Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo IV.
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CAPITOLO IV.
Disfatta di Totila Re de' Goti accaduta nell'agro Sentinate.
Se nel Capitolo antecedente dovetti riprovare il sentimento di coloro, che pretesero, che la battaglia tra’ Galli, e Romani accadde nelle pianure di Fabriano, in questo debbo dimostrare la strada, che fece Narsete nel portarsi nell’agro Sentinate, perchè gli autori sono discordi fra loro, e niuno coglie il punto. Il sig. Le Beau1 dice “Essendo Narsete arrivato a Fano, lasciò sulla sinistra Fossombrone, e le Montagne del Furlo, e rientrò nella via Flaminia vicino al luogo, dove è al presente il borgo di Aqualagna„. Il Muratori2 asserisce, che Narsete prese la via, che rimane di là dal Furlo verso la Toscana, e lo stesso dice Leandro Alberti. Il Colucci uniformandosi al Sigonio pretende, che prese la via sinistra della via Flaminia. Non riferisco i sentimenti dell’Amberti, e di altri Scrittori per non essere molesto. Riporterò piuttosto le parole di Procopio secondo la versione del P. Maltreto: omissaque via Flaminia ad loevam tendit. Cum enim Petra Pertusa, ut vocant, locus natura munitissimus ab hoste primum teneretur, via Flaminia Romanis plene occlusa erat. Quare Narses relicto breviori itinere, id, quo transitus patebat, ingressus est. Non possono esser più chiare queste parole. Dice dunque Procopio, che Narsete venendo da Rimini considerando, che Pietra Pertusa, oggi il Furlo, era occupata da’ Goti, giunto, che fu a Fano, vicino a cui scorre ii Metauro, non prese la via Flaminia per motivo di Pietra Pertusa, ma che tirò innanzi verso Sinigaglia, e giunto al fiume Suasano, oggi Cesano, s’incaminò per la strada, che conduceva a Suasa. Narsete era stato anni prima nel Piceno, ed in sua compagnia andava Giovanni Vitaliano, che Belisario mandò colle truppe a svernare in Alba vicina a Suasa, ed a Sentino nell’anno 537, onde meglio di qualunque persona sapeva le strade. Lasciando dunque la via Flaminia, che rimaneva a mano destra, giunse nel luogo, in cui il Cesano si scarica nel mare, ed in cui per commodo delle Città montane rimaneva un Pago chiamato Piro Filumeno, come sarò per dire, s’incaminò nella strada, che avevan fatta i Suasani per portarsi al mare, a Fano, ed a Sinigaglia, e che rimaneva alla mano sinistra della via Flaminia, e da Suasa si portò nell’Agro Sentinate con animo di passare da esso a Luceoli oggi la Scheggia, o ad Elvillo oggi Sigillo, e così di rientrare nella via Flaminia, e di portarsi a Roma avendo lasciata dietro alle spalle Pietra Pertusa fortificata da’ Goti. Due sarebbero le strade, che poteva fare Narsete per portarsi da Suasa a Sentino. Se costeggiava il Cesano poteva giungere a Seragualdo, ma la strada era scabrosa, e piena di dirupi, e balze. Si deve dunque credere, che egli si diresse per le sponde del fiume Nevola, che si scarica nel Cesano verso S. Lorenzo in Campo, e passando sotto Montesecco, e sotto la Castagna, e la villa Capernardi riuscì nella pianura sotto Monterosso, che è di rimpetto a Seragualdo, in cui rimane un Monticello chiamato Canderico, e sotto esso scorre un fiumicello chiamato Sanguirone. In alcuni luoghi anche presentemente si osservano i rimasugli di questa antica strada, e si mirano le pietre logorate da’ Carri. La tradizione ci notifica, che la battaglia tra Totila, e Narsete accadde nella pianura di Seragualdo. Questa è confermata da alcuni vestigii di antiche trinciere, che anche a’ giorni nostri vi si osservano, dai Cimieri di bronzo ivi trovati, e dal nome Sanguirone, con cui chiamasi il fiume, mentre è fama, che così nominasi, perchè fu ripieno di sangue umano. Totila pose gli accampamenti a Tagina da Plinio chiamata Tadino, che secondo Stefano Borgia poscia Cardinale3 rimaneva nella pianura tra il monte Apennino, e le Città di Gubbio, Assisi, e Nocera sulla via Flaminia distante circa un miglio dal Gualdo di Nocera, e precisamente nel luogo ora chiamato la possessione di Tadino; e così impedire a Narsete di portarsi a Roma, se rientrava nella via Flaminia, o in Lucoli, o in Elvillo. Tadino fu Città Vescovile, mentre Gaudenzio di lei Vescovo intervenne al sinodo celebrato in Roma dal Pontefice Simmaco l’anno 499., e S. Gregorio Magno ordina a Gaudioso Vescovo di Gubbio, che si porti in Tadino, e che procuri, che sia eletto ivi il Vescovo. Il Cluverio riprese Leandro Alberti, perchè stimò, che il Vico Capras, ove morì Totila, fu il Castello Caprete nella Toscana, e l’Olstenio corresse il Cluverio, perchè lo pose vicino a s. Pellegrino, e dimostrò, che fu, ove ora è Capraja Castello, che è lungi due miglia dal Gualdo di Nocera, ma più vicino a Fossato, ed a S. Pellegrino, co’ quali due luoghi confina. Quivi si verifica la distanza dagli ottantaquattro stadj accennati da Procopio. Il Lettore potrà convincersi del sin quì detto dando un’occhiata alla carta Geografica antica, e moderna, che ho aggiunta a questo libro. Premesse queste notizie passo a narrare colle parole stesse di Procopio4 la guerra fatta da Narsete a Totila nell’agro Sentinate l’anno di Gesùcristo 551. =
Narsete avendo tralasciata la via Flaminia s’incaminò nella parte sinistra. Imperocchè essendo Pietra Pertusa, la quale descrissi ne’ libri antecedenti, un luogo assai forte per sua natura, ed essendo occupato da gran tempo dall’inimico, la via Flaminia era del tutto chiusa a’ Romani. Laonde Narsete avendo tralasciata la strada più breve, che conduceva a Roma, s’incaminò per quella via, dove l’escita era aperta.
Frattanto essendo avvisato Totila di quelle cose, che erano accadute nell’Agro Veneto, aspettando prima Teja colle sue truppe si fermò in Roma. Quindi tostocchè vennero senza aspettare due mila soldati a Cavallo, che non erano ancor giunti, Totila partì con tutto il suo esercito per affrontare opportunamente i nemici. Avendo saputo per istrada, che questi avevano passato Rimini: essendo stato ucciso Usdrila, ed essendo giunto ne’ monti Appennini dopo aver girata tutta la Toscana, pose gli accampamenti, e si fermò vicino ad un Vico, che i paesani chiamano Tagina. Nè molto dopo l’esercito Romano condotto da Narsete si accampò nel Monte Appennino lungi al più cento stadii dagli accampamenti degl’inimici in un luogo certamente piano, ma cinto da molti sepolcri, che rimanevan vicini: dove tempo fa dicono, che da Camillo5 comandante dell’esercito Romano furono vinte, ed uccise le schiere de’ Galli, lo che il luogo anche oggi ci testifica col suo nome, e conserva la memoria della strage de’ Galli chiamato Busta Gallorum. Nec multo post Romanus quoque exercitus, Narsete duce, castra in monte Apenino metatus est, centum ad summum stadiis procul a castris hostium, plano quidem in loco, sed multis cincto tumulis prope extantibus: ubi quondam a Camillo Romani duce exercitus victas acies, et caesas ferunt Gallorum copias: id quod suo locus nomine etiam num testatur, et memoriam cladis Gallorum servat, Busta Gallorum dictus. Busta enim Latini vocant rogi reliquias, et plurimi visuntur hic mortuorum illorum tumuli, terra aggesta editi. Quindi subito Narsete destina alcuni de’ suoi familiari, e loro comanda di esortar Totila che deposte le armi pensi una volta alla pace, che avendo egli poche truppe adunate di fresco, ed inconsideratamente non poteva per molto tempo resistere a tutto l’impero Romano. Aggiunse anche questo comando: che se lo vedevano disposto a combattere, incontanente stabilissero il giorno per la battaglia. I legati essendo ammessi al cospetto di Totila eseguirono la loro incombenza, ed avendo egli con ferocia, e superbia risposto ad essi, che assolutamente conveniva combattere, quelli incontanente gli soggiunsero: su via, o uomo egregio, quale tempo stabilite per la battaglia? Ma Totila loro rispose combatteremo di qui ad otto giorni. Ritornati i legati a Narsete gli riferiscono il giorno stabilito. Questi sospettando la frode per parte di Totila si preparò in guisa, come se dovesse combattere nel giorno seguente: nè s’ingannò. Imperocchè Totila nel giorno seguente si avvicinò con tutto l’esercito, e l’uno, e l’altro si fermò dirimpetto, ne era più lungi di due tiri di freccia.
Ivi rimaneva un piccolo colle, l’occupare il quale ognuno di loro grandemente desiderava, tanto perchè sembrava commodo a ferire gli inimici dall’alto: tanto perchè essendo il campo, come dissi, pieno di monticelli, l’esercito Romano non poteva essere attorniato dietro alle spalle, se non per la strada sottoporta al colle: tum quia, cum ager, ut dixi, tumulosus esset, a tergo circumveniri non poterat Romanus exercitus, nisi per tramitem subjectum colli. Laonde vi era il motivo, per cui ciascuna parte stimasse molto tal colle: i Goti per iscagliare di quà, e di là le freccie nel combattere avendo attorniati i nemici: i Romani poi per non soffrire tal danno. Narsete avendo scelti cinquanta soldati a piedi in tempo di notte lo fa occupare, e loro comanda di ritenerlo; e custodirlo. Al qual luogo essendo essi venuti non contrastandoglielo gl’inimici, ivi sì fermarono. Un torrente è situato davanti al colle coperto dalla strada, di cui poco fa feci menzione. Colli proejacet torrens, praetextus tramite, cujus mentionem proxime feci. Erano poi gli accampamenti de’ Goti nel luogo opposto, in cui stavano quelli cinquanta soldati così stretti, che si toccavano insieme, e disposti a schiera per quanto loro lo permetteva la strettezza del luogo. Tostochè il giorno comparve, e Totila li mirò, rivolse tutte le sue premure per cacciarli. Pertanto incontanente manda una turma di soldati a cavallo, e loro comanda di subito fugarli. Questi con molto fremito, e schiamazzo così assalgono quelli cinquanta, come se dovessero vincerli nel primo impeto. Quelli poi stretti insieme, e protetti dagli scudi stavano fermi, mentre i goti spinti i cavalli confusamente li caricarono. Ma quelli cinquanta con forza sostennero l’impeto col dibattere gli scudi, e col vibrar le aste frequentemente, e con tal maestria, che spaventavano i cavalli col continuo suono delle targhe crepitanti, e gli uomini colle punte delle aste stese. I cavalli ricalcitravano resi furiosi dall’asprezza del sito, e dallo strepito degli scudi, e serrati fuori dal trapasso: i soldati poi, che sopra essi sedevano, non sapevano dove rivolgersi dovendo combattere con persone così armate, e che non cedevano, e dovendo tenere a freno indarno i cavalli contumaci. Respinti da questo primo combattimento tornano indietro. Li assalgono di nuovo, ed essendo stati accolti nella medesima maniera di bel nuovo tornano indietro, e dopo aver fatto ciò per altre volte cessano di provocarli. Totila vi mandò una seconda schiera, ed essendo stata fugata vi mandò la terza. Così avvenne delle altre, che vi mandò: e desistè dall’impresa osservando, che indarno tentava cacciarli. Quindi quelli cinquanta furono molto lodati, ma più di ogni altro in questo combattimento si segnalarono due, cioè Paolo, ed Ausila, i quali essendo usciti dalla schiera fecero sforzi di bravura più degli altri. Imperocchè avendo deposte per terra le scimitarre sfoderate col dirizzare gli archi verso gli inimici talmente lanciavano le saette, che uccisero molti soldati, e cavalli, finchè poterono avere le freccie ne’ turcassi. Vuotati questi presero la spada, e soli sostennero l’impeto avendo opposti gli scudi. Se alcun soldato a cavallo si scagliava coll’asta contro di essi, subito quelli colle spade tagliavano le punte. Mentre così ributtano i frequenti assalti degli inimici la spada di Paolo per segare i legni ripiegò il taglio, e divenne del tutto inutile. Avendola subito gettata a terra con ambe le mani strappava dagli aggressori le aste, e questo fu il principal motivo, per cui disperatamente abbandonarono l’impresa. Narsete per via di tal prodezza lo pose nei numero de’ suoi scudieri. Qui viene il Capitolo XXX, il quale non riporto, perchè non altro contiene, che le parlate, che fecero Narsete, e Totila a’ loro soldati. Ripiglia Procopio.
Dopochè ebbe Totila così parlato l’uno, e l’altro esercito si ordina alla battaglia essendo così disposto. Tutti rimanevano colla faccia rivoltata in guisa, che la testa dell’una, dell’altra armata era profonda, e lunga. Narsete, e Giovanni col fiore dell’esercito Romano presso il colle occupavano il sinistro corno de’ Romani. Imperocchè l’uno e l’altro era accompagnato oltre degli altri soldati, da più militi armati di aste, e di scudi, e da un gran numero di scelti Unni. Occupavano il corno destro Valeriano, Giovanni Eluo, Dagistèo, e gli altri Romani essendo stati posti nell’uno, e nell’altro fianco, quasi otto mila arcieri. Pose Narsete in mezzo all’esercito a Longobardi, gli Eruli, e tutti gli altri barbari, e comandò, che calassero da cavallo, affinchè, se o per timore, o per perfidia cessassero di combattere non fossero così lesti a fuggire. Narsete fece un’angolo dell’estremita del corno sinistro de’ Romani, che era nel principio della schiera, avendovi collocati mille, e cinquecento soldati a cavallo, ed ordinò ai cinquecento, che se qualche schiera de’ Romani fuggisse, subito li soccorresse: agli altri poi mille, che tostochè i soldati a piedi degl’inimici avessero cominciato a combattere, li assaltassero dietro alle spalle, e sorpresi così fossero assaltati da ogni parte. Totila oppose agli inimici tutti i suoi combattenti disposti nella medesima maniera, e girando intorno al suo esercito l’incoraggiva, e colla voce, e col volto li eccitava ad esser valorosi. Lo stesso faceva Narsete facendo vedere elevate sopra le aste le armille, le collane, i freni di oro, ed altri premii molto adattati ad infiammare gli animi de’ soldati a combattere. Per qualche poco di tempo l’uno e l’altro esercito si raffrenò di cominciar la battaglia, ed a piede fermo aspetto l’assalto dell’inimico.
Quindi Coca persona assai celebre per la prestezza essendo escito fuori a cavallo dell’esercito de’ Goti, si accostò all’esercito de’ Romani chiedendo qualcuno, che volesse a solo a solo combatter con lui. Era Coca del numero de’ soldati Romani, il quale prima si era unito con Totila. Incontanente una guardia di Narsete chiamato Anzala armeno di nazione gli si fece incontro andando a cavallo. Coca per il primo con impeto si scaglia contro di lui meditando di ferirlo coll’asta rivolta verso il ventre. Anzala incontanente voltato il cavallo sfugge la percossa, e delude la violenza. Con quest’arte a traverso sovrastandolo spinse l’asta nel di lui fianco sinistro: quello scosso dal cavallo morto è gettato per terra. Dall’esercito Romano si fa gran festa, ma niuno degli eserciti da cominciamento alla battaglia. Il solo Totila esce fuori in mezzo all’uno, ed all’altro campo, non per combattere a solo a solo, ma per prolungare il tempo, e ritardare la battaglia. Imperocchè sentendo egli, che eran per giungere in breve due mila goti si forzava differire battaglia alla loro venuta, ed alla vista di tutti fece le seguenti cose. Prima volle farsi vedere dagli inimici, e far mostra di sè stesso.
L’oro risplendeva nelle sue armi, e gli ornamenti della sua lancia brillavano del più vivo color di porpora. Montava un vigoroso cavallo, e perfettamente ammaestrato, che egli maneggiava su tutte le volte con una maravigliosa maestria, e destrezza. Lanciava in aria la sua chiaverina correndo, la ripigliava pel mezzo, la cambiava di mano, si roversciava sulla groppa, piegava il suo corpo a destra, e a sinistra con tanta agilità, e prontezza, che scorgevasi, che fino dalla sua fanciullezza egli si era addestrato in tutti i militari esercizj. Essendo passata la mattina in questo modo, volle guadagnar ancor tempo, facendo chiedere a Narsete un’abboccamento. Narsete rispose, che la domanda di Totila non era per certo seria: che era strano, ed assurdo parlare di accomodamento, quando si era al punto di combattere, e dopo aver mostrata tanto premura di attaccare la zuffa non si proponeva un’accomodamento.
Fra questo tempo giunsero i due mila soldati goti: i quali tostochè Totila seppe essere negli accampamenti avvicinandosi l’ora del pranzo si ritirò nella sua tenda, ed i Goti sciolte le file andarono in dietro. Ritornato Totila al suo alloggiamento già osserva, che eran giunti quelli due mila, ed ordina a tutto il suo esercito di mangiare. Poscia vestito delle armi, ed avendo procurato, che tutti fossero armati, li guida contro gl’inimici avendo creduto di assaltare, e di opprimere persone non preparate a combattere. Ma s’ingannò. Imperocchè temendo Narsete quello, che avvenne, cioè che gl’inimici all’impensata venissero a combattere senza lasciare il campo di battaglia, permise soltanto a’ suoi soldati di prendere un poco di cibo sotto le armi, e ciascuno nella sua fila sempre attenti a’ movimenti de’ nemici. Questi comparvero indi a poco di nuovo, ed i Generali fecero qualche cambiamento nell’ordine di battaglia. Le due ale dell’armata Romana, dove eran collocati mille arcieri, s’incurvarono a foggia di mezzaluna, e l’infanteria de’ Goti si schierò dietro alla Cavalleria per sostenerla, ed unirsi ad essa in caso, che fosse sbaragliati. Era stato poi comandato ai Goti, che in questa guerra non si servissero nè di freccie, nè di qualunque altro dardo, ma delle sole lance. Quì certamente Totila fu ingannato dalla sua imprudenza, il quale nell’intraprendere questa battaglia non so da qual ragione indotto oppose a’ suoi nemici le sue truppe, che erano inferior per le armi, e per le altre cose: quando i Romani si servivono di ciascuna secondo l’occorrenza nel combattere, o scagliavano le saette, o spingevano le aste, e adopravano la spada, o qualche altra cosa, che secondo l’usanza avevano per le mani, e combattevano parte a piedi, parte a cavallo secondo l’occorrenza. Ma i cavalieri de’ Goti assaltarono i primi, e lasciandosi trasportare da un imprudente ardore si discostarono troppo dalla loro Infanteria senza avvertire, che gli arcieri nemici li circondarono: non se ne avvidero se non per una grandine di frecce, che cadendo su loro fianchi abbattevano uomini, e cavalli, e dopo una perdita grande riguadagnarono disordinatamente il grosso della loro armata. Quì non so se debba ammirare i Romani, o i Barbari loro alleati. Imperocchè in tutti risedeva un coraggio, ed un valore eguale. Ciascuno validamente riceveva, e respingeva l’assalto de’ nemici. Già la notte si appressava quando l’uno, e l’altro esercito all’improvviso si mosse, ma in guisa, che quello de’ Goti andava indietro, e quello de’ Romani gli era addosso. Imperocchè i Goti avendolo assalito non resistettero: ma si fermarono contro coloro, che con impeto si gettavano loro addosso, e a tutta forza corsero indietro rimasti stupidi pel loro gran numero, e per la loro disposizione più salda. Non pensavano di porre in uso le loro forze, come paventassero alla vista di spettri, o fossero assaltati dal cielo. Essendo ritornati i Cavalieri in breve tempo all’infanteria il male molto si accrebbe. Imperocchè non ritornarono con ordine per ritornare poscia incoraggiti, ed uniti assieme alla battaglia, per fugare coloro, che li perseguitavano, o per intraprendere altra maniera di combattere, ma erano così disordinati, che alcuni di essi morirono per l’impeto della cavalleria Romana. Laonde l’infanteria de’ Goti non la ricevette, aperta la schiera, nè si fermo, ma con corso veloce unicamente si pose a fuggire, e così come se combattessero nelle tenebre si uccidevano a vicenda. Le truppe Romane presa l’opportunità che presentava loro la costernazione di quelli, senza misericordia trucidavano chi loro si presentava, mentre quelli fuggendo a capo chino non osavano di sollevare gli occhi verso gl’inimici, e non facevano caso delle lor armi. Il lor timore non solamente non si sminuiva, ma sempre più si accresceva. Restarono sul campo sei mila Goti: moltissimi si arresero a’ vincitori, che li fecero in prima prigionieri, e di poi li ammazzarono. Ne solamente furono uccisi i Goti, ma ancora la massima parte di coloro, che prima erano stati soldati Romani, e che si erano arrollati, come narrai ne’ libri di sopra, sotto Totila, e sotto i Goti. Finalmente i Goti, che sfuggirono la morte, e l’esser presi, furon quelli soltanto che poterono nascondersi, o fuggire favoriti essendo da’ cavalli, o dalla celerità de’ loro piedi secondo l’opportunità del tempo, e del luogo.
La notte copriva di già il campo di battaglia, quando Totila dopo aver fatti inutili sforzi per arrestare, o riordinare i fuggitivi fu costretto a fuggir ancor egli per la prima volta. Era accompagnato da cinque Cavalieri, del qual numero era Scipuare, ed inseguito da alcuni Romani, che non lo conoscevano, e fra questi era il Gepido Asbado. Questi essendo giunto dietro a Totila, e destinando di ferirlo negli omeri colla lancia lo incalzava, quando un giovane Goto domestico di Totila, compagno della fuga del padrone sdegnandosi con alta voce gridò: che fai, o cane, perchè vuoi percuotere il tuo Padrone: Asbado poi con tutta forza spinta l’asta trapassò Totila. Subito egli fu costretto ivi fermarsi avendolo Scipuare ferito nel piede, e Scipuare è costretto fermarsi essendo stato ferito da un’altro, che l’inseguiva. Ma quelli quattro, che con Asbado perseguitavano i nemici avendo lasciati questi due per terra, andarono dietro ad esso per osservarlo: quando i compagni di Totila credendo di essere oppressi da quelli correvano velocemente, benchè conducessero lui, che era mortalmente ferito, e che barcolava per le forze, che perdeva, certamente la necessita loro ingiungeva un corso più veloce. Dopo aver corso ottanta quattro stadii (quattro leghe) giungono a Capra, così ha nome tal luogo: dove cessando di fuggire medicarono la ferita di Totila, il quale poco dopo essendo morto, ivi i compagni lo seppellirono, e quindi partirono.
I Romani non seppero, che così fosse stato ucciso Totila, finché non lo manifestò ad essi una certa donna Gota, ed indicò la sua fossa. Non vollero prestar credenza se non a’ loro proprj occhi, ed avendolo dissotterrato, dopo averlo lungo tempo considerato lo restituirono al sepolcro, ed andarono a recar questa nuova a Narsete.
La morte di Totila vien riferita anche in altra maniera, e stimo non esser cosa indoverosa il registrarla. Dicono, che la fuga dell’esercito de’ Goti non accadde senza motivo, ed inconsideratamente, ma scaramucciando una schiera de’ soldati Romani all’improvviso fu confitto Totila da un dardo contro la volontà di chi lo scagliò, mentre Totila armato come soldato inconsideratamente, e senza alcuna scelta del posto stava nell’esercito non volendo essere riconosciuto dagli inimici. Narrano che oppresso dall’acerbissimo dolore uscì dalla file, ed a poco a poco andò indietro con pochi. Giunto a cavallo in Capra cominciò a venir meno pel dolore, ne’ molto tempo dopo morì dopo esser stata medicata la ferita. L’esercito poi de’ Goti, che era di forze inferiori a’ nemici tostochè mirò il suo Comandante inabile a combattere si stupì, perchè quantunque gli inimici non prendessero di mira Totila, tuttavia egli solo fu ferito mortalmente. Quindi avvenne, che avendo perduto il coraggio si impaurirono oltre modo, e si abbandonarono ad una fuga così vergognosa. Ma ognuno racconti come gli pare. Narsete allegro per l’accaduto continuamente riferiva tutto a Dio, come a vero autore, ed ordinava le cose, che premevano, e primieramente volle col prezzo redimere l’indegna licenza de’ Longobardi, che aveva seco condotti, i quali oltre l’altre sceleraggini della lor vita malvaggissima non contenti di predare i luoghi per dove passavano, gli ardevano non perdonandola a’ più belli edifizj e sforzavano persino le donne nelle Chiese. Commise a Valeriano di condur questi Barbari sino alle frontiere della Pannonia, con ordine d’impedir loro di fare alcun guasto nel loro cammino. = Fin qui parlò Procopio. L’Agro celebre, in cui accaddero queste due battaglie narrate, cioè quell’Agro, in cui si consolidò la potenza Romana, che poscia crebbe in tanta gloria, ed in cui crollò il dominio de’ Goti, ora appartiene a Sassoferrato, che come dissi nacque dalle rovine di Sentino. Con ragione il Panfilo esalta questa Città della Marca Anconitana per aver dati i natali a Bartolo celeberrimo giureconsulto, e per averli dati a Niccolò Perotto, ed al Cardinale Alessandro Oliva6
- Bartholus hanc urbem, tollitque Perottus ad astra,
- Iste sacris Musis, legibus ille bonus.
- Hanc etiam rubra redemitus tempora mitra
- Doctus Alexander sustulit usque polum.
- Bartholus hanc urbem, tollitque Perottus ad astra,
Giambattista Salvi celebre Pittore conosciuto sotto il nome di Sassoferrato, quivi nacque gli 11. luglio 1605. come può vedersi nella Storia Pittorica dell'Italia dell’Ab. Luigi Lanzi nel Tomo secondo pag. 177 dell’edizione di Bassano. Il B. Pietro Martire dell’Ordine de’ Minori, la di cui festa si celebra li 29. Agosto, quivi parimente trasse i natali, e S. Niccolò uno de’ sette Frati Minori martirizzati da’ Saraceni nella Città di Septa nella Mauritania li 10 Ottobre 1221 dichiarati Martiri da Leone X. È tempo però di parlare di Alba, che era la Città più vicina a Sentino
Note
- ↑ Tom. 19. p. 188.
- ↑ Annal. di Ital. an. 552.
- ↑ Dis. sopra la Città di Tadino.
- ↑ Lib. IV. de Bel. Got. c. 29.
- ↑ Se il Cluverio, ed altri scrittori avessero considerato, che l’ignoranza, e debolezza è propria dell’uomo, non avrebbero fatto tanto fracasso contro Procopio. Camillo vinse i Galli nell’anno 362 avanti l’era Cristiana, e Q. Fabio li sconfisse nell’agro Sentinate l’anno avanti a Gesùcristo 294, cioè sessantotto anni dopo. Adunque o Procopio commise un’inavvertenza, ed invece di scrivere Q. Fabio scrisse Camillo, o gli Amanuensi mutarono a lui la parola di Q. Fabio in quella di Camillo. Ecco aggiustata la cosa con semplicità senza fare tante declamazioni
- ↑ Pic. Lib. 1.