Piccoli eroi/Ricordi della fiera

Ricordi della fiera

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Lettera di Angiola alla signora Merli Tom e Frida
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RICORDI DELLA FIERA

(dal taccuino di Vittorio)


Il ciarlatano.

Dove sono? Chi fu il mago che ha trasformato il mio villaggio? Forse siamo di carnevale? Che frastuono! Che baraonda! Ma è pur bella qualche volta un po’ di confusione!

Ed io godo in questi giorni di fiera appunto perchè durano poco.

Mio Dio, che strepito!

— Signorine, vengano a comperare! novantanove centesimi al pezzo, guardino che bella roba.

— Della tela bellissima, dei fazzoletti, tutto a buon mercato; avanti avanti, signori!

— Il teatro delle scimmie, le sette meraviglie [p. 119 modifica] del mondo! il cosmorama pittorico! entrino, signori, che resteranno sorpresi! — E simili grida da tutte le parti, tanto che mia sorella ha tutte le ragioni di dire che ha la testa grossa come un pallone.

— Taratatà taratatà, che cos’è questo rumore che viene laggiù dalla strada maestra? Si vede un nuvolo di polvere, s’ode uno scalpitìo di cavalli, tutti tacciono per un momento e si domandano:

— Che cosa sarà?

Le trombe squillano più forte, la massa nera s’avvicina, e già si distinguono quattro cavalli bianchi attaccati ad un cocchio alto e maestoso.

Vengono a gran carriera, son già vicini alla piazza.

— Largo largo, indietro, eh op, eh op.

La folla si restringe, si pigia, e il cocchio passa a mala pena in mezzo a quel mare di teste e s’arresta nel centro della piazza.

Un uomo di mezza età, colla barba brizzolata, d’aspetto abbastanza simpatico, sale sul seggio davanti, il quale è tutto ricoperto di velluto rosso, e si rivolge a tutta quella folla, intenta ad ascoltarlo.

Parla bene, con voce sonora, dice di chiamarsi Rocco Lavarione, d’aver studiato [p. 120 modifica] all’università, viaggiato mezzo mondo e conclude che possiede una polvere miracolosa che guarisce tutti i mali, ed invita quella gente a farsi avanti per comprarsela.

Il professore Damiati dice che è uno dei soliti ciarlatani; però io non mi sarei mai figurato un ciarlatano dall’aspetto così rispettabile.

«Venite venite, — intanto egli continua dall’alto del suo cocchio, — io non sono un ciarlatano, quello che dico è la pura verità, comperate la mia polvere, se non avrà la virtù ch’io vi prometto me la renderete, ed io vi restituirò il vostro danaro; posso parlar meglio di così? vedete che non arrischiate nulla.»

Tutta quella popolazione, rimasta incerta fino a quel momento, incomincia a scuotersi; già una donna si avvicina, sale sul cocchio e domanda la polvere, che le viene subito data per una lira; un’altra segue il suo esempio; un giovanotto dice di avere un dolore sulla faccia, e Rocco Lavarione gli fa una fregagione colla sua polvere, e poi gli chiede:

— E il dolore non lo sentite più?

Il ragazzo dice di no e se ne va tutto contento.

Incomincia il pigia pigia della gente intorno alla carrozza; tutti stendono le mani per chiedere la polvere miracolosa.

Rocco Lavarione e il suo domestico non hanno [p. 121 modifica] braccia bastanti per appagar tutti; le lire piovono nel vassoio, s’accumulano in un momento. E tutta quella gente se ne va contenta col pacchetto di polvere in mano, sorridente come se portasse a casa un tesoro.

Vicino a noi c’è un gruppo di villeggianti che vorrebbero persuadere quei contadini che è un inganno, ma essi non credono e continuano ad affollarsi intorno al cocchio di Rocco Lavarione.

Se si mette in dubbio l’efficacia di quella polvere essi ci guardano con occhi feroci; e infatti perchè togliere loro la fede e la speranza?

L’idea di possedere un farmaco che guarirà i loro mali, non è già una felicità?

Il professore presso di noi dice che il popolo è come un fanciullo che vuole il meraviglioso.

Al medico del villaggio, che si presenta come qualunque altra persona e che pure ha studiato, non credono, ed invece hanno fede in quell’uomo che parla come un oracolo, dall’alto della sua carrozza.

Io vorrei comperare un pacchetto di polvere per sapere di che cosa è composta, ma mia sorella non vuole; lo fa invece un mio vicino, il quale dal vestito si capisce che non è un contadino.

Al vedere quel signore ben vestito che [p. 122 modifica] s’avanza verso Rocco Lavarione, si fanno arditi anche i più timidi; e coloro che se ne stavano incerti, tutti s’avanzano a far ressa intorno al cocchio; i danari piovono, i pacchetti sfumano e Rocco Lavarione sorride contento, e quando vede diradarsi la folla, mette il danaro in un sacco di pelle, fa sferzare i cavalli, e via di corsa, aprendosi un varco in mezzo alla gente che lo segue cogli occhi, mentre egli si dilegua in lontananza, come una visione fantastica. I venditori ricominciano ad offrire la loro merce; si sente la gran cassa richiamare gli spettatori nel teatro delle scimmie, e noi restiamo a discutere se sia permesso approfittare della credulità della gente per intascare danaro come fa Rocco Lavarione.

Taluno dice che non si dovrebbe permettere; altri invece gli danno ragione di far così, finchè vi sono gonzi che si lasciano pigliare. Uno racconta la storia di quell’uomo, e narra che una volta era un povero diavolo che aveva anche studiato per far il dottore, ma non era riuscito a conseguire la laurea, avea cercato un impiego inutilmente e stava quasi per morire di fame, quando gli venne l’idea della sua polvere, che se non ha la virtù che egli le attribuisce, è composta di erbe aromatiche polverizzate e non è nociva. [p. 123 modifica]

— Infine ha diritto di vivere anche lui, — soggiunge, — e se la gente si lascia ingannare, suo danno.

In tutta la giornata non si fece che pensare a quello spettacolo, ed io me ne tornai dalla fiera con una grande compassione per tutta quella gente credula, così felice dell’acquisto fatto, e per Rocco Lavarione, che era un ciarlatano per quanto sostenesse di non esserlo, e in quello stesso momento mi pareva di vederlo felice intorno ad una tavola ben guernita, mangiando il suo pranzo, tutto allegro del danaro guadagnato, e mi domandavo se la sua baldoria durerà molto tempo; ma mi persuadevo che durerà fintanto che al mondo vi saranno dei gonzi, cioè ancora per un bel numero d’anni.