Piccoli eroi/Tom e Frida
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TOM E FRIDA.
Quella sera, dopo che i ragazzi ebbero terminato di leggere i loro componimenti, vollero che Maria leggesse uno dei suoi racconti. Non era giusto che essa non prendesse parte alla gara dei suoi fratelli.
— Già che lo volete, ne leggerò uno volentieri, ed anche d’un argomento che ha qualche analogia coi divertimenti di questi giorni, ma il mio, sarà fuori di concorso.
— In quanto a questo, le decretiamo subito il primo premio, e credo che nessuno se ne lagnerà, — disse il professore Damiati.
— Benissimo! — esclamarono gli altri applaudendo, — ed ora sentiamo questo racconto.
— Ed io rinuncio ad illustrarlo, — disse Mario, — mi sono stancato troppo colla mia composizione.
Maria aveva già cercato nella sua cartella il racconto che avea promesso di leggere ed incominciò.
Tom e Frida erano fratello e sorella, e non sapevano in qual modo si fossero trovati a far parte del circo equestre diretto dai signori Harris, nè perchè li chiamassero con quei nomi esotici, essi che erano nati sotto il bel cielo d’Italia.
Tom era maggiore di Frida di quattro anni, e aveva soltanto un vago ricordo della sua infanzia.
Si rammentava, come in sogno, un bel paese illuminato dal sole, dove stava tutto il giorno all’aria aperta, in mezzo al profumo dei fiori, allegro e felice; poi una notte mentre dormiva nel medesimo lettuccio con Frida, si ricordava d’aver sentito tremare la casa, poi un rombo, un grido, e avea visto il palco della camera abbassarsi in modo che poteva toccarlo colle sue manine, e tanti sassi, tanta polvere, da rimanere accecati, poi più nulla.
Qualche tempo dopo si era trovato nel circo del signor Harris, assieme ai cani sapienti, alle scimmie ammaestrate ed ai cavalli addestrati all’alta scuola.
Aveva sentito parlare d’esser stato salvato colla sorella quasi per miracolo al tempo del terremoto di Casamicciola, perchè la trave della sua stanza avea formato come un arco sopra il letto, impedendo alle macerie di schiacciarlo assieme alla sorella.
Essendo rimasti soli al mondo, la signora Harris era stata così buona da accoglierli nel suo circo, per educarli all’alta scuola come i suoi cavalli.
Infatti ogni giorno c’erano parecchie ore di lezione. Tom doveva imparare varii esercizii ginnastici, e di equilibrio: poi, fare i salti mortali e montare i cavalli più indomiti.
Egli avrebbe preferito fare qualche altra cosa; ma era agile e forte, e si prestava abbastanza volentieri a quegli esercizii, che imparava colla massima facilità; invece Frida, gracile e delicata, si rifiutava spesso di ubbidire alla signora Harris, e allora erano colpi di frusta che scendevano sulle sue spalle delicate, perchè la padrona voleva adoperare il medesimo sistema colle persone, e coi suoi cavalli.
Tom fremeva quando facevano piangere la sua sorellina, e una volta che le fece scudo colla propria persona s’ebbe una scudisciata così forte, da dover rinunciare alla volontà di difenderla.
Essi vivevano uniti, tenendosi abbracciati, o giocando assieme, e quasi estranei a tutto quel mondo di bestie e d’uomini peggiori delle bestie, che viveva intorno a loro. Ogni volta che venivano chiamati per gli esercizii, Frida piangeva, e nascondendo la sua testina sulle spalle del fratello diceva: — Non voglio. —
Egli proponeva di far doppio lavoro, anzi di fare le parti di Frida, purchè la lasciassero in pace; ma la signora Harris diceva che nessuno della compagnia doveva mangiare il pane a tradimento, e se Frida non era buona di lavorare da sè sola, doveva rassegnarsi a fare gli esercizii assieme cogli altri.
La bimba pesava poco, ed era molto utile nelle piramidi umane dove il suo posto doveva esser sempre su in cima; tremava come una foglia dalla paura, quando la signora Harris faceva gli esercizii sul cavallo e la tenea ritta in piedi sulle spalle mentre il cavallo galoppava colla massima celerità.
Mandava allora dei piccoli gridi; credeva di morire, e l’Harris le dava dei pizzicotti nelle gambe per farla tacere.
Soltanto quando faceva qualche esercizio assieme al fratello non si ribellava; egli la prendeva delicatamente, si sdraiava in terra e poi colle gambe in aria, i piedini di lei appoggiati sui suoi, girava intorno come una ruota, e quand’era stanca apriva le braccia, ed essa spiccava un salto e cadeva in grembo a lui con tanta grazia che tutti applaudivano.
— Quando sono con te mi sento sicura, — diceva Frida; — ma quando sono presa da quelle manacce, mi vien freddo e mi par di morire.
Tom, nella speranza di render i suoi padroni più buoni colla sorella, imparava sempre nuovi giuochi: era riuscito a salire e scendere sopra un piano inclinato, con una gran palla sotto i piedi, a fare il doppio salto mortale sul cavallo in moto, a correre col velocipede sopra un filo di ferro, mostrando una destrezza ed un coraggio straordinarii in un fanciullo di dodici anni; ma queste cose, invece di giovare, recavano danno a Frida, perchè i coniugi Harris, avidi solo di guadagno, diventavano più esigenti colla fanciulla, che volevano seguisse l’esempio del fratello. Ogni giorno le insegnavano qualche nuovo gioco, ed essa piangeva sempre, che era proprio una compassione.
Si può dire che gli Harris, i loro quattro figliuoli e Tom e Frida, unitamente a quattro cani, due scimmie e quattro cavalli, formassero il nucleo della compagnia stabile; poi si scritturavano ogni tanto, per qualche sera, degli artisti avventizii, che erano ora qualche fenomeno vivente, ora dei ginnasti famosi, oppure degli animali sapienti.
Una volta si trovavano in una città di provincia dell’Italia settentrionale, quando si unirono a loro due ginnasti, che facevano delle cose meravigliose, restando appesi solo coi piedi a due trapezii collocati in alto sotto alla vôlta del teatro. Erano giuochi da mettere i brividi, pensando al pericolo di una caduta che poteva riuscire pericolosissima, benchè sotto ci fosse una rete per ammortire il colpo.
Quando questi ginnasti, i quali erano marito e moglie, videro Frida, dissero:
— Quanto è leggera! Pare una palla, che bei giuochi si potrebbero fare con questa bimba! —
— Prendetela, — dissero gli Harris, — e fatela lavorare, con noi non fa quasi nulla.
Essi furono contenti, e un giorno la condussero su, in alto, dove c’erano i trapezii; la bimba piangeva, ma la fecero tacere a furia di busse. — Avanti, marmotta, — le dicevano quando essa non voleva salire le scale malsicure, che univano la rete ai trapezii.
Una volta in alto, la donna prese in braccio la bimba e si lasciò cadere colla testa in giù tenendosi coi piedi attaccata al trapezio; il marito dall’altro trapezio nella stessa posizione, aspettava colle braccia aperte, e a quell’altezza incominciarono a gettarsi la bambina come se fosse una palla; essa strillava, ma non le davano retta. Tom era in teatro cogli occhi in alto per non perder nulla di quella scena, e fremeva di sentirsi impotente a liberare la sorella da quel supplizio.
— Va benissimo, — esclamarono gli acrobati, — questa sera faremo il giuoco che sarà di un bellissimo effetto, e tu bada di non piangere, — dissero a Frida, — se apri bocca, guai a te!
Tom pregava che la lasciassero in pace, ma nessuno gli badava, e la sera Frida fu costretta a prender parte ai giochi della coppia volante.
Il teatro era pieno di spettatori, le signore tremavano per la povera piccina, quando la videro lassù sotto la vôlta del teatro gettata come una palla; ma era un’emozione mai provata, un gioco nuovo e applaudivano calorosamente, tanto che dovettero ripetere il gioco, e la coppia degli acrobati era trionfante.
Ogni sera, quand’era il momento della rappresentazione, Frida usciva tremante e Tom stava ad osservare tutti i suoi movimenti, non staccando gli occhi da lei, e quando la vedeva scendere, le correva incontro, la prendeva fra le braccia e la portava via.
— Basta, — diceva la bimba piangendo e tutta ansante, — non voglio più, mi fa troppo male.
— Anche a me fa male — diceva Tom — vederti lassù; potessi andar io in tua vece, come sarei contento!
— No, no, non dirlo, vengono le vertigini, par di vedere una buca profonda colla bocca aperta per ingoiarci; è terribile.
Una sera tutti erano al solito posto, i due ginnasti salirono le scale di corda trascinandosi dietro Frida che aveva gli occhi pieni di lagrime; aveva detto di non sentirsi bene, di avere un forte mal di capo, ma l’esercizio era annunciato nel programma e bisognava eseguirlo.
I due coniugi incominciarono le loro evoluzioni, mentre la bimba riposava, seduta sopra un trapezio, tenendo in mano una corda.
— Andiamo, a noi, — disse la donna, aprendo le braccia per pigliare Frida.
Essa si lasciò andare, come corpo inerte, e incominciarono il solito gioco, mandandosela da una mano all’altra come una palla, ad un certo punto essa ebbe una specie di vertigine, perdette i sentimenti, sgusciò di mano alla donna e andò a cadere a capo fitto nella rete.
Un gemito partì dal petto della bimba, un altro dagli spettatori, e un grido da Tom, il quale tutto tremante s’arrampicò sulle corde che scendevano dall’alto, e lesto come un gatto andò nella rete, prese fra le braccia Frida e la portò giù.
Essa sentendosi nelle braccia del suo amico aperse gli occhi.
— Ti sei fatta male? — disse Tom.
— Sono tutta stordita, — rispose la fanciulla.
Appena fu scesa, il signor Harris le si avvicinò e volle che camminasse.
— Non posso, — disse Frida.
— Un momento solo, devi uscire e mostrare che sei viva; — così dicendo la strappò dalle mani di Tom e la spinse in mezzo al circo, dove la piccina fu salutata da un applauso.
Tom li raggiunse con un salto, riprese la sorella fra le braccia, e la condusse via mandando ad Harris un’occhiata feroce.
— Non voglio più fare quell’esercizio, — disse Frida.
— Non temere, appena potrai reggere alla fatica, andremo via, lontano da qui; io farò di tutto piuttosto che sopportare questo supplizio.
— Sì, andiamo presto, — disse la bimba.
— Ancora non sei forte abbastanza.
— Con te posso andare fino alla fine del mondo, non ho paura.
Una notte mentre tutti dormivano, Tom e Frida zitti, zitti, uscirono, prima dagli alloggi della compagnia, e poi dalle porte della città, si misero a correre per potersi trovare il giorno dopo molto lontani dai loro aguzzini. Però ad un certo punto Frida rallentò il passo.
— Sei stanca? — disse Tom.
— Non è nulla, andiamo avanti.
Ma venne il momento che la bimba non si sentì più la forza di proseguire.
Tom la prese in braccio, e così fece ancora qualche chilometro, tanto per mettere maggior distanza fra sè e gli Harris.
L’aria della notte e la lunga strada aveva aguzzato il loro appetito e non avevano un soldo in tasca per comprarsi del pane.
Fu quello il primo momento in cui Tom si trovò seriamente impensierito, nel dubbio di aver salvato la sorella da un pericolo, per poi farla morire di fame.
Cominciava appena ad albeggiare, e le strade erano deserte.
— Entriamo qui, — disse Tom trovando una cascina aperta, di quelle che si trovano in mezzo ai boschi e servono ai boscaiuoli per riporvi gli arnesi del lavoro, — quando sarà giorno andremo laggiù dove si vedono quelle case, e domanderemo del pane.
Sdraiati sulla paglia si addormentarono, e si svegliarono quando il sole era già alto sull’orizzonte. Tom incominciò a temere d’essere inseguito dagli Harris, e si mise a correre con Frida attraverso il bosco finchè giunse al villaggio nel pomeriggio.
Avevano fame; ma Tom non ebbe coraggio di chiedere l’elemosina e pensò di guadagnarsi qualche soldo facendo qualcuno dei suoi giochi.
Egli s’era portato in un sacco i suoi arnesi, e là, in mezzo alla piazza sulla nuda terra incominciò a far salti, capriole, giocò con delle palle e dei piatti, tanto per divertire quella gente, mentre si sentiva stanco e affranto dalla fatica. Guadagnò qualche soldo che valse a fargli proseguire la via e continuò così per parecchi giorni, conducendo la sua sorellina, soffermandosi quand’era stanca, facendo i suoi giochi quando aveva fame, e temendo sempre d’essere scoperto ed inseguito dagli Harris.
Un giorno lesse nei giornali che gli Harris offrivano un premio a chi scoprisse il luogo dove dovevano esser nascosti due ginnasti della compagnia, che erano fuggiti rubando degli attrezzi di proprietà dei signori Harris.
Tom si sentì i brividi al leggere quelle parole, e come gli facessero una colpa d’aver portato con sè gli attrezzi ch’egli adoperava sempre, e che avea pagati cento volte col suo lavoro; e lo colse tanta paura d’essere preso, che da quel momento pensò di andare lontano, lontano, dove non sentisse mai più parlare degli Harris, che gli avevano fatto tanto male.
Incominciò a camminare giorno e notte senza fermarsi; quando Frida era stanca la prendeva in braccio e continuava il suo cammino guardandosi indietro nel timore d’essere inseguito. Se incontrava qualche carro per via, supplicava che gli permettessero di salirvi per fare un tratto di strada assieme alla sorella; diceva che doveva andar lontano lontano, e che la bimba era stanca e ammalata.
Essa era pallida, gracile, ma non parlava mai, contenta di appoggiarsi solamente sopra suo fratello, e di non far più quegli esercizii che le incutevano tanta paura.
Un giorno arrivarono in una bella città in riva al mare, dove c’erano tanti bastimenti pronti per la partenza.
Il primo pensiero di Tom fu d’imbarcarsi sopra uno di quei bastimenti e andare in un paese lontano, dove gli Harris non l’avrebbero potuto raggiungere.
Ma non aveva danari; poi, sopra un bastimento non avrebbero accolto tanto facilmente due piccoli vagabondi, come qualche volta s’erano sentiti chiamare andando per i villaggi, e infatti coi loro vestiti sbrindellati, colla faccia pallida, ne avevano tutta l’apparenza.
Tom, deciso d’imbarcarsi ad ogni costo, pensò ad uno stratagemma.
Sull’imbrunire, mentre una folla d’emigranti caricava la propria roba sopra il bastimento, s’offerse di aiutare a trasportare i bagagli.
Era forte, alzava dei pesi enormi per la sua corporatura; venne accettato. Così incominciò ad andare avanti e indietro in mezzo a quel via vai di gente e di facchini, finchè s’accorse che s’erano abituati a vederlo e non badavano più a lui.
Allora prese per mano Frida, e la condusse sul bastimento, e scesero giù per una scala erta e stretta finchè entrarono in un bugigattolo nascosto, buio, dove non c’era pericolo che nessuno li potesse scoprire.
— Ed ora, zitti, — disse Tom, — non dobbiamo muoverci finchè il bastimento non è in moto.
Frida aveva paura in quel bugigattolo che pareva una tomba e stava vicina al fratello, facendosi piccina e rannicchiandosi come un uccello spaurito.
Stettero così delle ore, che parvero interminabili, quando udirono prima un gran movimento, poi un rumore, e finalmente si sentirono trasportare lontani con delle scosse che li facevan traballare nel loro antro.
— Usciamo, — disse Frida, — ho paura.
Ma Tom non osava uscire; all’idea che il suo stratagemma venisse scoperto gli batteva il cuore dalla trepidazione.
E intanto il bastimento andava, andava a tutto vapore; dovevano esser lontani dal porto; ma Tom non osava uscire.
Tutto ad un tratto videro un’ombra nera, entrare nel loro bugigattolo: era un marinaio venuto a prendere del carbone; il quale quando vide muovere qualche cosa, accese un lanternino e — Che cosa fate qui, piccoli vagabondi? — chiese vedendo i due fanciulli che tremavano come una foglia.
— Pietà, — disse Tom, — non abbiamo fatto nulla di male, ho voluto fuggire i miei padroni, che mi maltrattavano.
— Intanto uscite di qui, — disse il marinaio, — e sentiremo che cosa ne penserà il capitano.
Quando i ragazzi furono alla presenza del capitano, Tom raccontò la sua storia, e dichiarò che avrebbe fatto qualunque servizio, anche il più umile, per guadagnare il vitto per sè e per Frida.
— Vedrà, sarà contento di me, — disse il ragazzo coll’accento della sincerità.
Il capitano si lasciò commovere da quelle parole e disse:
— Basta, vedremo; se vi condurrete bene, vi perdonerò la vostra scappatella, altrimenti appena arriviamo in America, vi farò mettere in prigione.
Ma Tom era buono, ubbidiente e servizievole; tutto il giorno in piedi, non si stancava di correre, e rendersi utile. Egli s’arrampicava come uno scoiattolo sugli alberi del bastimento, scendeva le scale colla massima rapidità, e stava ritto in piedi, anche quando il mare era agitato, e i più esperti marinai traballavano e perdevano l’equilibrio; non era un ginnasta per nulla.
Il capitano si affezionò a quel fanciullo così docile e laborioso, e gli propose di restar con lui e di fare il marinaio.
Il mare era sempre stato il sogno di Tom, e a quella proposta egli si sentì battere il cuore dalla gioia, tanto che si sarebbe sentito una voglia prepotente di abbracciare il capitano.
— Essere marinaio! — pensava, — viaggiare, vedere paesi nuovi, fare un mestiere nobile, vestire una divisa onorata, invece della maglia del saltimbanco, servire il proprio paese, invece di avvilirsi a fare il giocoliere e divertire una folla che l’avrebbe sprezzato; questa era la felicità, la riabilitazione, ed esclamò: — Ma dice davvero?
— Sì, sì, davvero.
— E Frida potrà stare con me?
— Questo no, non è possibile.
Tom stette un poco a pensare, diede un’occhiata alla sorella che gli era vicina, e lo guardava in aria supplichevole, e rispose:
— Grazie, capitano, la sua proposta mi fa tanto piacere, ma non posso accettarla.
— E perchè?
— Non posso abbandonare la mia sorellina.
— E che cosa farai quando sarai arrivato?
— Mi farò scritturare in qualche circo equestre, e ritornerò alla vita del saltimbanco: è il mio destino.
Sì dicendo prese fra le braccia Frida, e scappò via; aveva un nodo alla gola, temeva di pentirsi, di lasciarsi tentare ad accettare fa proposta del capitano, e non voleva, no, non voleva abbandonare la sua Frida.
La bimba, ormai sicura che Tom non l’avrebbe lasciata, gli cingeva il collo colle sue piccole braccia; batteva le mani dalla contentezza ed era felice. Essa però non poteva comprendere la lotta che avea dovuto sopportare il di lui nobile cuore; nè il grande sacrificio che avea fatto per lei.