Piccoli eroi/Le ricette di Maria

Le ricette di Maria

../Tom e Frida ../Eroismo di Vittorio IncludiIntestazione 7 aprile 2018 75% Da definire

Tom e Frida Eroismo di Vittorio
[p. 146 modifica]

LE RICETTE DI MARIA.

La fiera era terminata, ma i ragazzi continuavano ad essere distratti, irrequieti e non avevano voglia di rimettersi a studiare.

Carlo voleva andare a vedere in piazza se ci fosse ancora un po’ di gente e Mario desiderava salutare polentina e le scimmie prima che partissero; Maria disse che non poteva accompagnarli perchè avea promesso d’andare colle ragazze a visitare una donna ammalata e poi avevano da occuparsi in casa; soli non li avrebbe lasciati, perchè in paese c’era ancora troppa confusione.

Più tardi videro passare il professore Damiati e Carlo si fece coraggio per chiedergli d’accompagnarli fino al villaggio.

— Volentieri, — disse il professore, — se vostra sorella lo permette. [p. 147 modifica]

Visto che andavano col professore, Maria non aveva più nulla a ridire, e i tre ragazzi tutti contenti, presero il cappello e s’avviarono assieme al Damiati.

Elisa rimase imbronciata, perchè anch’essa avrebbe desiderato andar a divertirsi; ma Maria volle che le fanciulle restassero in casa ad occuparsi; erano state a zonzo abbastanza nei giorni passati.

Infatti avevano da cucire della biancheria; da aggiustare i loro vestiti e da fare tante altre piccole cose trascurate durante la fiera.

Prima di tutto uscirono per andare a vedere una povera donna, una vicina di casa, che si era scottata gravemente un braccio. Quella stessa mattina aveva chiamato Maria, la quale con delle compresse inzuppate d’acqua fredda e con qualche goccia d’etere versata sulla ferita era riuscita a calmarne gli spasimi; ora andava a farle la fasciatura e portava con sè tutto l’occorrente. Essa desiderava che le sue sorelle assistessero a simili medicazioni, affinchè imparassero a fare altrettanto se si fosse presentata l’occasione.

Elisa aveva ribrezzo di tutte le piaghe, Giannina diventava pallida e quasi si sentiva mancare, ma dovevano avvezzarcisi per contentare Maria: la quale diceva sempre: [p. 148 modifica]

— Voi siete di quelle che in un caso di disgrazia, invece di recare aiuto, scappereste un miglio lontano, e intanto il povero ammalato potrebbe morire, per mancanza di soccorso.

Angiolina invece, si metteva di buona voglia ad imparare; e quando furono dalla donna si fece forza ed aiutò Maria a fasciarle il braccio.

La poveretta diceva di sentirsi un po’ più sollevata, ma lungo il braccio aveva una piaga con tutt’attorno una striscia rossa infiammata. Maria la medicò con tutta delicatezza, lavando la piaga con acqua tiepida, poi mettendovi delle filacce inzuppate d’acqua fenicata e fasciando il braccio in modo che la fasciatura non si muovesse e nello stesso tempo non fosse tanto stretta da impedire la circolazione del sangue; poi legò un fazzoletto dietro al collo della donna in modo che le scendesse sul petto e le fece mettere dentro il braccio.

— Vi raccomando di non muoverlo, — disse Maria salutandola, ed uscì dicendo: — Giacchè Elisa si mostra tanto delicata, la prima volta che ci sarà da fasciare un ammalato, dovrà occuparsene lei.

Quando furono a casa incominciarono a parlare di mali e rimedii.

Angiolina voleva notarsi i consigli di Maria; essa aveva sempre il rimorso della risipola [p. 149 modifica] venuta alla sua mamma, perchè non aveva saputo curarla bene.

— Pensare che s’io avessi saputo tante cose come lei, — diceva a Maria, — la mamma non avrebbe sofferto tanto! Non so perchè a scuola non insegnino una scienza che è così utile.

Maria la confortava, dicendole che trattandosi d’un male grave è sempre meglio chiamare il medico, ma aggiungeva che è certo una soddisfazione il saper assistere una persona cara ed esserle utile, almeno se il dottore tarda a venire; anzi, giacchè in quella mattina non avevano distrazioni, avrebbe dato qualche norma in proposito.

Angiolina prese la penna per scrivere; sapendo che in fatto di medicina bisogna essere esatti, temeva che la memoria non le servisse.

— Gli accidenti che possono succedere più spesso in una famiglia, — disse Maria, — sono il tagliarsi con un coltello, con un vetro, con delle forbici; se il taglio è semplice, basterà lavarlo coll’acqua fredda, unire gli orli della ferita e legarla con un pezzo di tela; se la ferita è più profonda bisogna comprimere un po’ più forte; se poi il sangue che esce in gran copia, di color roseo, mostra che è stata tagliata un’arteria, allora la cosa è più grave, bisognerà fortemente comprimere la ferita colle dita: se le bende o [p. 150 modifica] una moneta avvolta in un pezzo di tela non bastano, legare stretta l’arteria sopra la ferita e non stancarsi di far tutti questi sforzi per arrestare il sangue, finchè venga il medico.

— E quando ci si abbrucia? — chiese Angiolina.

— Avete veduto come ho fatto a quella donna. Basterà una fasciatura con qualche cosa di fresco, come un pezzo di tela bagnato d’acqua o della neve o del ghiaccio; quando il dolore è un po’ calmato, converrà fasciare la ferita con pezze inzuppate nell’acqua fresca, aggiuntavi qualche goccia di acido fenico.

Una persona che si espone ad un freddo intenso può aver le membra gelate in modo da perderle, perchè si sospende la circolazione del sangue e la carne s’incancrenisce; in questi casi non bisogna assolutamente esporre la parte offesa al fuoco, perchè ne sarebbe certa la perdita, bisogna invece, far ritornare la circolazione e il calore lentamente con fregagioni fatte prima colla neve e col ghiaccio, senza mai stancarsi; poi con pezzuole di lana, e così a poco a poco riscaldare il membro intirizzito.

— E se ci punge un insetto? — chiese Angiolina.

— Se ti punge un insetto, ciò che avviene spesso in campagna, sono utili le fregagioni [p. 151 modifica] fatte con acqua ed aceto o acqua fenicata, o meglio ancora coll’ammoniaca: rimedio che bisognerebbe aver sempre pronto, perchè salva anche dal veleno della vipera; però se avete la disgrazia d’essere morsi da uno di questi animali venefici, bisogna legare subito la parte sopra la ferita, bruciarla coll’ammoniaca, e prenderne anche per bocca, mista coll’acqua.

— Come ha fatto ad imparare tutte queste cose? — chiese Angiolina.

— Sono vecchia, — disse Maria, — poi ho sempre avuto il desiderio d’imparare quello che può esser utile, e credete pure che recar sollievo ad un ammalato, salvare una persona cara, è una grande felicità.

Angiolina voleva altre ricette e altri insegnamenti, ma Maria disse che prima ancora di portar soccorso ai mali bisogna procurar d’evitarli, e ciò si può fare facilmente con un po’ d’attenzione.

— In casa vi sono sempre dei veleni, — soggiunse, — che servono per varii usi domestici; bisogna tenerli lontani dalle cose che si mangiano, poi non devono essere a mano e si deve scrivere sulle boccette veleno con tanto di lettere; poi ci sono le cose facilmente infiammabili, come il petrolio, la benzina, l’alcool, ecc. e bisognerà tenerle lontane dal fuoco, e se [p. 152 modifica] per caso con tali materie avviene un principio d’incendio, bisogna esser pronti a soffocarlo con cenere, con coperte, e mai gettarvi un liquido che potrebbe mutare un semplice accidente in una grave disgrazia. Anche nell’adoperare le cose taglienti bisogna aver riguardo; trattandosi poi di armi, è una grave imprudenza tenerle cariche in casa, e specialmente i ragazzi non dovrebbero mai toccarle.

Quelle fanciulle stavano tutte ad ascoltar con tanto d’orecchi; Giannina diceva che voleva imparare tutte quelle cose che sapeva la sorella. Elisa invece confessava che non sarebbe mai stata buona da nulla, e soltanto alla vista del sangue cadeva in svenimento.

Ma Maria sosteneva che con un po’ di buona volontà ci si avvezza a tutto, che anch’essa una volta scappava al vedere una ferita, ma che avea voluto vincere quella ripugnanza e si era poi trovata tanto contenta.

Angiolina andò a prendere una bambola e volle che Maria le insegnasse a fasciarla e a curarla come se fosse ferita, ma la bambola era di legno e non poteva servire, sicchè Giannina si prestò a lasciarsi fasciar lei un dito e poi un braccio.

Maria mostrò come si doveva fare, poi si provò Angiolina, poi Elisa; ma nè una nè l’altra [p. 153 modifica] riuscirono a fare una fasciatura così forte come quella di Maria. Poi essa volle che imparassero a preparare un impiastro; prese dalla sua farmacia un po’ di farina di semi di lino, e insegnò a versarci sopra l’acqua bollente e fare come una poltiglia, poi a stenderla sopra una stoffa leggera e cucirla tutto intorno in modo che non uscisse; questa cosa divertì molto quelle bambine; come se fosse un gioco, vi si misero di buona voglia. Pareva proprio che ci trovassero gusto, e visto che Giannina si stancava di far la parte di ammalata, ricominciarono colla bambola, che da quel giorno fu considerata come un’inferma, ebbe la testa fasciata, le braccia coperte d’impiastri, e venne messa a letto dove di tratto in tratto riceveva le visite delle sue infermiere.