Piccola morale/Parte seconda/VI. Facoltà inalienabili

Parte seconda - VI. Facoltà inalienabili.

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VI.

FACOLTA INALIENABILI.

Si hanno per proprie quelle cose di cui si può liberamente disporré: ma con più ragione dovrebbero con tal nome chiamarsi quelle che non possano a meno di rimanere proprietà nostra. Dirò proprii di Tizio quella casa, quel campo, quella somma, ch’indi a due giorni possono diventar proprii di Sempronio, nè più nè meno di quello fossero stati di Tizio? Questa proprietà è condizionata come ognun vede; e anziche chiamarsi della persona, dovrebbesi chiamare proprietà legata alle condizioni nelle quali quella data persona si trova.

Chi voglia bene considerare le cose vedrà quelle proprietà essere sovra l’altre preziose, che da noi possedute non possano essere ad altri concesse dal nostro arbitrio. Di qui potrà trarsene argomento a venerare da un lato un grande consiglio di provvidenza, dall’altro a tenere in quella poca stima che merita l’umana potenza quanto alla [p. 90 modifica]scelta dei mezzi opportuni alla propria felicità. Guai per una parte se i beni che possono passare da mano a mano dovessero perpetuamente rimanersi in possessione di un solo! Guai per l’altra se quelli che vediamo non essere in potere degli uomini di alienare perdessero questa loro inalienabilità!

Mi sono spesse volte fermato a pensare: se le fortune si perpetuassero nelle famiglie! Starei per dire che la razza umana si dividerebbe in tante specie diverse, quanti fossero i gradi diversi della ricchezza. L’uomo che da più secoli avesse una rendita di cinquantamila scudi, sarebbe altro uomo da quello che da più secoli non avesse conosciuto mai altro che que’pochi meschini quattrinelli che gli sono a stento bastanti per campare la vita. Dalla marea delle fortune, che vengono e vanno, decrescono e insorgono, appunto come l’onde del mare, tutti gli ordini ricevono nel lungo giro de’ tempi la conveniente pulitura, come i ciottoli contenuti in un sacco e dibattuti fra loro vengono ad acquistare maggior lucentezza e levigamento. Le cognizioni, e i costumi dalle cognizioni modificati, passando da famiglia a famiglia, da una ad altra classe di persone, compongono quella complessiva bontà che fa la maraviglia del savio, sempre che voglia considerare la società nelle relazioni sue generali, anziché arrestarsi all’osservazione degl’individui. Non minor soggetto di riflessione ne porgono [p. 91 modifica]le facoltà inalienabili, ossia quelle che possono dirsi vere proprietà dell’uomo. Se l’uomo potesse vendere il sonno e la fame? Se la bellezza e l’ingegno? O il cambio si farebbe secondo il valore assegnato a queste differenti facoltà dalla natura stessa, vale a dire che chi manca d’appetito ed ha in cambio una sterminata ricchezza avesse a cedere la sua sterminata ricchezza per comperarsi l’appetito, e allora si cambierebbero soltanto le parti da persona a persona, lasciando in piede le proporzioni medesime, e sarebbe una vera superfluità. O nel cambio verrebbero assegnati valori arbitrarii alle facoltà di cui discorriamo, e allora tutto l’edificio sociale rimarrebbe capovolto nella maniera più spaventosa. Se il ricco potesse serbare una parte della sua ricchezza, e comperarsi in cambio dell’altra parte, appetito, sonno, ingegno, bellezza e via discorrendo, quante cagioni di spendere gli sarebbero tolte! E spendesse pure, come per lo innanzi, che voglia o che bisogno avrebbe di guadagnare, chi, quand’anche avesse di che imbandirsi un pranzo migliore, non avrebbe poi la fame opportuna a godere dei cibi, per averla venduta? Che vuolsi conchiudere da questo chiaccherio sopra argomento tanto lontano dalla realtà? Che in generale a voler mutare l’ordine naturale delle cose non altro farebbesi che sconciarlo, ed essere ineffabile il detto, che, contro il male sta il bene, e nella loro discordanza concorrono [p. 92 modifica]entrambi a produrre quella migliore armonia di cui possa essere suscettibile il mondo.

Continuando nella nostra ipotesi bizzarra, quale credercste, lettori miei cari, che delle facoltà Dominate fosse la prima ad esser venduta? Mi par di udire i poveri in coro rispondere (se i poveri leggessero giornali) la fame, la fame: e, non che venderla, la doneremmo. Pur non crederei già che questo fosse, o se ne chiamerebbero in poco d’ora dolenti. Rimanersene senza appetito in mezzo a un popolo che mangia, egli è poco meno che avere perduto gli occhi e udirsi parlare di belle vedute. Il sonno? Ohimė! quel sonno che un acuto poeta fece nascere gemello della speranza a confortare gl’infiniti guai della vita? Chi vorrebbe abitare una contrada nella quale non fosse mai notte? Dunque la bellezza. Che ne dite, signorine galanti, che ad essa sagrificate il riposo e la mensa? L’ingegno? Ma non li vedete que’ letterati sparuti che intisichiscono sopra opere, che forse forse non giungeranno mai ad intendere; che lasciano andar in rovina le loro sostanze per compilar libri; che non chiudono occhio mezza la notte per aggiugnere ore al travaglio della lor mente? Regole generali non credo se ne possono dare. Chi venderebbe prima una, chi un’altra cosa.

Volete che io vi dica in qual modo crederei si potesse rispondere alla domanda? Quelli che possedessero meno sarebbero i più facili a ven[p. 93 modifica]dere, appunto per ciò che meno posseggono. Mi spiace di dover fare, almeno nell’apparenza, Papologia degli avari; ma quello che sono gli uomini rispetto alle fortune acquistate, sarcbbero rispetto alle facoltà di cui gli dotava natura, caso che potessero aprirne negoziato. Quanto maggiore fosse la dose d’ingegno posseduta da un uomo, tanto più ne sarebbe avaro, perchè quel maggior ingegno da lui posseduto gli sarebbe via di conoscere quel molto maggiore di cui è mancante; per simil guisa la fame di un gran mangiatore gli fa apprezzare certi stimoli violenti, cui potendo soddisfare, ha certamente una sfera di piacevoli sensazioni più ampia che al comune degli uomini non è conceduto. Sono sempre le donne men belle che si abbigliano con più cura, o non accade forse il contrario? Notate ch’io parlo dell’intenzione, non dell’abilità onde questa intenzione è adempiuta. Anche per questo conto non sarebbe desiderabile la possibilità di tali cambi.

Avreste dovuto accorgervi, lettori miei cari, che in tutto questo discorso non altro più feci che gettar i semi di molte piacevoli controversie. Pensate se mi sarei proposto di voler piantare le basi di nessuna dottrina sopra un’ipotesi così stravagante, qual è quella che io presi a soggetto delle mie ciance di questo giorno!