendolo, elli non parlarà di te. Et inde è detto: — di lónga da ochio, di lónga da cuore. — Simile: — quello che l’uomo non vede, il cuore nol crede. — E però, quando tu puoi fare che elli non sappi il tuo bene, fallo, chè elli si consuma tutto, quando elli il può sapere. Ode Job al sicondo cap.: A flagello linguae absconderis, qui frangit ossa.27 L’ossa che so’ così dure, per lo dire della lingua so’ flagellate, però che ella è più dura con non so’ l’ossa. E però fa’ che tu cerchi sempre il buono, e occulta il tuo bene allo invidioso: cerca la gloria del tuo bene e del ben del prossimo tuo. Gregorio dice: Qui non quaerit gloriam, non sentit verecundiam: — Chi non cerca la gloria, non sente contumelia28; — imperò che sempre il gattivo mormora. O giovano, è mormorato di te? . Sì. — Cagione ci è. E tu, donna, è mormorato di te? — Sì — O perchè? Perchè tu ti dipégni e fa’ ti bella, sai, quando con bianco e quando con rosso. Tu te ne se’ cagione; e infine tanto farai così, che tu diventarai29 poi gialla, e là dove tu dimostri quello che non se’, e fai peccato, se’ cagione che un altro mormori. E questo sia per lo terzo.

Quarto rimedio e modo che t’è insegnato si è, che tu debbi pensare che tu hai a capitare dinanzi al vero ec. [p. 202 modifica]giudice, il quale ti giudicarà drittamente; e se sarai buono, non temere di nulla che sia detto di te; imperò che Idio non giudica sicondo che rende testimonio il mondo che è falso, ma sicondo l’operazioni che tu farai, e ’l testimonio che sia vero. Isaia a xj cap.: Deus non iudicat secundum visum oculorum hominum, neque auditum hominum; sed secundum quod in coscientia sua inveniet30. Non giudica Idio sicondo quello che si vede, o sicondo che si dice, o sicondo che s’ode; ma giudica l’anima sicondo che’ella farà. Se la truova con buona coscienzia, alla gloria è giudicata; se la truova con gattiva conscienzia, a pena eterna.

Quinto rimedio. Quando tu odi uno che ti detrae, tu cognosci che ’l detrattore fa quello peccato, e in sè certo elli vi ha grande pena per la invidia che elli ti porta. Ed è un peccato quello della invidia, che colui che l’ha, sempre in sè arde e tutto si consuma e dentro e di fuore; imperò che elli adopera tutti i sentimenti nella invidia che elli ti porta; che talvolta udirà tanto bene di te, che per la invidia che elli ti porta, elli non ha se non a crepare. Ma fa’ che tu non ne goda: fa’ dal tuo lato il bene, e non ti ritenere di fare bene; chè con tutto che li dolga, tu li debbi avere compassione. Doh! tu vedi che quando uno si consuma il suo corpo per qual ragione si sia d’infermità, tu gli hai compassione. E però costui ha bene una grande infermità. Doh, abili compassione, come tu debbi avere agli altri! Questa è cosa naturale, avere compassione agli afflitti. Isaia dice: Si videris hominem bene facientem et laetaris, bene facis, quia [p. 203 modifica]omnes boni odoris sumus: 31 Se tu vedi il buono uomo il quale ha bene, godene. Gaudete cum gaudentibus. Così dico: se vedi il gattivo avere male e stare tristo, tristare cum flentibus. Non volere fare a contrario, di godere di chi piagne, e piangere di chi gode. Colui che piange e si ratrista del bene altrui, si può asimigliare a quatrogambe. Sai che fa quatrogambe? Quatrogambe fugie al tempo che la vigna fiorisce. Sai perchè? Perchè la serpe escie fuore a quel tempo, nel qual tempo sempre si gode. E però disse uno savio, che si converrebe che ’l detrattore invidioso avesse tanti ochi, che egli vedesse tutti i beni che fa il buono, e tutti i beni che hanno; imperò che vedendo tanto bene, elli creparebe. Una volta fu detto a Diogenes: — O tu, sei? — Sì, — elli fecela risposta: Oportet sapientiam fieri ab insipientibus: — Elli è di necessità che ’l savio comporti il pazo. — Questa fu la risposta sua. Et io dico che il detrattore fa il contrario; che egli vuole portare il bene del compagno; il quale bene pesa tanto, che egli vi criepa sotto, e di ciò si consuma. E però soggiongo che il detrattore proprio sentenzia, che colui di cui elli detrae, è migliore di lui. E questi so’ i rimedi che ti conviene usare contro ’l detrattore quando ti detrae. Vede ora questi altri cinque remedi, i quali so’ la perfezione di colui che è detratto.

Primo rimedio che tu hai a usare si è, che tu debi pensare, et anco l’hai da ringraziare, imperò che elli ti fa tornare a casa.32 Vedi tu le riccheze di questo mondo? [p. 204 modifica]Elle ti fanno dilóngare più della tua casa, che andando di là dal mare. Simile, ti fa anco dilòngare le delizie di questo mondo. Simile, anco molte virtù, come s’è la virtù della fortezza. Così talvolta la virtù della sapienza delle cose del mondo. Inde Gregorio (vi, Quaest. prima): Sunt plurimi de quibus tot virtutes et bona dicuntur, quod non est in eis undecima pars. — Dico che so’ molti, molti dico... Che ho io detto? Che ho detto?...So’ molti che dicono tanto bene d’uno, che non è delle mille parti l’una di quelle che si dicie. — Del quale io dico così, che se costui non è ben fondato, elli ha tanto a fare, che bene ha a fare; che è tale che, se ode che di lui è detto bene, egli egli crede ciò che si dice, e non sarà vero. E questo dico, perchè se elli n’è detto bene, tu non ti levi e non te ne curi, com’io t’ho detto che non ti curi, se colui ne dicie male. Ma, doh! Idio, che fai tu co la tua bilancia che d’uno sarà detto l’uno e l’altro? Tu fai che, se costui ne dice bene, e colui ne dicie male. E sai che fa questa bilancia? Se ella sta pari che non va nè in gù nè in su, è a utile di colui il quale ode chi ne dice male e bene. Che se elli ode chi ne dice bene, elli non si leva in superbia; se ode che n’è detto male, elli non si turba, ma mandala di pari, che non si cura nè dell’uno nè dell’altro. Che se elli pendesse o dall’un lato o dall’altro, potrebe33 cadere a terra. O, noi aviamo l’essemplo in pratica di colui il quale ha la soma, e vede che ella pende più dall’un lato che dall’altro, che elli vi pone la pietra per contrapeso, perchè vada di pari. E però, dico, se colui il quale è detratto, se elli tiene modi che deba tenere, solo quello è soffiziente a farli aquistare vita eterna. E così, simile, di colui che fa bene [p. 205 modifica]et ènne detto bene: se non si leva in superbia, grande corona meritará poi da Dio. Doh! io non vorrei se non per una cosa avere denari. O che ne vorreste fare? Spendarestili in limosine per maritare fanciulle? — No. — Per utile di chiese? — No. — Per prigioni? — No. — O che ne faresti? — Io li darei tutti a chi mi volesse detrarre, io dico per mio utile. Doh! dimmi, chi credi tu che mi facesse più utile all’anima mia, o uno che mi lodasse, o uno che mi detraesse? Fa’ ragione che tanta differenzia è dall’uno all’altro, quanto da uno che mi tirasse di qui in terra, e che un altro mi tenesse. Ma dimmi: se tu se’ dall’uno tirato in giù e dall’altro tenuto, io m’attacarei più ratto a chi mi tenesse, che a chi mi tirasse o mi spegnesse a terra. E così mi credo che fareste ognuno di voi. Simile, dico, mi fa chi mi detrae. Chi mi detrae, mi manda in su, e chi mi loda, mi manda in giù. E perchè io so’ andato gran pezzo attorno, io ho udito di me quello che se n’è detto. Quand’io so’ voluto andare da uno luogo a un altro, elli si dice in quello luogo dove io voglio ire: — O, o, o! Che è? Che è? O, o! Frate Bernardino viene; — e tale è che ne dice bene di me, elli son cento che ne dicono male. E non è niuna cosa che facci temere me più di me, che uno dica bene di me; e io cognosco quello che io so’. E io so meglio quello che io so’, che non sa colui che mi loda; imperò che io bazico sempre con meco, e so l’opere mie; e perchè io mi cognosco, sempre temo. Unde più mi fa utile chi mi biasima, che mi loda. Così diceva santo Francesco: — Meglio mi fa chi mi biasima, che chi mi loda; imperò che chi mi biasima mi manda in su, e chi mi loda mi manda in giù. — [p. 206 modifica]Ma in ogni modo si conviene sapere navigare34; come dice santo Pavolo a nostro amaestramento, quando scrisse a’ Corinti (Siconda Epistola al 6.° cap.) Per arma iustitiae a dextris et a sinistris; per gloriam et ignobilitatem, per infamiam et bonam famam; ut seductores et non veraces;...quasi morientes, et ecce vivimus per arma iustitiae.35 O vuoi bruciato, o mitarato,36 dalla mano dritta o dalla sinistra, o per prosperità o per avversità, per gloria o per vergogna, o per fama buona o per infamia gattiva, come ingannatori chiniamo il capo, operando sempre bene; quasi dimostrando essere morti e d’essere vivi; — e però sempre in noi debba essere chiarezza di mente e di intelletto. Colui che detrae fa come colui il quale ha l’occhio torbo e pieno di malore, e questo malore è solo del volere detrarre l’opere di chi fa bene e chi fa male. Del quale è detto nello Apocalisse:Et unge cum collyrio oculos tuos ut videas37. Ogneti l’ochio tuo col collirio della carità, e non della malizia e coll’odio, acciò che tu vega quello che è la tua salvazione.

Sicondo modo e rimedio. Elli38 ti fa più cauto e più prudente e più sperto a farti camminare a vita eterna. Quando uno dice bene di te, tu stai a gran pericolo, come quando tu andassi per una via di contado, quando fusse tempo di sospetto, dove nella machia può essere il nemico tuo. A proposito, io fui una volta in uno luogo [p. 207 modifica]dal quale volendomi partire, elli mi fu fatto scorta; e chi me la faceva, aveva grande sospetto e paura; io dico tanto, che a me mi pareva una maraviglia; e perchè ellino videro alcuni da lónga, e non poterono cognóscierli; subito s’acconciaro con le rotelle e con le chiavarine.39 Doh, di che vi guardate voi? Voi siete tanto della lónga, che vi potrebbero eglino mai fare? — Risposero: — noi aviamo paura delle machie, che non vi sia chi ci potesse 40nuocere. — Questi detrattori, i quali sempre circundano i buoni, fanno talvolta astenere chi farebe male, in molti modi; ma pure questo è fra gli altri. Quanti cascherebero in disonestá, se non fusse la paura del detto di altrui? I quali temeno che per niuno modo non si possa sapere, perchè di loro non sia detto male. Ellino si guardano d’atorno atorno; ellino si guardano di lunga, e si guardano d’apresso. Ellino guardano dalle strade, dalle macchie ed in ogni luogo; e per paura che non sia detratto, s’astengono di non usare, di non conversare con detrattori nè d’èssare lo’ presso; ma non potendo fare altro, debbano ammonirgli, pregargli, quanto sanno e possono, per la salute loro. Inde santo Piero nella Canonica sua al 2.° cap. dicit: Conversationem vestram inter gentes habentes bona41. Coloro che conversano con compagni, debbono dire42, quando lo’ vegano fare alcun male o detrarre o altro, [p. 208 modifica]che per amore di Dio s’astenghino, dimostrando loro come eglino fanno male. Doh, quanto sta bene molte volte uno buono fra una brigata di gattivi; uno corretto fra una brigata di scorretti! Ode nella Cantica quello che d’uno di questi cotali è detto. Dice: Sicut lilium inter spinas, sic anima mea: 43: — L’anima mia è fatta come un giglio fra le spine; et elli trae un poco di vento, egli fa piegare il giglio in su le spine, el quale è ponto, et egli gitta uno odore, solo per quelle punture delle spine. Oh, quanto vi sta bene! Ma dimmi: se ’l giglio si rompesse e fiacasse,44 o messo fra due pietre, non gittarebbe odore, ma subito imputridirebe. Però è meglio che egli sia ponto dalle spine di chi detrae, e rendarà odore. Chè tale è stato che ha detto bene d’uno giglio; che per quello dirne bene ha fatto fiaccare il giglio, et èssi impudridito e guasto. E tale è anco mormorato del giglio,45 e pontolo in quel modo: el giglio così ponto ha renduto. uno soave odore. E però non desiderare che di te sia detto bene, a ciò che tu non ti rompa e fracassi.

Terzo modo e rimedio: piglia essemplo che Cristo tanto innocente, il quale sempre faceva l’opere sue tutte buone e virtuose, nè mai si potè trovare che egli facesse altro, e non di meno sempre e’ farisei, scribi e sacerdoti tutti ognuno mormorava di lui. Chi diceva ch’egli aveva il diavolo indosso; chi diceva che egli era samaritano; chi diceva che egli era un pazzo; e questo da che ve


Note

  1. Il Cod. Sen. 6, Tu ài veduto ne’ duo dì precedenti ec.
  2. Gli altri Codd., ma erratamente, detratto.
  3. Assai diversa è la lezione della Vulgata:Tu autem rex da mihi potestatem, et interficiam draconem absque gladio et fuste. Et ait rex, do tibi. Tullit ergo Daniel picem et adipem et pilos etc.
  4. E gli altri Codd., di borraccio.
  5. Lo stesso che broda, come legge il Cod. Sen. 6 .
  6. Il Cod. Pal. sempre, pallotte.
  7. Gli altri Codd., tanto che tutte gliele diè mangiare.
  8. Detta in Siena la Balzana, ed è appunto, come accenna il Santo, nella metà inferiore dello scudo nera, nella metà superiore bianca.
  9. Negli altri Codd., tanto buona.
  10. Il Cod. Sen. 6 dà una lezione diversa, ma non migliore: La prima pallotta che tu ài a usare si è, che tu debbi pensare; e anche l’ài da ringraziare; imperò che ti fa tornare a casa.
  11. Il Cod. Pal.. O elli è vero, o elli non è vero.
  12. Il Cod. Pal., ma io ò ben fatto il tal male ed il tal altro male.
  13. Differisce alquanto dalla Vulgata che dice: ecce enim in coelo testis meus, et conscius meus in excelsis. Nel Cod. Pal. al passo latino segue una lacuna, serbata forse per la versione, ma che non si riscontra negli altri Codd.
  14. Vale a dire nella sua Lettera prima, per la quale v. in questo la nota 2 alla pag. 156. E canonica troveremo che la chiama anche in seguito.
  15. Il passo non appartiene tutto a san Giovanni.Quello proprio dell’Apostolo nella Vulgata dice così: Tres sunt qui testimonium dantin coelo; Pater, Verbum et Spiritus sanctus; et hi tres unum sunt. Il rimanente è tolto invece dal cap. 19°, v. 15 del Deuteronomio, e la sua vera lezione è la seguente: sed in ore duorum aut trium testium stabit omne. verbum. Di queste ed altre simili inesattezze del Santo nella citazione dei testi biblici non farà caso chi ricordi com’egli queste prediche facesse senza molta preparazione e, come suol dirsi, a braccia.
  16. Il Cod. Pal., in te.
  17. La lezione del nostro Testo è qui men corretta che negli altri Codd., dove è detto: se tu non arai fatto il male. Ad ogni modo ci parve necessario al costrutto raggiungere la particella se, omessa nel nostro Cod.
  18. Questo è quanto basta al primo: così il Cod. Pal.
  19. Il mondo, cioè, e le cose che in quello sono. Il Cod. Pal., ci tirano sempre a dannazione.
  20. Non cercare, cioè, i beni e gli onori del mondo.
  21. Così i Codd. Sen., ma il Pal. invece dà questa diversa lezione: Non vedi, tu ài il fanciullo che latta, et elli è già grande, et elli è avvezzo a quello latte, e pure vorrebbe di quello latte; e tu madre per farlo divezare e tu vi poni l’amaro col dolcie, talvolta uno poco d’assenzio.
  22. Gli altri Codd., amarore.
  23. Il Cod. Sen. 6 sempre, lanzagna.
  24. Dindoli o Dondoli erano piccoli oggetti d’oro o argento o d’altro metallo, onde solevano le donne adornarsi il collo o le braccia, quasi com’oggi usan gli uomini alla catena dell’orologio. Le Ghiandarelle erano ghirlande, generalmente di perle, fatte a ghiande. 11 Santo ne cita altre che avevan la forma di more o di chiocciole.
  25. Cacciato via; parola dell’antico linguaggio senese, oggi perduta, ma che il Santo adopra altre volte.
  26. Al cap. II, v.15.
  27. E’ il versetto ventunesimo del quinto e non del secondo libro di Giobbe, e così dice: A flagello linguae absconderis, et non timebis calamitatem cum venerit.
  28. Il Cod. Sen. 6, cui è conforme il Pal., dà questa variante: Chi non sente la gloria, non sente vergogna. Chi non cerca gloria, non cerca contumelia.
  29. Il Cod. Pal., che ne sarai cagione., e diventarai
  30. Ma la Vulgata invece: Non secundum visionem oculorum iudicabit, neque secundum auditum aurium arguet; sed iudicabit in iustitia pauperes, et arguet in aequitate pro mansuetis terrae etc.
  31. Non abbiamo saputo trovare in Isaia questo passo; ma le ultime parole appartengono a san Paolo (Epist. ad Corinth., II, cap. III, v. 15) e debbono così essere corrette: Christi bonus odor sumus Deo.
  32. Metaforicamente, cioè il detrattore con le sue calunnie ti richiama a pensare al bene tuo, della tua anima, e alla considerazione delle cose celesti. La lezione di questo periodo, in parte difettoso, è in tutti Codd. uguale.
  33. Gli altri Codd. ripetono: che se egli pendesse, dico, poterebbe ec.
  34. Il nostro Testo dice, si viene sempre navigare; ma poichè da tal lezione non si cava costrutto, seguimmo quella degli altri Codici.
  35. Nella Vulgata: quasi morientes, et ecce vivimus ut castigati et non mortificati (B.)
  36. Per, miterato, cioè con la mitra in capo, come costumavasi di fare, in segno di vitupero, a coloro che dalla giustizia eran condannati alla gogna o ad altra pena.
  37. È nel 3° cap. al vers, 18, e dice: et colljrio inunge etc. (B:).
  38. Intendi, il detrattore.
  39. Si misero in punto per diiendersi con le rotelle e le chiaverine; armi ben note.
  40. Il Cod. Pal. legge: sono tanto alla lunga; che vi poterebbero eglino mai fare?
  41. Cioè, nella prima delle Epistole di San Pietro, cap. II, v. 12.
  42. In luogo di, debbono, e così veggano per veggono e simili; modi propri del popolo, usati dal Santo quasi di continuo. Basti l’aver ciò avvertito una volta.
  43. È il 2° vers. del cap. II, e dice: Sicut lilium inter spinas, sicut amica mea inter filias. Bensì la lezione del nostro testo è uguale a quella degli altri Codd.
  44. Per fiaccasse: poco sotto, fiacare.
  45. E così è anche mormorato del giglio. Il Cod. Pal.: E tale ha anco mormorato. Il Cod. Sen. 6: E tale ha tanto mormorato.