Poesie (Carrer)/Ballate/Stradella cantore

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Ballate - Mezza notte Ballate - Il Lamento
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STRADELLA CANTORE1.

I.


È di sua voce angelico
     Il modulato suono,
     Che il genuflesso popolo
     Affida di perdono,
     5Quando fra i sacri portici
     Si fa dall’alto udir.

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Ed io straniera, io gelida
     Al mistico richiamo,
     Ardo in profane smanie,
     Miseramente io l’amo,
     10E col fragor dell’organo
     Confondo i miei sospir.

Perchè non t’odo, o tenera
     Voce, quand’è la sera,
     Dalla laguna ascendere
     15Alla magion severa
     Ove solinghi muoiono
     I voti del mio cuor?

Perchè, seguendo il fervido
     Desio che mi consuma,
     20Del circostante pelago
     Fender la molle spuma
     Teco in barchetta celere
     Non mi concede amor?

E tu fra i seggi morbidi,
     25Da lato a chi t’adora,
     Mescer ai vaghi zeffiri
     La voce che innamora,
     E i lidi udir ripetere
     Sommessamente il suon!

30Farmi potessi rondine
     Dell’aure pellegrina,

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     E alle tue chiuse battere
     Finestre la mattina.
     Dicendo: amor mio, destati;
     35Vigile e teco io son!

Tutta la notte in gemiti
     Passai da te divisa;
     Fioca ho la voce e languida,
     Perchè nel duol conquisa;
     40Amami, o caro, e limpida
     E piena tornerà.

Ahi! delirando perdesi
     L’afflitta anima mia:
     Nacqui a cordoglio assiduo,
     45E allor cessato ei fia
     Che il gelido silenzio
     Dei morti mi terrà.

II.

No, la gioia che l’alma m’invade
     Non più sogno, o delirio non è:
     50V’abbandono, o paterne contrade,
     Ma il mio caro ne viene con me.

Fuggi, fuggi, barchetta veloce,
     Ch’oltre l’acque mi devi rapir;
     E tu, caro, solleva la voce,
     55Ch’io non oda il paterno sospir.

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Ahi la nebbia per l’aure vagante
     Non mi turbi quest’ora d’amor!
     Non mi mostri un antico sembiante
     Trasmodato d’affanno e livor.

60Tu non sai, padre mio, le querele
     Che mi costa il doverti lasciar;
     Padre mio, non chiamarmi crudele,
     M’è destino altra terra cercar.

Tra le pompe di splendida cuna
     65Furo al pianto educati i miei dì;
     Oggi solo, mutando fortuna,
     Alla gioia il mio petto s’aprì.

Mi son odio le nozze reali
     Che in silenzio apprestate m’hai tu;
     70Il mio caro non soffre rivali,
     L’amai primo, a me l’unico ei fu.

Addio, patria! Di pianger non cesso,
     Ma le lagrime asciuga il mio ben:
     Il mio core è dai palpiti oppresso,
     75Ma il mio fido mi chiude al suo sen.

O Vinegia, se dura memoria
     Di costei che la patria lasciò,
     Agli amanti fia lugubre storia,
     E il sospiro de’ posteri avrò.

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III.

80Pallido, pallido
     L’hai tu veduto
     Quel veglio estranio
     Guatarci muto
     Nel tempio ov’abita
     85Mite il Signor?
                    Fuggiamo, involati,
                    Mio dolce amor!

E mentre l’animo
     D’ognuno s’era
     90Commosso al sonito
     Della preghiera,
     Ei solo fremere
     Cupo dal cor?
                    Fuggiamo, involati,
                    95Mio dolce amor!

Non è fantasima
     Di mente accesa;
     Furtivo e torbido
     Uscir di chiesa
     100Il vidi, e tacito
     Seguirne ognor.
                    Fuggiamo involati,
                    Mio dolce amor!

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Caro, non chiedermi
     105Chi il veglio sia;
     Ha un nome cognito
     All’alma mia,
     Ma per esprimerlo
     Non ho vigor.
                    110Fuggiamo, involati,
                    Mio dolce amor!

Fuggiam dov’offrono
     Secura vita
     Tra i verdi margini
     115Baia romita,
     E l’ampia Napoli
     Col suo romor.
                    Fuggiamo, involati,
                    Mio dolce amor!

120O se più splendida
     Ami dimora.
     Moviamo al Tevere
     Che l’arti onora,
     E del Pontefice
     125Sarai cantor.
                    Fuggiamo, involati,
                    Mio dolce amor!

Che se lo strepito
     Civil t’affanna,
     130Ne sia ricovero

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     Una capanna,
     E fonti ed alberi
     Nostri tesor.
                    Fuggiamo, involati,
                    135Mio dolce amor!

Se fido e incolume
     Mi sei vicino,
     I nudi vertici
     Dell’Apennino
     140Arriderannomi
     Sparsi di fior.
                    Fuggiamo, involati,
                    Mio dolce amor!

IV.

Vi riveggo, vi conosco,
     145O paterne antiche mura!
     Ma non era il ciel sì fosco,
     L’onda torbida ed oscura
     Non lagnavasi così,
     Allor ch’ei con me partì.

150Partì, è vero, ma promise
     Di tornar fra pochi giorni,
     E una veste mi commise
     Ch’oltre il solito m’adorni.
     Or di voi chi a me la dà?
     155Presso è l’ora, ed ei verrà!

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Ma che veggo? Sul canale,
     Una bara, e cappe, e croci?
     Come? Ascendon per le scale?
     Quanti lumi, e quante voci!
     160Miserere! udite, ohimè!
     Cantan tutti... e il morto chi è?

Nessun parla. Cosa strana!
     Padre mio, tu dimmi almeno
     Perchè suona la campana...
     165Piangi? Oh vieni sul mio seno.
     Sì, che m’ami! Io lieta son
     Del tuo pianto e del perdon.

Hai tu alfine perdonato
     Anche ad esso, ond’io non muoia?
     170Vuoi vedermelo da lato,
     E bearti alla mia gioia?
     Ma le nozze si faran,
     Padre mio, di qua lontan.

Là tra i fiori, nel boschetto
     175Ove canta il rosignuolo,
     Quivi è un rustico tempietto
     Quello è il loco?... Oh acerbo duolo!
     Un pugnale? Udite? Ohimè!
     Miserere... E il morto chi è?

180Ei mi chiama, è alfin tornato;
     Delle nozze è l’ora giunta.

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     Presto ancelle! Il vel rosato,
     E la veste in ôr trapunta...
     Lassa me! Mortale è il duol!
     185Langue il giorno, e ondeggia il suol.

Via quel serto! Nol vogl’io!
     Aspettate ch’io mi desti.
     Oh! sì allora ei sarà mio,
     E fra i cantici celesti
     190In eterno l’udirò! —
     Diede un gemito e spirò.

Note

  1. Stradella nacque al secolo scorso in Venezia di povera gente, e come cantore di chiesa ebbe gran fama. Innamoratasi di lui una giovinetta patrizia, e rifiutandole il padre le nozze, fuggirono gli amanti, ed errarono per Italia gran tempo inosservati e securi. Non cessando il padre dalle ricerche, ebbe finalmente notizia de’ fuggitivi; e, portatosi sopra luogo, uccise Stradella di propria mano, in Genova, come vogliono alcuni, o, come altri, in Torino. Della giovine si finge che, ricondotta a casa dal padre, morisse impazzita. La storia ne tace.