Piccoli eroi/La macchina fotografica
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LA MACCHINA FOTOGRAFICA.
Vittorio era riuscito coll’aiuto d’una lente regalatagli da Alberto, a mettere assieme una macchina fotografica molto semplice, ma colla quale si riprometteva un grande divertimento, pel tempo delle vacanze.
Ecco come avea fatto per combinare la sua macchinetta: — Prima prese una cassettina di legno, che foderò di stoffa nera, avendo cura che non vi penetrasse nemmeno un filo di luce: poi collocò davanti la lente destinata a raccogliere i raggi luminosi e mandarli nell’interno della cassetta, o camera oscura; guardò se gli oggetti posti davanti alla lente si disegnavano bene e con chiarezza, sopra un vetro smerigliato che pose dietro alla cassetta per fare l’esperimento. La macchinetta era riuscita bene; ed egli poteva benissimo al posto del vetro smerigliato mettere dei vetri preparati col bromuro d’argento, e sensibili alla luce. Studiò un sistema per cambiar i vetri entro un sacco nero, in modo che non fossero esposti alla luce, e fece un cappello aderente alla lente da mettere e togliere a mano, e intanto studiava una forma più comoda di otturatore.
Egli voleva fare il ritratto di tutta la sua brigata, prima che partisse l’Angiolina; faceva i dispetti a Mario che coi suoi disegni non avrebbe potuto più gareggiare con lui, il quale copiava scene e paesi colla rapidità fotografica.
Quando la sua macchina fu pronta, fece posare al sole tutta la famiglia, e si stizziva perchè, vedendo la sua aria importante da provetto fotografo, non potevano star fermi, nè trattenersi dal ridere. Rifece tre volte il gruppo nella speranza che riuscisse almeno una volta; poi non ebbe pace finchè non gli venne fatto d’andare alla villa Guerini per sviluppare le sue lastre nella camera oscura d’Alberto, il quale dovea fargli da maestro.
Andò assieme a Carlo, che era ansioso di vedere i risultati della fotografia, e quando furono tutti e tre rinchiusi nella camera buia, Alberto versò un liquido in una bacinella e disse:
— Vedete, questo è idrochinone, una sostanza che farà risaltare la imagine sul vetro; si potrebbe anche adoperare l’acido pirogallico, l’ossalato di ferro e tante altre cose; ma io preferisco questo, perchè mi pare migliore. — Poi coperte le lastre col liquido, gl’insegnò a scuoterlo fino al punto di veder disegnarsi qualche cosa, infatti sui vetri si andavano figurando delle linee bianche e nere come per virtù magica.
— Vedete, — disse, — gli oggetti chiari più in luce, vengono neri, e viceversa, le cose scure vengono chiare, perciò queste si chiamano negative. Ecco ora questo vetro è abbastanza nero, mettiamolo in questa bacinella, dove c’è un po’ d’iposolfito di sodio il quale scioglie i sali d’argento ormai inutili; così, ora, la negativa è completa, possiamo portarla alla luce; però prima bisogna lavarla bene nell’acqua pura.
Quando furono alla luce ebbero la dolorosa sorpresa di trovare una negativa colle figure doppie.
— Oh rabbia! si sono mossi, — disse Carlo tutto imbronciato.
— Mi pare che sia la macchina che s’è mossa; — disse Alberto, — queste però sono riuscite meglio; ma sono senza testa, — soggiunse osservando la seconda negativa.
La terza era meglio delle altre, ma le persone avevano la faccia nera e poco distinta, e anche quella non si poteva dire ben riuscita, però bisognava lasciarla asciugare prima di stamparla, e poterne vedere l’effetto. Alberto regalò agli amici qualche pezzetto di carta preparata, affinchè potessero stampare le fotografie, ed una bottiglietta con un liquido per fissarle sulla carta.
— Quando questa carta è esposta alla luce senza negativa viene tutta nera, — disse Alberto — e non si vede nulla; — e spiegò come le parti che sulla negativa erano chiare venivano scure sulla carta, perchè la luce vi passava liberamente e l’anneriva, mentre le parti scure rimanevano chiare; ed era tutto contento di poter fare da maestro a quei ragazzi, che per la prima volta avevano nelle mani una macchina fotografica.
Andarono a casa tutti allegri, credendo che una volta stampata la fotografia avrebbero potuto mostrare la loro bravura, ma appena Maria diede loro un’occhiata, disse tutta spaventata:
— Che cosa avete fatto? Non vedete che i vostri vestiti sono macchiati?
Essi si guardarono e risposero confusi:
— È vero — ma non ci si vedeva in quella camera buia, buia; c’era soltanto un lanternino rosso.
— E intanto avete sciupato i vestiti, e così non potrete più venire in nessun posto, e molto meno dai signori Guerini, perchè non posso comperarvi degli abiti nuovi per i vostri capricci.
— Prova a ripulirli — disse Vittorio.
— Non vedete che gli acidi hanno intaccato il colore? ormai non c’è rimedio, non si possono ripulire.
Maria era disperata, voleva rompere la macchinetta, perchè quelli non erano divertimenti per loro, costavano troppo, ed era certa che non erano riusciti e non avevano fatto altro che perdere il tempo e sciupare i vestiti.
I ragazzi si misero a stampare, e rimasero proprio malcontenti di vedere i gruppi così mal riusciti, e che tutti avevano le faccia scure come se fossero africani.
Elisa non voleva essere così brutta, Giannina diceva che pareva una scimmia, e Angiolina diceva d’essere un mostro.
I fotografi erano avviliti, e Vittorio si dichiarava vinto e diceva di voler rinunciare alla fotografia, anche per non dare dispiacere alla sorella. Carlo avrebbe voluto la macchinetta di Vittorio per perfezionarsi; ma Maria la prese e la chiuse in un armadio, mentre Angiolina pensava al modo di mettere un pezzettino di stoffa nuova con un rammendo, dove erano le macchie, tanto per non vedere delle faccie scure l’ultimo giorno che restava in loro compagnia. Invece Mario trionfava; aveva ragione di essere nemico della fotografia! almeno coi suoi scarabocchi non sciupava i vestiti e anzi, già che gli capitava la buona occasione, s’accinse a fare la storia delle gesta fotografiche dei suoi fratelli.
Lavorò tutta la giornata, e quando mostrò i suoi lavori, furono accolti da un’ilarità generale.
Erano tre quadretti, pieni di spirito; nel primo la posa, coi fotografi che si davano grande importanza e gli altri negli atteggiamenti più grotteschi; il secondo rappresentava la camera oscura, cioè uno stanzino buio dove misteriosamente i suoi fratelli versavano un liquido sui loro vestiti, invece di versarlo sulle negative; poi finalmente il quadro finale: i fotografi coi vestiti macchiati e con in mano due pezzi di carta che rappresentavano dei personaggi senza testa, o con due teste, i fotografi con tanto di naso, e Maria che si disperava di vederli in quello stato.
Tutti risero, e Angiolina pregò Mario di regalarle quei disegni.
Maria faceva uno sforzo per star seria, ma avea una gran voglia di ridere, e sgridava Mario di non esser buono che a burlarsi di tutti.
Più tardi quando vennero il professore e Don Vincenzo, essa raccontò loro le disgrazie dei suoi fratelli, che s’erano sciupati i vestiti; e disse ch’era proprio adirata colla fotografia e con tutte le nuove invenzioni.
Don Vincenzo fece eco alle sue parole; anch’egli trovava che si viveva meglio nei tempi passati senza tante macchine, tanti giornali e tante scoperte. Appunto quella mattina aveva letto in un giornale che un operaio aggiustando un filo della luce elettrica era rimasto fulminato e che era avvenuto uno scontro ferroviario: tutte cose che in altri tempi non sarebbero accadute. Damiati non voleva sentire quei discorsi; egli che era un vero uomo moderno, amava il progresso e ammirava i nuovi ritrovati della scienza: diceva soltanto che bisognava esser preparati a tutte queste novità. Invece ci comportavamo da bambini, esagerando in tutto; prima eravamo rimasti spauriti dall’invasione di tante macchine, che si credevano opere infernali, dopo s’andò all’eccesso opposto, e si riguardò tutto come un giochetto, mettendo spensieratamente le mani fra le macchine, bruciandosi e avvelenandosi coi preparati chimici, esaltandosi il cervello colla lettura dei giornali, impazienti di correre e d’arrivare, dopo che il vapore avea sostituito i cavalli, avidi di notizie dopo che correvano col telegrafo, e tutta una vita agitata e febbrile che venne a turbarci la calma.
— A me, vi confesso, — soggiunse, — piace questo movimento e questo progresso, ma vorrei solo che i nostri figli fossero anche essi pari alle difficoltà dei nostri tempi; cioè, più avveduti, più prudenti, e conoscessero i pericoli che aumentano da tutte le parti, e avessero l’avvertenza di schivarli. Se quell’operaio avesse saputo il modo con cui si forma l’elettricità, avrebbe saputo scansarsi prima di lasciarsi uccidere dalla corrente elettrica; se Carlo e Vittorio avessero saputo come erano composti i liquidi che adoperavano per la fotografia, non si sarebbero macchiati i vestiti; forse, causa la loro ignoranza avrebbero anche un giorno o l’altro potuto bere in sbaglio uno di quegli acidi, e avvelenarsi. Ora la smania d’arrivare a tutto, di saper molte cose, fa sì che si studia superficialmente: la scienza resa popolare, ci famigliarizza anche colle cose più nocive, e si è circondati da pericoli prima ancora di conoscerli e di saperli evitare. Una volta invece la scienza era possesso di pochi; si circondava di silenzio e mistero, e naturalmente c’erano meno pericoli; ma le popolazioni erano invece ignoranti e superstiziose.
Consigliò poi i ragazzi a diffidare delle sostanze che non conoscono, ad esser prudenti e studiare per poter rendersi ragione dei pericoli, e tenerne lontane le persone di famiglia.