Piccola morale/Parte seconda/X. Abitudine e maraviglia

Parte seconda - X. Abitudine e maraviglia.

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X.

ABITUDINE E MARAVIGLIA.

Due opposti principij, che nell’animo umano tengono grandissimo impero, sono l’abitudine e la maraviglia. Per la prima si conduce l’uomo a trovar bello, e per conseguenza applaudire ciò ancora di cui senza alcune antecedenti circostanze sarebbesi appena accorto; la seconda, a voler rimanere potentemente eccitata, domanda per condizione principalissima la novità. Per l’abitudine ama l’uomo da giovane ciò che cominciò ad amare da fanciullo, adulto si trova inavvertitamente affezionato a ciò di cui fu contenta la giovinezza, la vecchiaia il conferma nelle voglie e nei piaceri della presente sua vita. L’abitudine gli è chiave a spiegare i misteri della simpatia, rende pronte ed uniformi le sue [p. 116 modifica]conclusioni, il fa possessore di alcun che molto simile all’istinto, da cui trae molti ed importanti vantaggi. Il sentimento della maraviglia all’incontro ha origine da ciò che gli si mostra con aspetto d’insolitezza, tutte le volte che prova un tal sentimento sembra di aggiugnere alcun che alla propria esistenza, di allargare, a servirmi di questa frase, la sfera de’ proprij affetti, di aver fatto un passo di più verso l’infinito, a cui si sente irresistibilmente portare dalla propria natura.

L’artista, il quale non può a meno di pensare a queste due opposte condizioni dell’animo umano, ne cava materia di molti e sottili ragionamenti. Come in tutto il resto, anche in ciò egli deve sapersi collocare colla forza della propria mente nel punto ove i due estremi riescono a combaciarsi; altrimenti, che cosa sarebbe una composizione la quale non portasse all’anima altre impressioni fuorchè le già avute, o con nessuna delle già avute si rannodasse? E nell’un caso e nell’altro ne nascerebbero due spiacevoli sentimenti; la sazietà nel primo, nel secondo il ribrezzo, naturale in noi per ciò tutto a cui non siamo per modo alcuno preventivamente avvezzi. Ciò che si fonda sull’abitudine può dirsi classico nella più estesa significazione del la parola; nè sarà convenientemente dato un tal nome a ciò che non abbia avuto per sè il favorevole giudizio del tempo. Ma sopra questa pri[p. 117 modifica]ma e profonda trama, i cui fili si vanno continuamente stendendo e intrecciando all’insaputa dell’uomo, si stende un altro lavoro di fila colorate variamente da cui l’occhio umano rimane allettato. Chi si ferma a considerare questo lavoro superficiale crede che non ci sia legame alcuno tra la nuova e l’antica tela; ma chi ha l’occhio addestrato ad addentrarsi nell’orditura, sa intendere come, mutata l’esteriorità, le parti essenziali siano sempre le stesse.

Si potrebbero allegare innumerabili esempi d’opere a cui nocque il non essere fuorchè smorte copie, e finalmente d’altre a cui non permise di metter radice negli animi il non trovarvi appicco alcuno di gradevoli reminiscenze. C’è una spezie di tradizione misteriosa che si propaga di secolo in secolo tra gli uomini destinati a segnalare sè stessi e la propria nazione; gl’ingegni mediocri, che non furono da natura iniziati ne’ secreti dell’alta missione intellettuale, rimangono alla porta, e non altro possono fuorche udire la confusa armonia degl’inni cantati nell’interno del tempio, senza intenderne il significato. Dominati tutta volta dal desiderio di rendersi rispettabili alla moltitudine, adattano altre parole alla musica soave, e credono con ciò di essersi aggiunti al numero de’ privilegiati. Invano le vicissitudini onde continuamente è travagliata la terra cangiano il senso alle sentenze, o per lo meno to intorbidano; chi è desti[p. 118 modifica]nato a mantener vivo il fuoco del genio, per un indefinibile impulso di simpatia, indovina ciò che non ha interpretazione, e riproduce per tal maniera quel tanto del passato senza cui non avrebbe base il presente. Omero è meglio inteso dall’Allighieri, quantunque ignorante di greco e sprovveduto di glossarij e commenti, che dai dottissimi a’ quali non riesce difficile veruna delle più minime inflessioni e desinenze.

Non ho mai capito il senso di quel detto comune: il tale dovea nascere ad un’altra età. Chi non sembra fatto per l’età nella quale è nato, non sembrerebbe proprio a nessun’altra, qualunque ch’essa si fosse. Molte volte troviamo sproporzione ove non c’è, come del pari assai spesso diamo lode di grande a ciò che dovrebbesi con più ragione chiamar smisurato. Chi è l’uomo, piovuto dall’alto, come gli areoliti, bello e formato? Qual è che non suggesse il latte e balbettasse, e cominciasse dal reggersi alle ginocchia della madre o della nutrice prima di poter camminare? Quando dunque taluno crescendo mostri inclinazioni discordi da quanto lo circonda, anzichè chiamarlo spostato nel luogo dove era collocato da chi non può errare, ditelo destinato a rappresentare un qualche elemento eterogeneo attualmente esistente, e a servire di anello al passato o di aggetto a cui possa apprendersi l’avvenire. L’uomo è naturalmente imitativo, e naturalmente vario. I vecchi non si tolgono alla [p. 119 modifica]convivenza co’ giovani senz’averli prima imbevuti della loro esperienza; i giovani ricevendo il succo di quelle istruzioni lo modificano secondo la vigoria loro propria. Imitazione e novità sono quindi elementi apparentemente opposti, ma pur sempre concorrenti in quanto si pensa e si opera dagli uomini di ogni tempo.

La moda, a cagion d’esempio, che sembra pur cosa tanto frivola e stravagante, non ha ancor essa profonde radici nell’abitudine? Fatevi un poco a considerarla nelle sue relazioni coi tempi e coi popoli fra i quali emana le bizzarre sue leggi. Vi accorgerete ben presto non potere nemmen essa emanciparsi da quella intima forza che attrae ciascuna età e ciascun popolo verso un dato fine, e molte volte quelle fogge che ci sbalordiscono colla loro apparente singolarità sono semplicissimo risultamento di quanto abitualmente ci sta sotto gli occhi. Anche nei seguaci della moda, a non esser ridicoli, non occorre egli forse di sapere piegarsi per modo alla novità, che le tracce degli usi antecedenti non siano del tutto cancellate? Io crederci che le Grazie siano tre, oltre a mille altre ragioni, auche per questo: che il presente, cui sono destinate a rallegrare, deve tenersi abbracciato al passato e al futuro, ossia profittare del primo e farsi profittevole all’altro.

Da tutto questo discorso possono trarsi due conseguenze fra molte che non sempre ciò che [p. 120 modifica]è a prima giunta maraviglioso durerà nella venerazione degli uomini quando essi vi ci siano abituati; e che molte volte ciò a cui ne fa ciechi e sordi la poca o nessuna abituatezza, sarà da noi approvato quando ci avremo organi convenientemente assuefatti. Oh! che novità di dottrina è ella cotesta, dirà taluno, che ci vieni a spacciare con tanta pompa di parole? Ecco qui; io non intendo di dire cose maravigliose, ma solamente, per quanto può essere da me, di mantenervi in qualche buona abitudine di giudicare. Davvero che quantunque questi principij sieno assai vecchi, ho veduto e veggo ad ogni ora non essere soverchio di richiamarli alla memoria, degli artisti particolarmente, e di tutti gli uomini in generale.