Piccola morale/Parte seconda/VII. La speranza
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VII.
LA SPERANZA.
Ho pensato più volle perchè Pindaro chiamasse la speranza amica dei vecchi. Forse che gli anni non siano atli a guarirci da molti errori e da molte illusioni, o tra gli errori e tra le illusioni non sia da riporre la speranza? Queste considerazioni mi tennero, come diceva, molte volte in pensiero. Conosco certe persone le quali come s’imbattono in qualche sentenza di poeta che loro non garbi, o di "cui non giungano ad afferrare di slancio il significato, si liberano dell’incomoda condizione di chi non intende ciò che gli vioi detto, e vorrebbe pur far mostra d’intendere, pronunziando in via d’aforisma, e come da cattedra: poesia! La quale esclamazione polendo assumere diverse interpretazioni a seconda della diversità dei cervelli, nel caso nostro, e proferita da quelle certe persone, viene ad esprimere: cosa detta all’impensata^ da non vi badare più che tanto. Io per altro sono solito di prestar attenzione anche alle sentenze dei poeti, e farvi sopra qualche po’ di coraènto: intendendo sempre di quelli
come i cigni rari,
Poeti che non sian del nome indegni.
Anzi, quando trattasi di tali poeti ho gran rispetto a quello che dicono, specialmente in fatto di morale, di costumi, e di dottrine relative al la buona regola della vita. Vi ho, dico, un rispetto grandissimo, e ciò perchè le loro sentenze non sono originate dalla volontà di metter d’accordo certi pratici principij con certe teoriche, come pressochè in tutti i moralisti vediamo accadere; ma le derivano spontanee dal loro cuore commosso alla contemplazione del bello, ch’è l’interprete più sicuro del vero, o dall’esperienza presa degli uomini e delle cose, che li fa essere specchi più o meno esatti di quanto accade nel mondo. Posto dunque questo mio modo di considerare le sentenze de’ poeti, vediamo che pensieri mi fossero suggeriti dalla sentenza di Pindaro che a principio ho riferita.
Quando nominiamo speranza, s’intende da tutti una disposizione dell’animo nostro a creder possibile l’adempimento di un desiderio che ci tiene agitati. Sicchè speranza non può darsi senza desiderio. Sarebbe quindi da conchiudere che maggior copia di desiderij ci avessero nei vecchi che nei giovani. E siccome creder possibile l’adempimento di un desiderio egli è lo stesso che immaginare una o più vie per le quali esso adempimento può effettuarsi, è da conchiudere ancora che alla mente de’ vecchi un maggior numero di eventualità vengano suggerite che alla mente dei giovaui. Di questi due fatti il secondo potrà essere più facilmente credibile, e vediamo per verità che cosa si pensi dei vecchi su questo conto.
Ai vecchi, per una maggior cognizione che acquistarono del mondo, e per certa corrispondenza che hanno fra loro gli avvenimenti che in esso mondo succedono, è conceduto più facilmente antivedere a che presso a poco andrà a battere ogni cadenza; quando una strada abbia più capi, o tutti o la più parte possono essere immaginati dalla esperienza di chi, oltre il battesimo del senso comune, potè ottenere la cresima dei settant’anni, termine attribuito alla vecchiaia da Salomone. Ma quanto all’aver i vecchi un maggior numero di desiderij, o desiderij più intensi dei giovani, non è questo per sembrare contrario ad ogni ragione? Eppure chi vorrà bene considerare le cose, troverà che se l’età a guisa di vento autunnale che va ad una ad una spiccando le foglie, fino a lasciar nudo tronco quello che era alcuni di prima albero denso, se l’età, dico, spegnendo nell’animo nostro o attutando i desiderij, altri ne riporta in luogo dei primi, sicchè, quanto all’essere più o meno agitata, la nostra vita può dirsi presso a poco la stessa così ai venti come ai settant’auni. All’amore l’ambizione, all’ambizione l’avarizia veggiam sottentrare con perpetua vicenda; e alcune passioni sono inoltre si proprie di alcuni naturali, che da esse non possono essere scompagnate altrimenti che per morte.
A tutto quello che ho fin qui detto è da soggiungere che nascendo in noi gli appetiti in numero corrispondente a quello degli oggetti che sono atti a suscitargli, potrebbesi conchiudere un maggior numero di anni dover eccitare di necessità una copia maggiore di appetiti, in quanto danno luogo alla contemplazione di un maggior numero di oggetti. Ma qui potrebbe insorgere taluno, dicendo che l’esperienza ci avverte dell’inutilità di un gran numero de’ nostri desiderij, e c’insegna per conseguente a disaffezionarci a moltissime fra quelle cose che pur credevamo si facili a conseguire quando il nostro intelletto era acceso della giovanil confidenza. Io vorrei pure che ciò fosse vero, e non accadesse, come diceva, o che nuovi appetiti vengono surrogati a quei primi, o che quanto l’uomo ha guadagnato alcu· na volta circa il numero de’ suoi desiderij non gli toccasse di perderlo rispetto all’intensità! Per qualche ragione si dice anche essere tanto mutabile la giovinezza.
Ma non è tuttavia a questo, credo, che mirasse il poeta, chiamando la speranza amica de’ vecchi, o non è a ciò solamente ch’egli avesse riguardo. È da notare che, in opposizione a quanto può sembrare sulle prime, sono i vecchi quelli che tengono più l’occhio al futuro e vi fanno disegno sopra. Alla gioventù appena appena sta davanti il presente, e così essa impetuosa si getta su ciò che le piace, come altri giorni non le rimanessero all’operare e a godere dopo quello di cui vede la luce. Di qui l’impazienza e la spensieratezza. Parlate del domani alle fervide menti Eppure quel domani, che i vecchi sauno aspettare, con quanta maggior ragione non dovrebbe essere aspettato dai giovani? I vecchi, differendo ad altro tempo l’effettuazione dei loro desiderij, a quanto maggior repentaglio non pongono il bene che dall’adempimento di que’ loro desiderij si vanno ripromettendo!
E dove lascio il desiderio della vita, da cui si genera la speranza? O direte che i giovani essi pure sperano di vivere? Questo sarebbe come a dire che uno, avendo buone gambe, spera di camminare. So anch’io che la vita tanto può essere tolta repentinamente ai giovani quanto ai vecchi; e ancora chi ha buone e sane le gambe può sentirsele mancar sotto al primo passo, o può mettere il piede in fallo per cui se gli scavezzino. Chi è tuttavia che non sappia, dirsi a modo di proverbio i vecchi dovere, i giovani poter morire? È dunque proprio della molta età lo sperare, e della giovane il credere probabile la continuazione del vivere. Notate poi che nella speranza della vita si comprende la somma di molte speranze, a non dire di tutte, e gli è appunto a questo che forse ha principalmente badato il poeta.
Conchiudasi adunque che i vecchi sperano più dei giovani, perciò che, oltre all’aver desiderii forse più copiosi, sono confortati da quel maggior numero di possibili accadimenti che in forza dell’esperienza la fantasia pone loro davanti; e laddove il pensiero dei giovani alimentasi del solo presente, quello de’ vecchi, tutto che sembri dover avvenire il contrario, si esercita nel futuro. Per ultimo il desiderio della vita esso solo farebbe traboccar la bilancia a favore della sentenza da noi sostenuta.
E perchè dalla considerazione dei contrarij ne si concede molte volte conchiudere la verità, vorrei domandare in chi si veggano maggiori esempi di disperazione se nei giovani o nei vecchi? Nei primi senz’altro. Ora vi avrà chi mi risponda doversi questo ripetere dalla maggior intensità di desiderij, che nei giovani sono ardentissimi, laddove nei vecchi sono assai più pacati. Qualunque ne sia la ragione, risponderò sempre che il disperare essendo naturalmente il contrario dello sperare, quello dovrà concedersi che più speri il quale meno dispera. Ma forse mi si oppone per giunta, che può mancare la disperazione perciò appunto che non v’ebbe speranza, e ritorcendomi contro il mio stesso argomento, inferire dalla disperazione, che più frequente incontra di ritrovarla ne’ giovani, perchè più frequente sperare siavi tra loro. Al che io rispondo, doversi, non foss’altro, da questo dedurre che la speranza è stata in essi assai fievole, e transitoria; e dimostrato, come feci più sopra, averci nei vecchi di molte speranze, il non abbandonarsi ch’essi fanno alla disperazione al modo dei giovani concorrere a prova di quanto si voleva da me persuadere.
A maggior rincalzo e come a suggello di tutto quello che ho detto finora, domanderò per ultimo donde avvenga che ai vecchi assai più che ai giovani dispiaccia il morire? S’egli fosse vero che l’esperienza gli avesse spassionati di molte cose, e per conseguenza scemato il numero dei desiderij, con quanto minor cruccio di quello che vedesi in loro comunemente, non dovrebbero deporre il misero carico che trascinarono per si lunghi anni?Ma tutto il contrario vediamo avvenire. E perchè questo? Quanto più ci aggiriamo per la selva della vita, tanto più ad essa ci affezioniamo, tanto più l’ora della chiamata ci sembra intempestiva. Ogni giorno, anzichè liberarci da una illusione, ce ne mette una nuova nell’anima. Anzichè staccarci a mano a mano da quella vita, che ci è pur forza o tosto o tardi di abbandonare, ad essa sempre più ci avvinghiamo, e mentre la giovinezza è ad essa congiunta appena appena con una mano, per esser presso che certa che non le può fuggire; la vecchiaia, come quella che teme vedersela scappare via ad ogni tratto, se la tiene abbracciata, e ben bene stretta, sicchè lo staccarsene le torna duro e amarissimo sopra ogni dire.